giovedì 3 luglio 2025

Vicina è la PAROLA 6 luglio 2025 – Domenica XIV C La PACE comincia da DUE

 Vicina è la PAROLA

6 luglio 2025 – Domenica XIV C

Isaia 66,10-14c / Salmo 66

Galati 6,14-18

Luca 10,1-12 [17-20]


La PACE comincia da DUE

Le immagini televisive dei campi arsi per la siccità non ci fanno certo intravvedere un promettente raccolto; le distese incendiate e annerite delle campagne ucraine non prometto nulla di buono anche per milioni di persone nel mondo… Prevedere il futuro di un nuovo Paese sotto le macerie di Gaza sembra davvero illusorio o campo di approfittatori e speculatori internazionali.

Vedere il primo frutto da raccogliere negli incerti germogli è da esperti e pazienti agricoltori!

Dove lo sguardo coglie desolazione può essere un sogno, un miraggio, un’allucinazione… oppure un afflato di speranza.

Succede così anche quando ci fermiamo dinanzi alle apparenze di una persona, di una situazione senza vedere le sue potenzialità nascoste ma presenti.

Lo sguardo di Gesù, sempre implicito nei racconti evangelici è a volte messo in evidenza: qui vede messi abbondanti nei campi davanti a sé e abili mietitori nei suoi discepoli per lo più pescatori…

Chiede di pregare per questo, ma intanto li manda Lui, pur consapevole delle difficoltà nell’impresa, delle opposizioni; li invita alla fiducia, alla sobrietà e all’essenzialità, all’ospitalità… la riuscita sta nella forza dell’annuncio del “regno” che essi portano e non tanto nelle proprie umane capacità: Dio è qui! È presente tra noi... è all’opera per la pace. [Luca 10]


Contestualizzazione evangelica di Luca 10,1-12 [17-20]

Decenni dopo la giovane Chiesa rilegge le esortazioni del Nazareno ai suoi discepoli e le sente attuali soprattutto nelle sue esperienze missionarie: ha visto numerosi riscontri nei risultati ottenuti, ma anche nei primi insuccessi e persecuzioni; esse vengono scritte e rivolte alle generazioni cristiane che seguiranno come stile di una missione che continua ancora oggi. 

Dopo aver fatto Lui il “passo decisivo” (cf 9,51) adesso il volto/sguardo di Gesù è di orientamento per i 72 che Egli designò per inviarli in coppia, avanti a Lui. Il numero indica l’universalità allora conosciuta, il loro anonimato include tutti e quindi anche noi che veniamo “dopo”, l’andare a due a due è già un inizio di comunità, di una missione condivisa e non solitaria anche se eroica (cf 10,1).

Ora il suo volto si intenerisce nel vedere davanti a sé il campo dell’umanità biondeggiante come una messe e lo indica pronto per il raccolto (v. 2).

Questo è ciò che gli inviati devono annunciare: ogni essere umano è amato dal Padre e il mondo diventa così la casa nella quale si può vivere in fraternità, nell’accoglienza reciproca (v. 2).

Chi è disponibile a farsi operaio senza nessuna pretesa di far da padrone? (vv. 5-9).

È un dono da chiedere al Padre, non una pretesa da avanzare! (v. 2).

Anche i mezzi e lo stile devono essere coerenti con il fine: disarmati, espropriati, ospitali, liberi, capaci di condividere il pane per il sostentamento, senza perdersi in chiacchiere… (vv. 3-4).

Lo shalom del Regno che viene in mezzo a noi entra nelle case e nelle famiglie creando una rete di relazioni nuove: offerto come un dono, accolto un dono da condividere tra poveri seduti alla stessa mensa (vv. 3-9), figli e figlie dell’unico Padre che tutti chiama per nome (v. 20).


Ambientazione liturgica

- Nelle parole usate da Isaia, sempre molto immaginifiche, molto suggestive soprattutto nel suo “terzo libro”, capiamo la forza della sua visione profetica: “ad un popolo in esilio, lontano dalla propria terra, dubbioso e scoraggiato, promette una consolazione invincibile in Gerusalemme, in quella città così miseramente ridotta in macerie dalle invasioni devastanti e dalle deportazioni, fiaccata dalla tristezza e da lutto… proprio lì ci sarà consolazione” [Isaia 66 / I lettura].

Ma come, e quando?

Gli avranno dato credito i suoi connazionali deportati? Avranno tenuta accesa la speranza?

Quelli che portavano il lutto sono invitati a gioire perché il ritorno è iniziato e la Città comincia a riprendere vita. La pace ritorna su di essa e il Signore ve la dirige come un fiume!

Il profeta descrive addirittura la gioia della pace che ritorna (cf Salmo 125).

- Anche la prima Chiesa vede lentamente realizzarsi i frutti della sua missione già affidata da Gesù ai “72” e si sente attraversare da un fremito di gioia perché il Regno di Dio si sta estendendo in tutto il mediterraneo: è il Signore stesso che viene con la sua pace!

Il Vangelo è un annuncio di speranza e di consolazione: è il dono dello shalom di Dio ed è affidato ad un gruppo sparuto di poveri come i loro destinatari ed è per tutti”.

È un dono e va offerto così, senza pretese, sicurezze o tutele; è prezioso in quanto gratuito e chiede solo di essere accolto con ospitalità e condivisione, senza chiedersi perché, ma nella gioia che sgorga dal non possedere nulla di proprio per meritarlo.

La giovane chiesa non deve dimenticarlo nei suoi successi come nei suoi fallimenti.

Dal Povero ai poveri, per mano di poveri, il dono assolutamente gratuito della pace chiede solo di essere portato come tale e da chi in esso si identifica nella certezza dell’amore del Padre unica nostra definitiva dimora” [Luca 10 – Evangelo].

+ Alla mensa eucaristica siamo tutti invitati a condividere il dono dell’Agnello, insieme fratelli e sorelle, nessuno è padrone, tutti siamo servi gli uni degli altri e dei più piccoli, a loro siamo inviati.

Sempre il rapporto tra Parola e storia è stato sconcertante; in essa non c’è mai alcun supporto di potere (anche se le religioni spesso lo hanno usato) né alcuna formula di efficienza su misura umana, per rendere credibile il dono di Dio”. (Comunità di Viboldone)

- Soprattutto nel Nazareno la sua forza si è rivelata nella debolezza della croce e l’apostolo Paolo ne è ben consapevole e lo attesta più volte, anche prendendo le distanze dalle pretese di redenzione già religiosamente acquisite: altro vanto non ci sia per me che la croce di Cristo!

Da quella misericordia nasce l’esperienza di una vita nuova nella pace (cf 5,22), di persone profondamente rinnovate. [Galati 6 / II lettura]

- Quest’opera e questa gioiosa novità possono essere ancora cantate dall’assemblea liturgica [Salmo 66] consapevoli che anche oggi il mondo attende l’annuncio gioioso della pace da parte di persone che ci credono e che l’hanno sperimentata


Preghiamo con la Liturgia

Padre santo e misericordioso,
Dio di consolazione e di pace,
che chiami alla comunione con te tutti i viventi,
fa' che la Chiesa annunci la venuta del tuo regno
confidando solo nella forza del Vangelo.
Amen.


sabato 28 giugno 2025

Vicina è la PAROLA 29 giugno 2025 Santi Apostoli Pietro e Paolo La chiave e la pietra

 Vicina è la PAROLA

29 giugno 2025

Santi Apostoli Pietro e Paolo

Atti 3,1-10 / Salmo 18 / Galati 1,11-20

Giovanni 21,15-19

Atti 12,1-11 / Salmo 33

2Timoteo 4,6-8.17-18

Matteo 16,13-19


La chiave e la pietra

[by Luca Rubin, 27 Agosto 2017: Roccia o sassolino?]

Le relazioni più vere non sono quelle perfette, intatte, appena uscite da una confezione. Sono quelle vissute, ferite, perdonate. Proprio come quella tra Gesù e Pietro. Le relazioni – di amicizia, d’amore, professionali, di qualsiasi tipo – possono essere nuove (ancora impacchettate nel loro cellophane, con bigliettino e libretto di istruzioni), oppure usate: logore, consunte, strapazzate, scucite e ricucite, rattoppate, mancanti di qualche pezzo, lacerate e cicatrizzate.

A una relazione nuova preferisco mille volte una relazione usata, vissuta fino in fondo con tutto ciò che ne consegue: sofferenza, fatica, offese e riconciliazioni, richieste di perdono, rappacificazioni, in un’altalena di emozioni e sentimenti che – diciamocelo – è logorante, ma senza la quale la vita sarebbe vuota, arida e spenta.


Ermeneutica biblica di Matteo 16,13-19

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Se guardiamo la relazione tra Gesù e Pietro, vediamo una relazione consumata, segnata, ma profondamente vera. Nei Vangeli, Pietro è sempre quello che la dice più grossa, che fatica a stare dietro al Maestro, ma che – nonostante tutto – non indossa maschere e dice chiaramente ciò che pensa. Pietro che rinnega e fugge la Passione e la morte del Signore. Pietro che grida: “Non lo conosco!”, che piange, ma non dispera. Pietro che riconosce la propria miseria e sperimenta la misericordia di Dio: un Amore che perdona e accoglie, sempre.

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Questa premessa ci porta al Vangelo di questa domenica. Secondo te, chi è davvero la pietra: Pietro o Gesù? Pietro ha fatto esperienza del proprio limite, si è scontrato e schiantato col proprio nulla, ha conosciuto la miseria e la misericordia, ha ricevuto il perdono del Signore. In tutta questa esperienza profondamente umana, chi è stata la Roccia, la base da cui ripartire?

Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, 

ed è diventata la pietra d’angolo” (Atti 4,11)

Gesù è la pietra, la roccia su cui fondare la nostra vita. È su di Lui che possiamo poggiare la nostra debole speranza e ripartire ogni volta, dopo ogni sconfitta. Proprio come ha fatto Pietro, che non si è mai illuso di essere roccia, ma si è affidato – pur tra fatiche e tentennamenti – alla Pietra vera, Gesù, roccia di salvezza.

A te darò le chiavi del Regno di Dio.”

Nell’immaginario collettivo, Pietro è da secoli il portinaio del paradiso, proprio in base a queste parole. Ma è interessante notare che nel Nuovo Testamento ci sono solo due menzioni di chiavi: questa, e quella dell’Apocalisse:

Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente.

Ero morto, ma ora vivo per sempre, 

e ho le chiavi della morte e degli inferi.” (Apocalisse 1,18)

Queste chiavi le ha Pietro o Gesù? Il versetto dell’Apocalisse parla di Gesù, il Vivente.

La chiave è la croce, la morte e la risurrezione di Gesù. A Pietro – e a noi – è affidata questa chiave, non per dominarla, ma per servirla. Come Pietro, anche noi siamo chiamati a vivere questa chiave non per orgoglio, ma per servire, senza dimenticare che Gesù è la Roccia e la Chiave che aprono la vita.

Come Pietro

Pietro ha fatto esperienza di se stesso e di Gesù. Si è fidato e affidato. 

Ha saputo chiedere e ricevere perdono. È sempre rimasto discepolo, cioè in cammino.

È Gesù la Pietra. È Gesù la Chiave.

Il Vangelo di oggi ci invita a riscoprire la nostra vocazione di credenti che fanno esperienza dell’amore di Dio. Una relazione consumata con Dio, come un vecchio quaderno: pieno di macchie, strappi e correzioni. Imperfetta, ma autentica. Le pagine raccontano una storia viva, fatta di errori e ripartenze. Proprio come quella di Pietro: macchie, cancellature, fogli strappati dal nervosismo di chi ha sbagliato, ma vuole ripartire.

Gesù Roccia, Gesù Chiave. Anche per te, oggi.

Oggi, come Pietro, puoi ancora affidarti alla Roccia e accogliere la Chiave.

La tua relazione con Dio, vissuta, segnata e autentica, è il punto di partenza per ogni nuova ripartenza.


giovedì 19 giugno 2025

Vicina è la PAROLA 22 giugno 2025 Corpo e Sangue del Signore/C Spezzare per MOLTIPLICARE Fame e sete… di cosa, di Chi?

 Vicina è la PAROLA

22 giugno 2025

Corpo e Sangue del Signore/C

Spezzare per MOLTIPLICARE

Genesi 14,18-20 / Salmo 109

1Corinzi 11,23-26


Luca 9,11-17


Fame e setedi cosa, di Chi?

Di cosa abbiamo davvero fame? 

Si tratta solo di un istinto primario di sopravvivenza o piuttosto di una carenza che chiede qualcosa di più profondo? I disturbi alimentari diffusi nella nostra società “del benessere” ce lo attestano: non è questione di appetito o di gusto, nemmeno la consapevolezza che, in un contesto dove il superfluo sostituisce il necessario e il bisogno viene indotto dall’offerta di mercato, è più difficile capire cosa sia essenziale per vivere e da dove provenga la nostra fame o sete. 

Un malessere può indicare una mancanza, ma la scelta della “alimentazione” parte dalla ricerca di cosa valga davvero la pena di avere, “il pane sostanziale” da chiedere ogni giorno (cf Matteo 6,11) a cui non si può rinunciare per vivere: l’amore!

Quando a tavola condividiamo il cibo nella festa e nella gioia non sono forse i nostri cuori ad essere saziati?!

Fame di vita e sete d’amore in diversi modi hanno a che fare col cibo e ci indicano la necessità di un “dono” che appaga (cf Giovanni 4,8.10.15,31-34). Quando riusciamo a riconoscerle e a dargli un nome; nel momento in cui ci accorgiamo che ci accomunano e che più ci separiamo crescono in modo insaziabile... allora un processo vitale inizia ad innescarsi interiormente.

La “beatitudine” di “chi avendo necessità -fame e sete- di un nuovo rapporto con Dio viene finalmente saziato” (Mt 5,6) è un altro segno che “non di solo pane vive l’essere umano” (cf 4,4)

Altro che “buco nello stomaco” da riempire… una voragine chiede di essere colmata! (cf Luca 3,5). Anche S. Madre Teresa, che di persone ne sfamò a migliaia, riconosceva che dopo aver saziato il corpo occorreva dare “un senso per vivere”.

Condividere la fame ci fa apprezzare il “dono” del pane, soprattutto quando Chi ce lo dona non lo paracaduta dall’alto, tipo “intervento umanitario”, facendoci sgomitare per accaparrarcelo, ma ce lo “offre” come dono d’amore per essere a sua volta compartito (cf Giovanni 6,32.39): per noi “lo/si” spezza donandoci una nuova identità unitaria e facendoci assaporare in anticipo il gusto della compagnia solidale, premessa profetica di quella divina.


Ermeneutica evangelica di Luca 9,11-17

La Parola del Regno è prossimità del Nazareno alle “folle bisognose di cure”: una persona che si muove tra loro e sta con loro dall’alba al tramonto (cf vv. 11-12).

Non vuole nemmeno farsi staccare da loro, anzi i loro bisogni vitali lo attraggono, li accomuna lo stesso “deserto” che lui ha dovuto frequentare anni prima, la stessa tentazione di una soluzione “scorciatoia” (cf 4,1.3-4) che egli rifiuta optando per la più ardua, non miracolistica e meno eclatante ma ugualmente prodigiosa: il prendersi cura con amore!

Voi stessi date loro da mangiare/date loro voi stessi da mangiare” (cf 9,13).

È comunque una provocazione che chiede un coinvolgimento personale, il far ricorso a qualcosa di proprio e non di preconfezionato. Le risorse da mettere in campo sembrano sempre in questi casi inadeguate e insufficienti (cf vv. 12.13), fino a che Qualcuno, con la forza della sua Parola, non accende lo sguardo e scalda il cuore (cf Luca 24,30-32): 5x5000 è la proiezione all’infinito dell’amore che non ha limiti ma che inizia dal possibile 5x10: il prodigio è già in atto e inizia a dare frutto radunando e facendo stare insieme, in gruppo che è l’inizio della comunità (cf vv. 14-15).

Sarà poi, nel pieno del 50esimo giorno, la Pentecoste, a diventare Chiesa che “spezza il pane in letizia e semplicità di cuore… senza che più a nessuno manchi il necessario per vivere” (cf v. 17 e Atti 2,1.42.46; 4,35). 

Spezzare e condividere fa moltiplicare”: è il prodotto dell’amore che implica il dono di sé e che alla fine consente a ciascuno dei dodici di andar via con una cesta piena di avanzi, custodi della provvidente carità. In tale contesto le parole e gesti eucaristici, per lungo tempo considerati quasi “magici”, acquistano e sprigionano tutta la loro potenza, nella fragilità dei loro segni (cf v. 16).


Ambientazione liturgica

Gesti inediti e parole prima sconosciuti si erano già impressi nella memoria di un popolo, sono quelli di Melchisedek re di Salem incontrando Abramo: ringraziamento per una vittoria bellica sui propri nemici [Genesi 14 – I lettura], così che la successiva tradizione biblica vede in lui una profezia del re David e del Messia [Salmo 109].

Nella memoria dei discepoli di Gesù la “tradizione”, come consegnarsi, è andata oltre le sue parole, i suoi gesti col pane ed il vino della cena pasquale [1Corinzi 11 – II lettura] e mesi prima nello spezzare il pane per una folla affamata di vita, in una radura assolata, gente oppressa da malattie e mali. Ciò che Egli si era rifiutato di fare per sé (cf Luca 4,2-4), ancora nel deserto provvede pane in abbondanza per tutti e a partire dalla povertà di quello che viene portato, insufficiente a sfamare [Luca 9 – Evangelo].

E’ un gesto profetico del dono di sé che solo l’amore può autenticare.

L’amore, che appaga e unisce, fa di noi un corpo solo come quella folla una comunità; la misericordia che parte dalla nostra povertà quotidiana e la sazia, la trasforma capace di saziare effetto della risurrezione, la vera vittoria per cui ringraziare sul potere del male e della morte che rende l’umanità capace di donarsi e offrirsi in quanto corpo del Cristo donato [Paolo ai Corinzi]. Questo il Padre riconoscerà: la sua misericordia fatta carne, storia quotidiana, vita nella gioia”.

(Comunità di Viboldone)

Preghiamo con la Liturgia

Padre, buono e provvidente,
che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
fa’ che nella partecipazione
all’unico pane e all’unico calice
impariamo a condividere con i fratelli e sorelle
i beni della terra e quelli eterni.
Per il nostro Signore Gesù,

Cristo tuo Figlio che è Dio,
e vive e regna con te, 

nell’unità del tuo Spirito, 

ora per l’eternità. Amen.


Vicina è la PAROLA 6 luglio 2025 – Domenica XIV C La PACE comincia da DUE

  Vicina è la PAROLA 6 luglio 2025 – Domenica XIV C Isaia 66,10-14c / Salmo 66 Galati 6,14-18 Luca 10,1-12 [17-20] La PACE comincia da DUE...