sabato 11 maggio 2024

Vicina è la PAROLA 12 maggio 2024: Ascensione del Signore - Non guardare in alto… ma dall’alto

Vicina è la PAROLA

12 maggio 2024: Ascensione del Signore
Atti 1,1-11 / Salmo 46
Efesini 4,1-13
Marco 16,15-20
Non guardare in alto… ma dall’alto
Oggi, più che mai occorre uno “sguardo” prospettico e corretto sulla realtà e sulla storia.
C’è una “mistica contemplativa del reale” che implica una prospettiva per nulla opposta a quella “dal basso” in quanto aderente al vissuto quotidiano, ma necessaria ad intravvedere ciò che spesso non è immediatamente percepibile…  la presenza dell’Amore in tutti ed in tutto!
È un’urgenza e un’opportunità per evitare ogni “evasione altrove” e scoprire tutta la portata della trama entro la quale di svolge anche la nostra esistenza, il suo senso ed il suo valore, anche nei percorsi “storti” in mezzo ai quali incessantemente si fa strada la Vita.
Scorgiamo così una “trasparenza” che aiuterà ciascuno a vedere la sua situazione già ascoltata, “presa in carico”, amata… da Chi vedremo “venire nello stesso modo in cui è andato”.
Ermeneutica evangelica di Marco 16,15-20
Siamo nel ciclo liturgico B e quindi in questa festa ascoltiamo la “finale lunga” del racconto evangelico di Marco, quasi un’appendice postuma dove, dopo aver riassunto i “fatti” inerti la risurrezione del Nazareno con le sue manifestazioni ai discepoli (vv. 9-14), il Risorto riprende la parola ed apre loro una missione universale in continuità con la sua: “proclamate il Vangelo” (v. 15 cf 1,14). Il contenuto del suo “congedo” da loro (v. 19) ha espressioni per lo più paradossali ed improbabili se non sono lette alla luce di quanto Lui per primo ha compiuto ed ha affidato ai suoi.
Credere ed incredulità ricorrono 6 volte nei precedenti versetti indicando il cammino dei discepoli/credenti che con la morte del Nazareno faticano ad entrare nella Risurrezione e che proprio offrendo ad altri la possibilità di credere confermeranno la loro fede.
La reale efficacia dei “segni che accompagneranno coloro che avranno creduto” è comprendibile alla luce dell’esperienza di Israele nell’esodo e soprattutto di Gesù come è narrata in questo vangelo: 
- eliminare il male che separa e il senso di colpa che opprime condividendo la sofferenza altrui;
- saper comunicare relazionandosi con tutti in modo nuovo;
- guardare in faccia alla realtà umana, avvelenata nelle sue relazioni,
senza paura di mettervi mano e di assumerla;
- prendersi cura di chi soffre “toccando” la sua infermità (cf vv. 17-18).
Dopo aver parlato loro fu elevato in alto e sedette alla destra di Dio” è un accenno conclusivo ma che dice la necessità di questo “distacco” del Maestro dai discepoli affinché loro possano agire efficacemente: “uscendo ad annunciare dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava” (vv. 19-20).
Una visione sobria e realistica di quanto anche noi possiamo sperimentare.
Ambientazione liturgica
Anche noi nella celebrazione eucaristica siamo invitati dal Signore che vuole “mangiare con noi” e così il massimo dello stare con noi, in mezzo a noi, coincide anche con la perdita della sua percezione fisica e ci costringe ad aprirci ad una nuova e unica misura di relazione: l’Amore, testimoniato fino alla fine anche dal resoconto di Atti 1 [I lettura]. Nel suo sottrarsi a noi, siamo noi attratti e introdotti nella sua stessa realtà, partecipi della sua pienezza; così Lui è per sempre con noi, perché noi siamo ormai in Lui.
Lo Spirito donato dal Risorto occupa lo spazio intermedio e lo anima della sua Presenza attraverso il nostro “stare insieme”, comunità che vive, crede e celebra la sua Pasqua attraverso la Parola, i segni eucaristici, i volti dei fratelli e sorelle radunati da Lui. 
Avvenimento che sempre sconcerta le nostre misure umane di valutazione della prossimità di Dio e ci conduce ad aprirci alla misura unica, vera, che coglie la prossimità dell’altro: l’Amore, Dio in Gesù ama l’umanità introducendola nella sua e nostra “pienezza” [Efesini 1 II lettura].
Dio rimane ormai per sempre vicino: questo annuncio di gioia che già i discepoli portavano in cuore vedendo Gesù sottrarsi ai loro sguardi, questo vangelo, è il Dono affidato alla chiesa che, come corpo di Cristo, è chiamata a manifestare ogni giorno la “sua” pienezza che si realizza interamente in tutte le cose, poiché in tutte le cose l’Amore può realizzarsi” (Comunità monastica di Viboldone).
Gesù di Nazareth, dopo l’esperienza di aver vissuto umanamente “trascina con sé” la natura umana e l’umanità in un destino di divinizzazione, in un nuovo rapporto di “piena unità” con il Padre: la sua ascensione è il compimento dell’assunzione dell’essere umano.
I testi dell’eucologia liturgica sono ricchi di tanti spunti [Colletta – Offerte – Prefazio I e II – Comunione] in essi si intrecciano e si sviluppano le tradizioni neotestamentarie sulla glorificazione di Cristo e sul destino dell’umanità in Lui, di questa “nuova relazione” con Dio e del suo “stare in Dio” con Lui. Si sente l’influsso della teologia patristica di Agostino, Gregorio di Nazianzo, Leone magno, Origene…
La Liturgia della chiesa spalanca il cielo in terra e porta la terra in cielo.
L’ascensione è il momento eterno del nostro accesso alla comunione con il Padre… e con i nostri fratelli e sorelle ogni volta che “usciamo da noi stessi” per entrare nelle situazioni altrui con quella tenerezza e compassione che ha caratterizzato il calarsi del Figlio nella nostra vicenda umana. Più scendiamo abbassandoci (cf Filippesi 2) e con l’umanità ascendiamo in Colui che dell’umanità ha fatto la sua sposa, infatti “non si è separato dalla nostra condizione umana… dove è Lui, nostra testa, siamo anche siamo anche noi suo corpo” [Prefazio I; cf Efesini 5].

Preghiamo
Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre,
per il mistero che celebra in questa liturgia di lode,
poiché con tuo Figlio 
la nostra umanità è innalzata accanto a Te,
e noi, membra del suo corpo,
viviamo nella speranza di raggiungere Lui,
nostro capo, nella risurrezione.
Amen.

sabato 4 maggio 2024

Vicina è la PAROLA 5 maggio 2024: VI Domenica di Pasqua L’amore rimane: tu rimani?

Vicina è la PAROLA

5 maggio 2024: VI Domenica di Pasqua
Atti 10,25…48 / Salmo 97
1Giovanni 4,7-10
Giovanni 15,9-17
L’amore rimane: tu rimani?
Rimanere nell’amore” è tutt’altro che “comodo”: all’inizio ci sentiamo coccolati, al sicuro, finalmente protetti… capiti e in un certo senso arrivati perché riteniamo di avere chi o ciò che cercavano. Così smettiamo di cercare… mentre è proprio allora che viene “il bello” del faticare non per costruire in noi stessi un “nido”, ma per allargare gli orizzonti, aprire percorsi, avventurarsi in sentieri rischiosi, per lasciarsi andare e mollare la presa, affidarsi e abbandonarsi, crescendo nella consapevolezza della nostra reale povertà, nella scelta di non voler possedere.
Ecco perché è sempre presente la tentazione di “cosificare” l’altro, l’altra e di amarlo alla pari “del denaro, del successo, della vanità, del potere… Queste strade ingannevoli di ‘amore’ ci allontanano… e ci portano a diventare sempre più egoisti, narcisisti, prepotenti. E la prepotenza conduce a una degenerazione dell’amore, ad abusare degli altri, a far soffrire la persona amata. Penso all’amore malato che si trasforma in violenza - e quante donne sono vittime oggigiorno di violenze. Questo non è amore. ‘Rimanere nell’amore’, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli. Aprire il cuore agli altri, questo è amore, e donarci agli altri” (+Francesco)
Ermeneutica evangelica di Giovanni 15,9-17
Dall’allegoria “vite-tralci” nei vv. 1-8, ora l’evangelista si concentra sul tipo di relazione del Signore con noi e nostra con Lui, negli originali verbi “rimanere/dimorare” (5 volte) in un senso tutt’altro che statico, anzi reciproco. Notiamo i passaggi di pensiero che aprono ad effetti straordinari.
Rimanete nell’amore, il mio” quello del Padre per Gesù e suo per noi (vv. 9-10).
Per il popolo di Israele era l’osservanza dei comandamenti a garantire la fedeltà all’alleanza e la felicità per il popolo di Israele (cf Deuteronomio 4,1-24; 6,1-24); con Gesù si tratta di un’esperienza assolutamente nuova: è un’obbedienza libera e gioiosa, quasi una “necessità filiale” dell’essere “amato dal Padre” che vuole far sperimentare anche a noi, il cui effetto è “la gioia, quella mia in voi”, in pienezza (v. 11).
È la prima volta che nel suo vangelo Giovanni parla di “gioia” e lo fa come se fosse il desiderio più grande da parte di Gesù (cf 16,16-22), lo scopo del suo impegno, di tutte le sue parole, far sperimentare a noi quello che fa Lui stesso felice: “essere amato dal Padre e amare noi col suo amore nel quale Egli vive”. L’esistenza di ciascuno di noi anela alla piena felicità ed ora essa ci è donata in Gesù, attraverso la sua parola e il suo amore che rimangono in noi e ci permettono di rimanere in Lui.
Questa “sua gioia è piena in noi” quando, sentendoci amati da lui così tanto da rimanervi come tralci nella vite, ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amati” (v. 12).
La richiesta del comandamento dell’amore reciproco costituisce in questa parte del capitolo 15 un’inclusione interessante (vv. 12…17):
v. 12: “che vi amiate gli uni gli altri”
v. 13: “dare la vita è l’amore più grande
v. 14: “voi siete miei amici se fate il mio comando
v. 15: “vi chiamo amici, non servi
v. 16: “io vi scelsi perché siate fecondi
v. 17: “che vi amiate gli uni gli altri
Al centro sta il rapporto di amicizia con Gesù (vv. 14-15) e quindi ribadisce che l’osservanza del “suo” comandamento è una questione d’amore, non obbliga ma gratifica nel praticarlo: Lui ci ama liberamente e l’amarci è la nostra libertà!
In effetti l’atteggiamento usuale nei confronti di un comando è quello servile, anche nei confronti della Torah era promessa “la felicità”, ma era comunque comunemente avvertita come un “giogo” da portare (cf Dt 6,3; Mt 11,29-30; Gal 5,1). Qui, invece, chi comanda non si separa creando distanza, piuttosto “si dona” unificando così l’intimo di chi lo esegue, sentendosi uniti. 
L’autenticità dell’amore sarà attestata dal “frutto” della sua piena gioia, segno di una vita feconda, pienamente vissuta e realizzata (cf v. 11); ulteriormente dal dono del Padre nella preghiera (cf v. 16c).
Perché esso “rimanga” e ci permetta di “rimanere” uniti come “tralci nella vite” non va interrotta quella reciprocità da cui proviene e che si estende in misura universale a tutti, amati e riconosciuti come amici, fratelli e sorelle.
La vita di discepoli e di credenti che credono nell’amore del Padre per loro attraverso la vita donata di Gesù, è una “vita piena della sua gioia e della confidenza nel Padre”. Il frutto/grappolo di quella vite di cui noi siamo i tralci è dato dalla fecondità dell’amore e dell’amare che scorre in noi e tra noi, dal Padre attraverso Gesù. È questo il senso del mandato “andiate e/a portiate frutto” che dà anche al “che rimanga” un originale senso dinamico e non statico (cf v. 16b) B. Maggioni.
Ambientazione liturgica: vivere in comunione
Anche noi, comunità radunata per l’Eucaristia, ritroviamo nelle parole del Signore il nostro “rimanere in Lui”, traendo vitalità e gioia dal “dimorare nel suo amore (cf vv. 11-12): siamo amati come figlie/figli dal Padre stesso che ci consente di qualificare anche i rapporti fraterni in comunità nella misura dell’amare di Gesù per noi: “dare la vita” e donarla sarà l’unico modo per accrescerla [Evangelo e 1Giovanni 4 – II lettura].
È stata l’esperienza di Pietro in casa di Cornelio sia nella condivisione della propria umanità, al di là dell’appartenenza religiosa, sia nell’azione dello Spirito in entrambi di “riconoscersi” in una inedita novità [Atti 10 – I lettura]: li unisce vedere l’azione del Signore in loro a tra loro, così diversi e così vicini, avvolti dalla stessa gioia che anche noi cantiamo nel Salmo 97 sentendoci partecipi di un’esultanza universale.

Preghiamo
O padre, 
che nel tuo Figlio ci hai chiamati amici, 
rinnova i prodigi del tuo Spirito,
perché, amando come Gesù ci ha amati, 
gustiamo la pienezza della sua gioia.
Amen.


Vicina è la PAROLA 12 maggio 2024: Ascensione del Signore - Non guardare in alto… ma dall’alto

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