venerdì 26 luglio 2024

Vicina è la Parola 28 luglio-25 agosto 2024 XVII-XXI Domeniche anno B Un PANE che sazia con AMORE

Vicina è la Parola
28 luglio-25 agosto 2024
XVII-XXI Domeniche anno B







Un PANE che sazia con AMORE

Giovanni 6,1-71


Nelle prossime domeniche dal 28 luglio al 25 agosto [XVII-XXI Anno B], la Liturgia della Parola ci proclamerà il capitolo 6 del vangelo di Giovanni: il segno della prodigiosa distribuzione da parte di Gesù dei “5 pani e 2 pesci ai 5000” (6,1-15) e il suo successivo discorso, nella sinagoga di Cafàrnao, sul “Pane di Vita” (6,24-69).

In questo modo si crea “un’inserzione giovannea” nella proclamazione liturgica del racconto evangelico di Marco -che ci guida in questo ciclo B- dopo 6,30-34 (XVI domenica) sostituendone la narrazione (cf 6,34-46). 

Il motivo di questo inserto preso dal vangelo di Giovanni è dovuto alla brevità di quello di Marco per coprire tutto l’anno liturgico, il che confermerebbe inoltre la tesi che il riferimento evangelico per Giovanni sia proprio Marco, pur essendo questo episodio riportato anche da Matteo (14,13-21) e da Luca (9,10-17).

La narrazione ci dice di una “distribuzione per suddivisione” e non di una “moltiplicazione” (termine assente in tutte le narrazioni evangeliche) che invece, usato abitualmente, ci induce al miracolistico e ancor più gravemente a deresponsabilizzarci nei confronti dei bisogni altrui invocando come sempre “un miracolo dall’alto”!

Inoltre il capitolo 6 ha un posto centrale nel racconto evangelico di Giovanni, sia per la comprensione della messianicità di Gesù che vuole dare ai suoi lettori, sia per il profondo contenuto catechetico in riferimento all’Eucaristia e all’intera esistenza cristiana che trova in Cristo colui che dà se stesso a noi come pane per la nostra Vita autentica e incorruttibile.

Anche per questa ragione esso viene proclamato nella II e III settimana del Tempo Pasquale: II venerdì vv. 1-15; II sabato vv. 16-21; III lunedì vv. 22-29; III martedì vv. 30-35; III mercoledì vv. 35-40; III giovedì vv. 44-51; III venerdì vv. 52-59; III sabato vv. 60-69.

Sarebbe davvero grave che una catechesi così essenziale per la nostra vita cristiana, anche di comunità, andasse perduta per il solo fatto che nel periodo estivo siamo più “dispersi” (una preoccupazione anche di Gesù. A questo proposito, il racconto di Marco (nei vv. 32-34 proclamati domenica scorsa) fa notare Gesù che, “mosso dalla compassione per la folla che era come pecore senza pastore si mise ad insegnare a lungo la riva del lago” ed ora sazia in modo definitivo, messianico, “la fame esistenziale” di ogni essere umano (così come la sete in Giovanni 4,14; 6,35, 7,38).


Giovanni 6,1-71: il “segno dei pani”, segno dell’Eucaristia?


Prima di iniziare la lettura di Giovanni 6 è forse utile premettere ciò che dovrebbe essere una conclusione, partendo dalla domanda: il “segno dei pani” compiuto da Gesù e soprattutto il discorso che ne segue hanno un significato ed un valore eucaristico? L’evangelista vuole così esplicitamente sviluppare una “teologia eucaristica”? 

1 - Le comunità cristiane, già da decenni, celebravano la Cena del Signore ripetendo i gesti di Gesù (cf 1Corinti 11,23-24; Mc 14,22ss.; Mt 26,26ss.; Lc 22,19ss.) e sono gli stessi gesti che compie qui, anche se in un contesto diverso (cf Gv 6,11). Probabilmente erano gesti abituali che poi diventeranno “simbolici” nella cena pasquale, Giovanni però li omette nel suo racconto (cf 13,4 ss.) per mettere in guardia le sue comunità dalla superficialità di celebrare formalmente un rito che non esprima nella condotta il suo significato di amore “fino alla fine” (13,1). 

2 - Inserendoli nel capitolo 6 vuole lasciare al lettore e alla comunità di attribuirvi il valore che ritengono più opportuno alla luce dell’intero racconto evangelico che si nota essere ricco di allusioni variamente eucaristiche sin dall’inizio e dove il sovrabbondante agire divino non può essere vincolato e costretto in termini oggettivi (cf 12,1-3; 13,2; 15,1-8; 21,5.9-10.12a.13. E. Borghi).

3 - Il “tenore eucaristico” inizia dai vv. 35-58 ed aumenta man mano che il discorso procede, dove “nutrirsi di Lui” significa per i suoi ascoltatori e interlocutori fare propri gli atteggiamenti di Gesù in quanto Figlio nei confronti della volontà del Padre (cf 4,34), accogliendo il suo dono vitale e vivificante (cf vv. 53-57) e proprio in questo emerge il contenuto del “gesto eucaristico” anche per noi! (S. Panimolle; R. Fabris)

4- Il realismo dei verbi ricorrenti: mangiare, bere, masticare suppone l’esperienza in atto dei “gesti e segni eucaristici”, l’essere in comunione fisica e vitale con il Figlio, come Lui con il Padre: “Chi mangia Gesù, partecipa al dinamismo vitale che deriva dal Padre e che, attraverso il Figlio, si trasmette ad ogni credente in Lui”. 

Comunque sia, la finalità di tutta questa “catechesi” è di “accendere in noi la voglia di vivere come Lui; risvegliare la nostra coscienza di discepoli e seguaci per fare di Lui il centro della nostra vita. Senza cristiani che si nutrano di Gesù, la Chiesa languisce senza rimedio” (J. A. Pagola).


Giovanni 6,1–15 / domenica 28 luglio [XVII B]

vv. 1-4: Lo seguiva molta folla. Era vicina la Pasqua, la festa dei giudei.

Il mare di Tiberiade è lo scenario dove sta avvenendo ciò che Giovanni racconta (cf vv. 1.16-17.22) e sarà anche il luogo della terza e ultima manifestazione del Risorto ai suoi discepoli (cf 21,1). La sua traversata, forse verso Bestaida (6,1a), avviene dopo che Gesù aveva guarito l’infermo alla piscina di Betzatà in Gerusalemme (cf 5,1-6) e da cui era nata la prima accesa discussione con i capi Giudei sul suo operato “illegale” in giorno di sabato (vv. 7-17) che gli aveva dato occasione di tenere loro un lungo discorso sulla sua identità di Figlio che agisce in comunione con il Padre e ben “oltre” la Torah (vv. 18-46).

Per questo motivo le autorità avevano preso la decisione di ucciderlo (cf 5,18), mentre la “folla numerosa lo seguiva vedendo i segni che compiva sugli infermi” (6,2). 

L’atteggiamento di Gesù che sale sul monte, si siede con i suoi discepoli (cf v. 3) e il suo sguardo sulla moltitudine (cf v. 5) ci dice anche la sua intenzione nel dire e nel fare quello che seguirà: corrisponde allo sguardo di Dio sull’umiliazione del suo popolo schiavo in Egitto che ha deciso di “scendere” a liberarlo (cf Esodo 2,25; 3,7-8).

Lo stesso annota Matteo prima del suo “discorso” (cf 5,1; anche qui è presente la grande folla che porta “tutti i malati…” 4,23-25; vedi Mc 3,17-12.); Luca riporta lo stesso fenomeno da parte della “moltitudine di gente” (cf 6,17b-19). Il racconto di Marco fa notare Gesù che, “mosso dalla compassione per la folla che era come pecore senza pastore” (cf Zaccaria 10,12; Giuditta 11,19), non solo “si mise ad insegnare a lungo la riva del lago” (Mc 6,34), ma sazia in modo definitivo, “messianico”, la fame “esistenziale” di ogni essere umano (così come la sete in Giovanni 4,14; 6,35, 7,38). 

Infatti, l’evangelista aggiunge un altro indizio: “Era vicina la Pasqua, la Festa dei Giudei” (v. 4); ma Lui è ancora in Galilea e nemmeno si sa se parteciperà alla festa o meglio se vorrà parteciparvi nonostante il parere dei suoi “fratelli” e le interferenze delle autorità giudaiche (cf 7,1-14). Anche questa inclusione è interessante.

Quindi il contesto “teologico” del racconto è molto alto: perché la folla non sale a Gerusalemme, dove nel Tempio si sacrificavano gli agnelli, ma segue Colui che già il Battezzatore aveva indicato come “l’agnello di Dio”? (cf 1,29; vedi Ezechiele 34,16). Gli infermi sono come il popolo schiavo in Egitto e per loro, come con Mosè, inizia un nuovo esodo, definitivo: lasciano l’ormai inutile Festa dei giudei perché vedono “i segni” di uno che “vede” le loro necessità e se ne prende cura.


vv. 5-15: Prese i pani, rese grazie e li distribuì.

Nel racconto di Giovanni, diversamente dai Sinottici (Mc 6,32-44; Mt 14,13-21, Lc 9,10-17 dove i discepoli fanno notare la gravità della situazione e consigliano Gesù sul da farsi) è Gesù stesso che si pone il problema dell’eventuale mancanza di cibo per la folla e chiede la collaborazione dei suoi ponendo, come sempre, delle domande (cf vv. 5-6).

Filippo è il primo che risponde, in modo molto pragmatico, badando alla spesa da sostenere per l’impresa (cf v. 7); poi si fa avanti Andrea con una proposta sconvolgente, di cui è consapevole per l’inadeguatezza del suo tentativo: “un ragazzino [un servo] con cinque pani d’orzo e due pesci arrosto… per 5000” (cf vv. 8-9), il pane dei poveri.

Ciò che stupisce di più però è la tattica di Gesù (v. 10): fa adagiare i cinquemila uomini dov’è erba (è primavera quindi abbondante), non “pecore che pascolano” (cf cap. 10; Mc 6,34 e parr.), ma commensali “sdraiati” ad un banchetto. Gesù stesso prende in mano la situazione e come alle nozze di Cana dirige la mensa (cf 2,7). 

Sembra il realizzarsi delle profezie sul banchetto messianico per tutti i popoli sul monte (cf Isaia 55,1-3; 65,13).

I gesti compiuti qui per sfamare la folla: “prese i pani e, avendo reso grazie, li distribuì a chi giaceva. Similmente anche dei pesciolini, quanti ne volevano” (v. 11), si comprendono a pieno come “segno” di ciò che Lui farà della sua esistenza di Figlio: una Vita donata per la vita del mondo. A noi, che li ripetiamo nel rito eucaristico, permettono di capire che ogni “segno” svolge la sua funzione in relazione ad una realtà e non il contrario. La prodigiosa distribuzione dei pani ci parlerà di eucaristia se entrambi ci spingono ad entrare nel dono del Figlio di Dio per noi. Infatti, così Egli farà prendendo la sua vita tra le mani, offerta al Padre per noi, come il pane; rendendo grazie per il dono ricevuto da Lui e distribuendolo Egli stesso, non i discepoli come nel racconto dei Sinottici.

Questa logica del dono, del donare investe tutto il senso che Giovanni vuole dare alla missione di Gesù come Inviato “per amore del mondo” (cf 3,16) ed è chiara la sua intenzione di coinvolgere anche i discepoli, facendo svolgere a loro il compito di servitori che devono “raccogliere i pezzi in sovrappiù…” (vv. 12-13); il simbolismo delle “dodici ceste” è significativo riguardo a loro ed anche per noi! 

L’espressione “date voi stessi da mangiare” (cf Mt 14,16 e Lc 9,13) indica che non si tratta di dare qualcosa, seppur pane di cui si ha estrema necessità, ma se stessi.

Infatti è prodigioso l’atteggiamento di condivisione che moltiplica le risorse a disposizione in modo sovrabbondante per tutti, questo è già il miracolo! Il “prodigioso” del segno sta nel fatto che qualcuno metta a disposizione della folla affamata ciò che è suo e invocando gesti miracolistici.

E come l’amore di Dio è a spreco! 

Si verificano due conseguenze anche per noi:

1. anzitutto il servizio, svolto con e per amore, genera una compagnia (cum panis) e una fraternità, effetti dell’amicizia e della presenza di Gesù con noi (cf 15,14-15);

2. inoltre si genera una comunità: cinquemila sono qui le persone saziate, come cinquemila saranno i membri della prima comunità di Gerusalemme nella quale si praticava la condivisione dei beni (cf Atti 4,4.34; 2,42-45). Questo fonda lo stretto e reciproco legame tra chiesa - eucaristia e carità, tanto vivo e critico nella realtà attuale, anche a livello di organismi ecclesiali!

Per chi è dunque il segno

La folla sembra cogliere soltanto una comoda opportunità di sussistenza, per cui vuole “farlo re” anche se lo riconosce come “il profeta veniente nel mondo” (vv. 14-15).

I discepoli sono invitati dal Maestro ad entrare nella sua “logica del dare e del servire”: con loro la comunità dei credenti ed in essa anche noi.

Gesù si ritira sul monte, stavolta da solo, mentre i discepoli scendono verso il mare e si imbarcano per Cafarnao (cf vv. 15-17). In questo distacco c’è un’intenzione che si chiarirà nell’episodio che si intromette tra il “segno” e il “discorso” e che apparentemente sembra interromperlo (cf vv. 16-21)

A. Maggi vede un richiamo al ritirarsi di Mosè sul monte dopo il tradimento idolatrico del popolo (cf Es 32,4ss.); così fa Gesù rifiutando il tentativo idolatrico di farlo re? Il ritorno dei discepoli a Cafarnao indicherebbe che non condividono questa sua scelta e preferiscono la vita di prima (il ritorno in Egitto per Israele, cf Nm 14,11) così li avvolge il “buio” e sono presi dalla “paura” al vederlo perché pensano ad un castigo da parte sua.



venerdì 19 luglio 2024

Vicina è la Parola 21 luglio 2024 / XVI Anno/B Tenerezza con chi è vicino Compassione per chi è lontano

Vicina è la Parola

21 luglio 2024 / XVI Anno/B
Geremia 23,1-6 / Salmo 22
Efesini 2,13-18
Marco 6,30-34

Tenerezza con chi è vicino
Compassione per chi è lontano
Contestualizzazione evangelica di Marco 6,30-34
Sembra quasi un “quadretto famigliare”: i discepoli che tornano da Gesù a raccontargli delle loro “imprese” per cui li aveva inviati (cf Marco 6,7-13 proclamato la scorsa domenica).
La scena emana infatti una profonda tenerezza: descrive Gesù “preoccupato” per la loro stanchezza, alla ricerca di un luogo “solitario” per loro, ma anche per se stesso dato che “era davvero tanta la folla che andava e veniva, e loro non avevano neanche il tempo per mangiare” e si presume forse nemmeno per dormire! (6,31).
La gente ha bisogno di loro… di Lui, non può farne a meno e sono sempre sulle loro tracce.
Alla loro vista, la tenerezza di Gesù si trasforma in compassione, una delle caratteristiche tipiche dell’amore del Signore per il suo popolo, soprattutto schiavo in Egitto (cf Esodo 2,24-25; Salmo 145).
Gesù “sente su di sé” la loro sofferenza e non si sottrae all’urgenza… in nessun momento; il suo sguardo è interiore e sa cogliere i veri bisogni dell’umanità per questo li “nutre” anzitutto con la sua parola, perché sono “smarriti” “come pecore che non hanno un pastore” (v. 34; cf Mt 4,23; 9,36).
Allora Egli non solo “si mise ad insegnare a lungo la riva del lago”, ma sazia in modo definitivo, “messianico”, la fame “esistenziale” di ogni essere umano (così come la sete in Giovanni 4,14; 6,35, 7,38).
Anche perché l’unico che in qualche modo si era preso cura di loro, Giovanni il battezzatore, era stato fatto uccidere da Erode (cf 6,17-29).
In Marco l’episodio seguente, della ripartenza sul lago (vv. 32-34), introduce “la prodigiosa distribuzione dei cinque pani e due pesci alla folla affamata” (cf vv. 35-44) che ascolteremo domenica prossima, ma nella versione di Giovanni 6,1-15 che sostituirà quella di Marco; anche lì, ma di seguito, si fa riferimento all’attraversata del lago ed alla ricerca di Gesù da parte della gente (cf 6,16-25) che gli darà l’occasione del lungo discorso sul “pane della Vita” ambientato nella sinagoga di Cafarnao e che noi ascolteremo dalla XVII alla XXI domenica (cf vv. 26-71).
Ambientazione liturgica
Una lettura superficiale ci poterebbe a pensare che loro, le pecore, ad essersi perdute (cf Matteo 18,12); invece sono state invece abbandonate e maltrattate, “disperse e lasciare morire” proprio da color che avrebbero dovuto invece prendersene cura da pastori e invece le hanno “scacciate”, allontanate da se stessi ma soprattutto dall’amore di Dio che però non le abbandona e interviene in loro favore, viene il loro soccorso come “vero pastore” (cf Luca 15,4-7), suscitando e inviando loro una guida adeguata [Geremia 23 – I lettura].
Basta leggere il capitolo 10 del vangelo di Giovanni per renderci conto del perché e di come Gesù di definisca “vero pastore” che realizza le profezie messianiche, in netta opposizione con il potere esercitato dalle autorità religiose, farisaiche in particolare, che si comportano nei confronti del popolo del Signore come “mercenari… ladri e briganti” e non da pastori (cf Ezechiele 34,1-10; Zaccaria 11,4…16; Giuditta 11,19).
Fuori metafora la realtà, come la descrive Paolo alla comunità cristiana di Efeso, è per più profonda ed universale.
Un “pastore” che conduce con la sua parola [Salmo 22] e che “riconcilia nel suo sangue”, così in se stesso ricostruisce l’unità del gregge disperso, con il dono della sua vita [Efesini 2,13 – II lettura].
Solo chi è disposto a donare la propria vita può fare da guida, da pastore.
Nell’esistenza “umano-divina” di Gesù, nella sua tenerezza e compassione, ogni separazione è ricucita, ogni distanza recuperata e l’umanità divisa ritrova la sua unità, così come ogni “stanchezza” è risanata.
È Colui che abbatte i muri delle nostre innumerevoli divisioni, volti diversi dell’unica inimicizia: l’egoismo autosufficiente. Nessun “golpe” o colpo di mano vistoso ed eclatante, semplici gesti di amicizia e di cura che possono sostenere il nostro anelito ed impegno di pace per un mondo pur sempre disgregato.
L’unica sua forza è la fiducia nel Padre, fonte di ogni vera giustizia, esente da ogni ostentazione di potere o di controllo sulle vicende mondane, che si traduce nella sollecitudine per le infermità della sua gente e nello smettere mai di rivolgergli parole di speranza e di gioia.
Costui e questa è la nostra pace!
A questa dobbiamo convertirci, cambiando la nostra mentalità, accettando anzitutto di essere pacificati dentro noi stessi e con gli altri in questo modo, di non avere altro motivo e forza per promuovere la pace, in mezzo alla stanchezza, al tempo perso, agli smarrimenti della nostra fragile umanità.
“Tutto ciò che è legge oppressiva diventa libertà, tutto ciò che è estraneità diventa un corpo solo. 
La sua compassione e non la nostra è nostra pace. 
Il suo corpo crocifisso e non il nostro è unificazione di tutto ciò che nella nostra corporeità resta ancora diviso.
Riconoscerlo… per abbattere tutti nostri “patteggiamenti” opportunistici più o meno camuffati di buone intenzioni”.
Preghiamo con la Liturgia
O Padre,
ci nutri con la Parola ed il Pane di Vita
ed offri alla tua Chiesa la confortante presenza
del Signore risorto,
Lui il vero e compassionevole pastore
che crea in se stesso la riconciliazione e la pace,
Egli vive con te, nello Spirito,
per sempre. Amen.


Vicina è la Parola 28 luglio-25 agosto 2024 XVII-XXI Domeniche anno B Un PANE che sazia con AMORE

Vicina è la Parola 28 luglio-25 agosto 2024 XVII-XXI Domeniche anno B Un PANE che sazia con AMORE Giovanni 6,1-71 Nelle prossime domeniche...