venerdì 28 agosto 2020

“LE PAROLE... LA PAROLA” 30 Agosto 2020

 LE PAROLE... LA PAROLA30 Agosto 2020 (Domenica XXII TO/A) Geremia 20,7-9 – Salmo 62 – Romani 12,1-2 –

Matteo 16,21-27 



Quando il gioco si fa duro. 

Adesso ci è più chiaro perché Gesù abbia posto quelle domande ai suoi discepoli, anche se la spiegazione sorprende anche noi: irrompe “come un fulmine a ciel sereno”. 

Quindi non ci stupisce la reazione di Pietro, anche perché siamo abituati ai suoi interventi “a gamba tesa”. 

Tuttavia, se abbiamo la pazienza di andare un po’ più dentro “le parole” e di metterci in un vero atteggiamento di ascolto, il dialogo tra Maestro e discepoli ci fornisce i riferimenti essenziali anche per il nostro cammino di cristiane e cristiani. 

La spiegazione di Gesù è molto sintetica, ma soprattutto drammatica nel riferire cosa accadrà a Gerusalemme, città verso cui sono diretti già da un po’ di tempo. A dire il vero la ripeterà altre due volte, anche se con riferimenti differenti (cf 17,12.22- 23; 20,17-19). 

Qui mette in evidenza anzitutto il soffrire molto causato dalle autorità religiose che invece dovrebbero riconoscere ed accogliere il suo operato messianico e preparare il popolo a tale incontro. Venire ucciso non equivale solo a morire, si tratta di un vero e proprio omicidio di cui, anche se non lo si dice ma lo si suppone, non si menziona il criminale; e risorgere. Questa è la sorprendente conclusione, posta lì alla fine come se niente fosse, ma certo non scontata! E chi lo può confermare? Solo chi l’ha vissuto, e in questo caso i discepoli stessi che l’hanno testimoniata (cf Atti degli apostoli 1,8.21-22) e i primi cristiani che l’hanno creduto (cf 2,24.32.36). 

Ci troviamo qui, allora, di fronte alle fede delle prime comunità e lo attesta il fatto che Pietro, che qui non è chiamato Simone, si rivolga a Gesù come Signore

Anche il carattere e la personalità di Simon Pietro vengono bene in evidenza con la sua esuberanza e generosità, si comporta da difensore e da consigliere, quasi a voler evitare che al suo Maestro capiti proprio quello che egli ha previsto. 

Ciò che il discepolo sussurra in disparte il Maestro invece lo affronta apertamente con espressioni che, per essere ben capite anche da noi, forse dovrebbero essere tradotte così: 

Riprendi il tuo posto di discepolo, dietro di me e non ti opporre! Tu mi sei di inciampo perché, da essere umano, rifiuti il piano di Dio su di me”. Che contrasto con la beatitudine proclamata poco prima (cf 16,17)! Allora Gesù approfitta dell’occasione per fare anche agli altri discepoli, che saranno rimasti di sicuro sbalorditi sia per la spiegazione iniziale da parte di Gesù che per il rimprovero rivolto a Pietro, una catechesi proprio sul discepolato che per noi vuol dire sulla vita cristiana. Anche queste parole hanno bisogno di un’ermeneutica adeguata per essere comprese in tutta la loro portata: 

Se qualcuno vuole diventare mio discepolo: smetta di preoccuparsi dell’esito della propria esistenza; si assuma le sue responsabilità dei propri limiti e fragilità senza incolpare gli altri; 

e mi segua condividendo il mio destino di morte e risurrezione

Spero che in questo modo, oltre ad essere più comprensibili, si possa capire quali siano le esigenze della sequela che è rivolta a noi come credenti. 

Le indicazioni successive sono altrettanto perentorie ma anche radicali sul salvare e perdere la propria vita

Chi pretende di mettere al sicuro la propria esistenza la perderà; 

chi è disposto ad esporla insieme con me [Gesù] la troverà”. 

Chi di noi non vuole mettere al sicuro la propria esistenza? Non si tratta solo di un istinto di conservazione insito in ogni essere umano, bensì di una scelta, di un modo di vivere costruito passo dopo passo per non ritrovarsi allo sbaraglio di fronte alle sfide esistenziali, è in fondo basato sul bisogno di vincere le nostre paure e la nostra mortalità. 

Difendersi o affidarsi? Questa è la scelta davanti alla quale Gesù ci mette, innanzitutto con il suo stesso orientamento a non mettere egoisticamente sé al sicuro, ma di esporre la propria vita per noi, per amore, di donarla. 

Amare ci troverà sempre disarmati verso chiunque ed in qualsiasi circostanza, anche nel denunciare le ingiustizie, le violenze, le oppressioni. 

Riconosciamo Gesù nelle parole di Geremia 20,7-9 (I lettura), ma ritroviamo anche noi stessi quando ci viene da vergognarci di questa Parola e saremmo tentati di non pensare più a Lui perché derisi per il fondare la nostra esistenza su di Lui. 

Vano tentativo, perché questa Parola è un fuoco che arde in noi. 

Un richiamo ad un radicale cambiamento di mentalità: non conformarci a nessuna pretesa mondana di realizzazione personale (cf Romani 12,2 – II lettura)

Eppure le parole di Gesù prospettano un giudizio imminente e risolutivo, tipico della prospettiva di Matteo: la prossima venuta gloriosa del Figlio con il Padre (cf v. 27). 

E’ di sicuro quello che pensavano e credevano i cristiani della prima generazione, testimoniata da questo vangelo, anche per rendersi credibili dai propri contemporanei. 

A noi la possibilità di darne testimonianza ai nostri di contemporanei, non solo nelle nostre celebrazioni liturgiche, ma in quel nuovo culto spirituale che consiste in un modo di vivere calibrato sulla misericordia di Dio e sul dono di noi stessi (cf Romani 12,1)

Roberto


domenica 23 agosto 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 23 Agosto 2020

 “LE PAROLE… LA PAROLA” 

23 Agosto 2020 (Domenica XXI TO/A) 

Isaia 22,19-23 – Salmo 137 – Romani 11,133-36 – Matteo 16,13-36


 Il piolo e la pietra.

Chi sia per noi Gesù è una domanda con cui prima o poi dovremmo confrontarci durante la nostra vita se vogliamo giungere ad una fede adulta. Non serve ricorrere alle risposte “preconfezionate” dei nostri contemporanei o che già abbiamo sentito ripetere fin dai tempi del nostro catechismo.

 Ecco, forse è proprio questo a limitarci nella nostra ricerca o nel presupporre che non serva chiedercelo o addirittura che possa essere pericoloso. Che sia però imprescindibile lo attestano i vangeli stessi, sia Marco che Matteo, che addirittura fanno porre la domanda da Gesù stesso rivolta ai suoi discepoli. Di solito sono gli altri a porre domande come nel caso dei farisei e dei sadducei, soprattutto a pretendere un “segno” per poter credere; gli stessi discepoli si interrogano sulla mancanza di pane e forse sperano in un nuovo segno da parte di Gesù (Matteo 16,1-12) 1 . 

 1 Spesso papa Francesco mette in guardia la chiesa dal pretendere di dare sempre risposte pronte a domande che spesso nessuno pone. Addirittura si verifica un “ribaltamento” del tradizionale: Roma ha parlato, la questione è chiusa! Francesco con il suo stile e il suo magistero pone domande e apre questioni sul mondo attuale, sulle dinamiche socio-politiche e ambientali, e invita i cristiani ad interrogarsi.  

Siamo in un territorio in cui la presenza “straniera” dei romani è connotata da una città fatta costruire per loro da Filippo, dove è evidente chi comanda davvero in Palestina e dove il potere imperiale ostenta i suoi simboli. E’ la sicurezza di un potere politico che garantisce un nuovo ordine sociale. Probabilmente i discepoli sono ancora disorientati per il dialogo avuto dal Maestro con i farisei e i sadducei e per la risposta che ha dato alla loro perplessità; non sono riusciti a capire quale sia il “lievito” da cui dovrebbero guardarsi che egli li incalza con le sue domande.

 Sembra inizialmente un sondaggio di opinione, ma in realtà il Nazareno li vuole portare ad esporsi e pronunciarsi in prima persona, a lasciar finalmente da parte la mentalità farisaica che cerca di “inquadrare” l’operato di Dio in uno schema facilmente replicabile e che cerca di “influenzare” dall’interno l’agire religioso, non lasciando spazio al suo libero e imprevedibile intervento nell’esistenza personale e nella storia (cf Galati 5,9; 1Corinzi 5,6-7). 

Gesù vuole farli uscire dall’atteggiamento di aspettarsi sempre nuove attestazioni utili alla sua credibilità di messia, per confrontarsi con un’identità che li lascerà sconcertati per il suo realismo e che contraddice ogni aspettativa messianica (cf 16,37ss.). Inizia con l’interrogarli, quasi infastidendoli con la sua pretesa di un’opinione personale. Non è più il tempo di credere di fronte a miracoli che possono sembrare la riposta giusta al momento giusto, ma di dare loro la loro riposta di fonte ad un agire di Dio che per molti versi può sembrare per lo più incomprensibile: attraverso il fallimento e la sofferenza. Si capirà meglio in seguito il perché di questa presa di posizione. 

La risposta dei discepoli, per voce di Simone è chiara e indiscutibile, ma le sue conseguenze davvero sorprendenti. Anzitutto Simone capisce che non può far conto sulle sue conoscenze umane, né nella sua affermazione né nel compito che gli viene affidato di “legare e sciogliere”, un ruolo che la comunità cristiana gli riconoscerà fin dall’inizio come “roccia”: “la pietra” su cui la “chiesa” viene edificata è il Signore, quindi non può prescindere dal suo legame con lui. 

Qui sta il senso della sua “beatitudine”! Questo deve essere chiaro per lui, per gli altri 3 discepoli e per i cristiani delle successive generazioni: nessuno governa perché ha un potere, anche se “vicario”, ma perché è fedele ad una chiamata

 I discepoli stessi poi sono indotti al silenzio perché adesso il loro riferimento messianico con cui confrontarsi sarà la sofferenza e la morte del Maestro stesso e non più le promesse profetiche. 

Allora nella nostra “ricerca di fede” siamo in buona compagnia, destinati a “confermarci” l’un l’atro: a volte chi è “come un piolo conficcato solidamente” (lo dice Isaia di Elìakìm: 22,23) sosterrà gli altri nella loro debolezza; oppure “chi ha conosciuto il pensiero del Signore” (Paolo ai cristiani di Roma: 11,34) illuminerà gli altri nella loro ricerca, spesso nel buio.

 Insomma non siamo mai da soli nel nostro cammino, eppure nessuno è esentato dal dare la sua risposta personale. Saranno le cosiddette prove della vita ad interpellarci ed a suscitare in noi domande che altrimenti mai ci saremmo posti.

 Non facciamo prendere dall’ansia della risposta esatta entro il temo limite… sarà fondamentale sentire che quel Gesù, di cui sentiamo parlare da secoli, e da sempre nella nostra breve esistenza, è “inviato a me e per me” e che da me non vuole la corretta risposta al quesito, ma la fiducia di affidargli la mia povera esistenza, sicuro che Lui porterà a pieno compimento tutto quello che io non sono nemmeno stato capace di immaginare (Romani 11,36).

 Roberto

venerdì 14 agosto 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 16 Agosto 2020

 “LE PAROLE… LA PAROLA”

 16 Agosto 2020 (Domenica XX TO/A)

 Isaia 56,1.6-7 – Salmo 66 – Romani 11,13…32 – Matteo 15,21-28 

Ogni fede è straniera.

 Anche Gesù non degna nemmeno di uno sguardo questa straniera che lo importuna, distraendolo dal suo “ritiro”, andandogli dietro gridando. Il suo atteggiamento scoccia anche i discepoli che, come il loro solito, vogliono liberarsi in fretta di quest’altro fastidio. 

Ma il vero problema ce l’ha Gesù: quel grido implorante e disperato gli fa intravvedere un nuovo orizzonte del suo stare con noi: senza confini, per tutti! 

Gli avanzi e le eccedenze per la mensa caritas, le briciole della nostra elemosina non son più buone nemmeno per i cani, ma pur sempre per gli stranieri, soprattutto se immigrati. Ma non è di briciole la fiducia della cananea se il Signore la riconosce “grande”.

 Lei desiderava sopra ogni altra cosa la guarigione di sua figlia, e una volta tanto il desiderio si realizza. Lui nemmeno sembra volerci assumere la responsabilità dell’insperata e prodigiosa guarigione. 

Lei felice torna a casa e Lui si trova a casa nella zona “offlimits” di Tiro e di Sidone. 

Siamo tutti stranieri nel nostro percorso di fede e anche Paolo, finalmente, lo ha capito e lo riconosce, scrivendo ai cristiani di Roma, rinunciando alla pretesa di “conversione” dei suoi consanguinei.

 Dio non conosce confini e non esclude nessuno, è misericordioso, ha a cuore ogni umana miseria. 

Roberto

“LE PAROLE… LA PAROLA” 15 Agosto 2020

 “LE PAROLE… LA PAROLA” 15 Agosto 2020

 1Cronache 15,3… 16,2 – Salmo 131 – 1Corinzi 15,54b-57 – Luca 11,27-28 Apocalisse 11,19a… 12,10 – Salmo 44 – 1Corinzi 15,20-27 – Luca 1,39-45 

L’umanità assunta. 

Non possiamo disporci all’ascolto della Parola senza pensare che questa capacità ci è stata “salvaguardata” da sempre, pur in mezzo alle intemperie più devastanti della storia come una promessa sponsale. 

Uno spiraglio di umanità, nel quale annidarsi e proseguire la generazione inarrestabile della Vita. Un lembo di terra sufficiente e ospitale a far sì che anche il deserto potesse essere abitabile. 

Una tenda, un’arca, un santuario, un cuore, un corpo e un’anima, un utero… una di noi, una persona: Maria. Tutto questo si dischiude nel solo pronunciare questo nome: il mondo, l’umanità in lei sono rappresentate al meglio.

 Ciascuno di noi può sollevare lo sguardo, finalmente, dalle proprie incompiutezze e contemplare “un oltre reale”, non un miraggio utopico e illusorio, ma un orizzonte accogliente, un “grembo” di eterno compimento.

 Il suo stare con noi, in mezzo a noi della Parola, nella nostra carne, ha permesso di abitare in modo permanente e inclusivo ogni frammento umano. 

Un processo di “assunzione”, di “far proprio”, voluto soltanto dall’Amore e possibile solo per il continuo dono di sé capace di attraversare addirittura la morte, limite ultimo. Tutto ciò che è amato è trasformato, rigenerato al di là di ogni possibilità. 

E tutto trova in Maria il suo compimento, tutte le generazioni si uniscono in un unico cantico di lode.


Roberto

lunedì 10 agosto 2020

“LE PAROLE DELLA DOMENICA” 9 Agosto 2020 (Domenica XIX TO/A) Matteo 14,22-33 [34-36] Siamo tutti sulla stessa barca (n.2)

 LE PAROLE DELLA DOMENICA” 9 Agosto 2020 (Domenica XIX TO/A) Matteo 14,22-33 [34-36] 

Siamo tutti sulla stessa barca 

La Parola che oggi ci viene donata ci parla nella storia di Elia “il profeta di fuoco”, di Paolo “l’apostolo delle nazioni”, di Simone “Pietro, la roccia”. 

Sono vicende lontane tra loro, ma che fanno parte di un’unica storia di salvezza, per questo ci riguardano, parlano a noi e di noi, della nostra storia. 

Elia, il profeta la cui predicazione faceva tremare “i nemici del Signore”, che aveva fatto scendere il fuoco da Dio, che aveva sterminato i profeti e i sacerdoti degli idoli pagani... adesso è in fuga, con alle calcagna i sicari del re. Attraverso il deserto del fallimento e dello scoraggiamento cerca di fuggire dalla morte che nei momenti più bui invoca; è diretto al “monte di Dio” per incontrarlo e rifugiarsi da Lui, farsi proteggere dalla sua forza. Ma l’incontro con Lui lo sorprende perché non avviene in nessuno dei fenomeni atmosferici che indicavano l’onnipotenza di Dio: Elia lo sente in una “brezza leggera”, lo Spirito. 

Non è facile per noi cercare i “segni deboli” della presenza del Signore e affidarci alla forza del suo Spirito che ci accarezza con la sua tenerezza e ci consola. 

Paolo sembra arrendersi di fronte all’impermeabilità del mondo giudaico al vangelo. Non ha più risorse in sé per convincere i suoi correligionari, eppure essi hanno a disposizione tutti i prerequisiti per accogliere Gesù come Inviato di Dio e aderire alla fede in Lui. Non gli rimane che il dolore e la sofferenza che porta in cuore. 

L’amore ci porta spesso ad usare l’unica arma che ci rimane: il dolore e la sofferenza. L’efficacia della nostra intercessione non risiede nemmeno nelle nostre pratiche religiose. 

Simone, a cui Gesù chiamandolo alla sua sequela, gli ha dato il nome di “Pietro, roccia”, va a fondo come un sasso tra i flutti agitati dal vento contrario. Le parole di Gesù gli hanno dato il coraggio e la presunzione di potergli andare incontro camminando sulle acque. Ancora una volta è lo spavaldo che presume delle proprie capacità. Ma cosa ci avrà visto il Maestro in un tipo così! Eppure a lui affida il futuro della sua comunità, anche se lo rinnegherà e farà finta nemmeno di conoscerlo durante il suo processo. I suoi compagni sono terrorizzati e non si capisce se più per l’infuriare della tempesta in mare o per l’essere lì con loro di Gesù. Non bastano le parole di Gesù, ora devono farsi “gesto”, una mano che afferra, una presa sicura. Non gli lancia un “salvagente”, gli si avvicina come suo “salvatore”! E ancora non si capisce se a questo punto i suoi compagni sono convinti della divinità di Gesù più per il suo potere sul vento tempestoso o per la sua prossimità al loro “capo”. La “barchetta” della comunità approda a riva in tutta sicurezza e la gente, dopo questa avventurosa esperienza, “riconosce Gesù” e anche loro vogliono essere “toccati da Lui”. 

Possiamo affidare la nostra esistenza a questa Salvatore? Nei momenti in cui affondiamo, sommersi dalle difficoltà e dalle contrarietà ci basta la sua parola incoraggiante e fiduciosa? 

Cerchiamo di afferrare la sua mano? E’ quella di un uomo debole come noi, non onnipotente. Eppure l’umanità della sua parola e dei suoi gesti non ci basta, vorremmo qualcosa di più “stabile” a cui appigliarci e per cui stare a galla. 

La sua responsabilità nei nostri confronti, attraverso il suo consapevole soffrire per noi, sulla croce con noi, ci solleva e non ci fa soccombere. 

Roberto 

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sabato 8 agosto 2020

“Le PAROLE della Domenica” 9 Agosto 2020 – Matteo 14,22-33 [34-36] Siamo tutti sulla stessa barca



 Le PAROLE della Domenica

9 Agosto 2020 – Matteo 14,22-33 [34-36]

Siamo tutti sulla stessa barca


Ci siamo trovati impauriti e smarriti. 

Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista 

da una tempesta inaspettata e furiosa. 

Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, 

tutti fragili e disorientati, 

ma nello stesso tempo importanti e necessari, 

tutti chiamati a remare insieme,

tutti bisognosi di confortarci a vicenda. 

Su questa barca… ci siamo tutti.

Come quei discepoli (…)

così anche noi ci siamo accorti 

che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, 

ma solo insieme.

Papa Francesco, 27 marzo 2020 – Piazza S. Pietro



1. [Dopo che la folla ebbe mangiato dei 5 pani condivisi da Lui], Gesù compie alcuni gesti emblematici: vuole rimanere da solo con la gente per congedarli, salutarli uno ad uno e non con un generico “E’ finita, andate in pace” e “costringe i discepoli a salire in barca ed a precederlo sull’altra riva” (Matteo 14,22).

A prima vista due gesti contrastanti: uno carico di tenerezza che compie la compassione iniziale (v. 14) e l’altro un po’ brusco che poco sembrano stare assieme.

Il contrasto, voluto dal redattore evangelico, evidenzia lo stato d’animo di Gesù alla notizia dell’arresto e dell’uccisione del cugino battezzatore (v. 13).

2. Gesù sceglie nuovamente la solitudine, la marginalità, ma stavolta per pregare, come farà dopo la cena pasquale prima del suo arresto (26,36-46) e in una medesima notte è “solo”, distante dai discepoli che invece qui stanno nel mezzo dal mare (v. 24).

3. La loro situazione è rischiosa già solo per il trovarsi in mare (sede delle potenze opposte a Dio), inoltre: sono distanti da terra e quindi dal Signore, le onde agitano la barca e il vento è contrario, non permette di proseguire la navigazione.

4. Quando ormai il peggio sembra passato, insieme con il buio della notte, “Egli viene verso di loro camminando sul mare” (v. 25), dimostrando un potere superiore, ma sorprendentemente non è da loro riconosciuto “reale” (= phantasma) e sono terrorizzati; non lo erano nel pericolo: ma che Lui venisse loro incontro camminando sul mare, invece di rincuorarli, li impaurisce (v. 26).

E’ tutto molto strano, ma è anche la nostra reazione: nel pericolo vorremmo il Signore vicino, e quando lo è non solo non lo riconosciamo ma ci sembra impossibile che per salvarci sia lì con noi. Ha scritto Dietrich Bonhoeffer: “Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore, non dalla croce, ma nella croce”. 

5. “Coraggio, Io sono, non abbiate paura” (v. 27). 

Tre semplici parole incoraggianti, ma anche rivelative di una presenza reale, che suscitano in Pietro il desiderio di andare verso il Signore (vv. 28-29).

Eppure non è ancora al sicuro: la paura del vento contrario lo fa affondare e grida “Signore, salvami!” (v. 30).

Il discepolo ha dimostrato coraggio, ma non ha vinto le sue paure più profonde che solo il gesto del Maestro può sconfiggere: siamo al sicuro nella stretta relazione con Lui e non nel pensare che da soli ce la faremo! Il dubbio, la mancanza di piena fiducia fanno parte del percorso accidentato della vita cristiana (cf 28,17), ma l’autosufficienza e la solitudine sono il vero nemico da affrontare (vv. 31-32).

6. L’esperienza del singolo diventa poi anche quella di tutta la comunità che proclama la sua fede messianica in Gesù. (v. 33).

Non solo, ma anche “gli estranei” lo riconoscono come Inviato di Dio e possono toccarlo con mano (v. 36).

Alla fine si comprende l’obiettivo ultimo, ma implicito nelle intenzione di Gesù fin dall’inizio (v. 22), di tutta questa travagliata esperienza che coinvolge i discepoli e poi anche la comunità cristiana, quindi anche noi: la salvezza di tutti, insieme!


Roberto


giovedì 6 agosto 2020

#IoRestoaCasa Variazioni pastorali sul tema del lockdown / 2

#IoRestoaCasa Variazioni pastorali sul tema del lockdown / 2 

Castel Frentano, 6 agosto 2020 Trasfigurazione del Signore 

#IoRestoaCasa e #ChiesaInUscita Qualcuno mi ha chiesto come mai questa riflessione sulla “casa” nel momento in cui papa Francesco ci invita ad essere una “chiesa in uscita” (EG 49). 

1. “Si esce per rimanere fuori” è l’affermazione di Duilio Albarello nel suo articolo sul tema dell’uscire1, non certo per fare una “comparsata”, ma per scegliere di “abitare” come “voce del Verbo” che “venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14), lo abbiamo affermato al Convegno di Firenze 2015 assieme alle altre “azioni”: uscire – annunciare - abitare – educare – trasfigurare, indicate anche come cinque vie per un “nuovo umanesimo”. 

2. C’è quindi un profondo legame tra uscire ed abitare, che corrisponde, come dicevamo all’atteggiamento di Gesù che esce di casa per andare ad annunciare (cf Mt 13,1-3)2

I cristiani che “finalmente” escono di casa (dalle chiese, dalle sacrestie, si diceva qualche anno fa...) lo fanno per abitare, in modo discreto ma significativo, come lievito, come sale il loro territorio e le loro relazioni quotidiane. Può anche prevalere in alcuni il senso di “diaspora”, di dispersione e di anonimato, ma se 

1 Vedi Non è una parentesi, pp. 97-120. 2 E’ molto interessante notare il continuo alternarsi nei primi capitoli del vangelo di Marco dell’azione di Gesù “fuori”, per strada e il suo parlare “dentro”, il suo “spiegare” ai discepoli che gli pongono domande proprio in casa, che diventa il luogo delle domande e dell’approfondimento; “dentro” è ad esempio per Gesù la casa di Simon Pietro a Cafarnao nel suo andirivieni sulle rive del lago di Galilea dove già aveva incontrato e chiamato a seguirlo i suoi primi discepoli e molte volte le folle (1,29ss.33.35; 2,13,14ss.; 3,7ss.; 4,1ss.; 5,1s. 21.2438ss.;6,6ss...). 

animato da un amore autenticamente gratuito che si “prende cura” (come abbiamo sperimentato in questo tempo di Covid) diventa una preziosa occasione di incontro e di dialogo come, proprio a Firenze, ci ha inviato a fare papa Francesco. 

Dovremmo avere un atteggiamento ed uno stile evangelici (cf Gaudete et exultate 97), più semplici ed incisivi, che riflettano quello del Nazareno e, come abbiamo visto in Marco, illuminanti anche per la nostra “conversione pastorale”. 

3. La comunità dei discepoli di Gesù, “esce fuori” dalle proprie “case” evangelizzare in termini di “primo annuncio” (o di kerygma, come si dice tecnicamente) e questo va fatto nei luoghi di vita quotidiana, nelle relazioni informali; poi le persone hanno bisogno di un luogo più raccolto e accogliente come la “casa”, dove approfondire, riflettere e quello che si può fare con una “catechesi” adeguata anche alle situazioni personali. Un ulteriore passo e l’accoglienza nella “comunità” intesa anche come “casa comune”, nella quale le relazioni si dilatano e si vive anche la celebrazione della propria fede. 

Questi possono essere i passaggi fondamentali di un “catecumenato” contemporaneo, di un percorso che conosce oltre a itinerari, anche “luoghi”. 

4. Qualcosa del genere può avvenire anche per l’iniziazione alla vita cristiana e sacramentale dei più piccoli, o l’accompagnamento al sacramento nuziale e ad altre esperienze di formazione e di spiritualità. 

Tra l’altro anche la fase 3 dell’emergenza Covid ci porrà domande e anche difficoltà nell’uso dei locali parrocchiali come eravamo abituati prima, soprattutto per i ragazzi che sono molto movimentati e sarà già costretti a strette regole nelle aule scolastiche. 

Da tempo, nelle varie comunità dove ho svolto il ministero, ho proposto alle catechiste e ai catechisti una descolarizzazione 

del catechismo abolendo la terminologia delle “classi”, costituendo “gruppi con nomi evangelici” (Nazareth – Galilea – Giordano – Cenacolo – Cafarnao...) che costituiscono “tappe" di un itinerario. In una di queste parrocchie, per mancanza di sale abbiamo optato per “un catechismo nelle case e con le famiglie” abbinando anche alcuni incontri comunitari in chiesa: inizio e fine anno; avvento e quaresima. Dove è stato possibile ho fatto in modo che fossero coppie di sposati a tenere gli incontri, con la collaborazione di giovani animatori; in tutti i casi quasi spontaneamente si avviavamo momenti “famigliari” di catechesi: tutti insieme, e dedicati ai piccoli e agli adulti. 

5. Anche la preparazione al sacramento nuziale può avere nelle case di coppie già formate un luogo più accogliente e che può facilitare i primi passi del percorso; in parrocchia si potranno avere momenti celebrativi, di spiritualità... 

Quando il gruppo delle coppie non era troppo numeroso, ho preferito tenere gli incontri nella stessa “casa parrocchiale” dove abitavo e non in una sala riunioni. Il tutto è stato più intimo e spesso conviviale, soprattutto quando c’erano una bimba o un bimbo quasi neonato di qualche coppia. 

6. Come si nota non c’è alternativa tra “casa” e “parrocchia”, ma alternanza e complementarietà. 

Nel dinamismo della “chiesa in uscita”, la “casa” ha un ruolo fondamentale, non tanto come “luogo” ma come atteggiamento di “fare casa” con qualcuno per saperla e poterla fare con tutti. Si tratta di una forma delle relazioni che si stabiliscono per strada; a quelle persone dovremmo essere capaci di rivolgere un invito: “Vieni a casa?!”. 

7. In questa “conversione pastorale dei metodi e delle strutture” ci sostiene e ci illumina “la mistica della fraternità” di cui Francesco ci parla in EG 87 che ha il suo centro dinamico nell’incontro e nel dialogo (Firenze2015) e il suo cuore pulsante 

nella “vita comunitaria e impegno con gli altri” (EG 177) come “spazio di fraternità, di giustizia, di pace...” (180). 

Questa è la casa di cui parliamo qui! C’è un episodio evangelico riportato dai sinottici in cui Gesù proclama “la fraternità umana del vangelo”, all’interno di una “nuova famiglia” generata dall’ascolto della sua Parola e della pratica fedele (Luca 8,21), radunata in casa mentre “fuori” stanno i suoi naturali familiari, che sono venuti a prenderselo perché avvertiti che il Nazareno ormai è “fuori di testa” (Marco 3,20- 21.31 e 32b). 

Quella folla assiepata di persone, “sedute attorno a lui in cerchio” (3,34, nella casa di Simone Pietro, presumibilmente i più vicini dovevano essere quei “dodici” poco prima “costituiti” da Lui (v. 16) e che stavano sotto il suo “sguardo” (v. 34a) sono considerati “madre e fratelli”. 

Ecco “la casa della Parola” che è anche “comunità”, a cosa dovrebbero ispirarsi le rinnovate strutture pastorali dell’Istruzione nella loro “conversione” (cf nn. 24-26). 

Mi interesserebbe che un dibattito si accendesse ed arricchisse queste riflessioni, anche perché la fase 3 è alle porte! 

Roberto 


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