venerdì 19 marzo 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 21 marzo 2021 - V domenica quaresima B Giovanni 12,20-33: “Come il seme, muore e porta frutto”

LE PAROLE… LA PAROLA” 

21 marzo 2021 - V domenica quaresima B 

Giovanni 12,20-33: “Come il seme, muore e porta frutto”

Geremia 31,31-34 / Salmo 50 / Ebrei 5,7-9 



Siamo arrivati alla conclusione del nostro itinerario  quaresimale (anno B) che, attraverso brani del racconto  evangelico di MARCO (I-II) e di GIOVANNI (III-V), ci ha proposto di  seguire Gesù nel suo percorso di Figlio, Inviato del Padre a  compiere il suo piano di salvezza nei confronti dell’intera umanità,  sigillando nella sua morte e risurrezione l’alleanza nuova definitiva, che ci unisce a Lui e tra noi. 

Ci viene così offerta la possibilità di vivere in Lui, più  consapevolmente e attivamente, come figlie e figli, sorelle fratelli, la “vita nuova” scaturita dal battesimo

Le tre ultime tappe: 

III domenica - Giovanni 2,13-25: 

Gesù è il Figlio che con la sua morte e risurrezione diventa  “nuovo tempio”, “luogo” dell’incontro con il Padre. Nella sua  risurrezione lo diventa anche la comunità dei credenti.  IV domenica - Giovanni 3,14-21: 

Gesù è il Figlio “consegnato” dal Padre che “ha così tanto  amato il mondo”: nel suo innalzamento in croce tutti trovano la  Vita vera che illumina la loro esistenza. 

V domenica - Giovanni 12,20-33: 

Gesù è il Figlio “glorificato” dal Padre e tutti potranno  riconoscerlo, “attratti” da una nuova esperienza di vita: il seme che  muore nella terra per dare frutto. È la risurrezione! 

Dal principio il Figlio è Colui che comunica la Vita del Padre  che è amore gratuito per il mondo ed essa è Luce per tutti coloro  che lo accolgono e sono così da Lui generati figli e figlie del Padre.  Questa è la Verità che illumina l’esistenza di ogni essere umano e  

che gli permette di conoscere Dio perché lo può contemplare nel  Figlio che si è fatto uomo (è una rilettura del prologo al racconto  evangelico di Giovanni 1,1-18). 

Gesù è questo Figlio amato in cui il Padre si compiace e che  noi siamo stati invitati a seguire, come discepoli: Egli è il nuovo  Tempio nel quale possiamo incontrarlo e diventarne parte anche  noi; è stato consegnato per amore del mondo e quindi diventa  nostro fratello; è colui che può darci la Vita incorruttibile proprio  morendo da essere umano: innalzato sulla croce attira tutti a sé. 

Come ultima tappa del nostro percorso la Liturgia ci propone  un brano che fa parte degli eventi accaduti nell’ultima Pasqua  trascorsa da Gesù a Gerusalemme: Giovanni 11,55- 12,50. Anche  noi che ne ascoltiamo la proclamazione siamo ormai prossimi alla  solenne celebrazione annuale della Pasqua, questa coincidenza  non è priva di significato, sia nella scelta della pericope sia per il  suo contenuto che ci porta al centro del mistero pasquale cristiano. 

La cena a Betania in casa di Marta, Lazzaro e Maria introduce  il racconto creando un’ambientazione di grande intensità affettiva  ed emotiva (12,1-9) che mitiga un po’ l’inasprirsi  dell’atteggiamento duro e definitivo da parte delle autorità  giudaiche nei confronti di Gesù, decise anche ad eliminare lo  stesso Lazzaro (cf 11,45-54; 12,10-11.19.37-43). 

Tra la narrazione dell’ingresso trionfale in Gerusalemme  (12,12-19) e il complessivo bilancio fallimentare del ministero  messianico (vv. 37-43), il redattore evangelico colloca la  manifestazione del Figlio innalzato alla gloria ad alcuni pellegrini  di origine greca che vogliono conoscere Gesù (Gv 12,20-25) e un  dialogo con il Padre che a voce promette di glorificarlo (vv. 27-30).  Segue una “riflessione” della comunità giovannea che parla  attraverso la folla e una risposta di Gesù sulla dialettica luce-buio,  tipica di Giovanni, che riguarda la vita dei credenti figli della Luce (vv. 31-36; cf anche 1,5; 8,12; 12,46 e 9,4).


È giunta l’ora1

“La parabola di questa domenica sembra condurci alle  profondità ultime del dinamismo che fin dall’inizio abbiamo  riconosciuto animarlo: l’abbandono filiale alla vittoria  dell’amore su ogni forza di morte. 

Usando una parabola, quando parla delle realtà che più  gli stanno a cuore e inesprimibili2, Gesù annuncia il suo morire  come senso di tutta la sua esistenza di uomo e di Figlio. In Lui, da condanna inesorabile diventa dono della Vita, segno di  Amore, condizione di fecondità. 

Nell’angoscia del suo svuotamento di sé, con forti grida  e lacrime (Ebrei 5,7-9 – II lettura odierna) nulla è tolto della pienezza di un tale abbandono: essa diventa splendore  della presenza divina, poiché esprime l’Amore al Padre ed a  noi. 

Come il seme esplode nella terra e riceve, per dinamismi  nascosti alle misurazioni umane, la vita, così per Lui e per noi la nuova legge della vita nello Spirito è forse già scritta nel  fondo dell’esistere umano (Geremia 31,31-34 – I lettura), in  ogni desiderio, cieco e inesplorato”, in attesa di essere  liberato e compiuto da Chi può dargli questa possibilità:  l’Amore fatto carne. 

Nel cammino di conversione alla vittoria dell’amore, anche  perduto in bui abissi di oscurità e tenebre, è liberato da ogni contraffazione e alienazione frustrante, “l’esistenza filiale di Gesù  ci rivela che questa oscurità è grembo di vita nuova, sono le mani  del Padre che risuscitano”. 

Tutti attirerò a me. 

Ecco il polo di attrazione verso cui orientarci per giungere alla  Luce di cui fidarci, per diventarne “figlie/figli” e in cui camminare. “L’essere umano ritrova cosa significhi e come sia  possibile l’amore; il suo desiderio riceve così certezza di  adempimento al di là di tutti i limiti e gli ostacoli, ultimo la  morte”. 

Roberto

1L’ora della “glorificazioneè il momento culminante e riassuntivo dell’evento passione-morte sepoltura-risurrezione-ascensione al Padre, spesso richiamato nel corso del racconto evangelico  (2,9; 7,6.8.30; 8,20) che finalmente è adesso e assume diversi significati tra loro complementari  (12,23; 13,31; 17,1) come il momento in cui Dio “gioca il tutto per tutto”: la vita del suo Figlio per la  nostra! In esso risulta anche chiaro il senso della presenza del Nazareno nel mondo: essere  l’interprete unico e decisivo di Dio che intende salvare l’umanità (cf E. BORGHI, Il cammino dell’amore,  p. 167). 

2La parabola del seme è comune agli altri vangeli (Marco 4,1-9. 28-29. 20-32 e i paralleli) ma qui il  seme è Gesù stesso! Il processo vitale del seme è utilizzato da Giovanni per esprimere la sua morte  e sepoltura e il frutto di tale donazione della sua vita di Figlio: la risurrezione. Lo stesso itinerario è  proposto al discepolo, al credente in Lui, quindi anche a noi. “La parabola della vita di Gesù potrebbe  essere letta come l’affermarsi e il compiersi progressivo del suo desiderio al presso della morte (B. MAGGIONI, Dio nessuno lo ha mai visto, p. 38).

giovedì 18 marzo 2021

Approfondimenti Giovanni 3








Giovanni 3,1-30 

“Essere generati di nuovo, dall’alto”

Nel colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo1, “rinascere” è il  fulcro di questo singolare annuncio messianico, sulla reale  possibilità per l’essere umano di avere direttamente da Dio la  Vita (“il regno”, v. 5.). Ora, solo Gesù in quanto “Rabbi, inviato da  Dio”, può donarla (cf vv. 2.16). 

Si capisce allora perché quest’uomo sia andato da Gesù “di  notte2, anch’egli cercava “una vita nuova” per sé e per il suo  popolo (infatti si rivolge a Lui col plurale “sappiamo” v. 2b), infatti  riconosce in Gesù, dopo “i segni” compiuti a Gerusalemme (cf  2,15.23), il “Messia riformatore” delle istituzioni giudaiche, di una purificata interpretazione e applicazione della Toràh (cf v. 2a). 

Ma Gesù che “conosceva tutti… conosceva quello che c’è  nell’uomo” (v. 25), vuole portare il suo interlocutore a guardarsi  dentro, più in profondità, per capire da dove nasca in lui  quest’aspirazione alla “novità” del regno di Dio e quale ne sia la  reale portata, se ha già constatato che essa non potrà essere  soddisfatta da nessuna riforma religiosa o rivoluzione sociale e  politica, come forse si aspettavano alcuni della sua setta3

Infatti, senza aspettare nessuna domanda dal suo  interlocutore, ma suscitandola dopo (cf v. 4), il Maestro mette  subito in chiaro che “i segni” o “le opere” attestano sì un’azione  da parte di Dio, la sua presenza in chi li compie (“regno di Dio”),  

1 E. BROGHI, op.cit., pp.62-88. 

Nicodemo è probabilmente uno scriba della setta dei farisei, “notabile dei Giudei”; il suo nome potrebbe essere  tradotto come “vincitore del popolo” oppure “il popolo vince”. Egli prenderà posizione in favore di Gesù (cf 7,50) e  porterà una quantità esagerata, “trenta chili di una mistura di mirra e di àloe”, per seppellire il corpo di Gesù insieme a  Giuseppe di Arimatèa (cf 19,39-40). 

2Viene a Gesù di notte” forse per evitare di essere visto dagli altri e di entrare in conflitto con gli altri membri del  Sinedrio, oppure perché la notte è un tempo più tranquillo, sia per lui che per Gesù, e più adatto ad un colloquio  personale. Ma l’annotazione può anche indicare “i dubbi che tormentavano la sua mente e il suo intimo” (M. LACONI, il  racconto di Giovanni, Assisi 19932, p. 83). A MAGGI lo definisce “l’uomo della notte” e in La follia di Dio, Assisi 20184,  pp. 41-46, evidenzia gli altri passi in cui Giovanni identifica la notte come indicazione “teologica” (9,4; 11,10; 13,30;  21,3). 

3 B. MAGGIONI, op. cit., pp. 1599-1607; 1708-1712.


ma questa non è detto che sia riconosciuta tale, come dimostrerà chiaramente la reazione dei Giudei nei confronti di Gesù proprio  durante la Festa della Dedicazione del Tempio (cf 10,25-26.31- 39). 

Per questo il Maestro afferma solennemente che si tratta di  “vedere/sperimentare” in termini di una percezione globale, che  richiede una rottura con le precedenti esperienze esistenziali e  che conferisce una nuova capacità umana di rapporto con Dio  oltre che con se stessi, un’inedita qualità di vita ma che va  profondamente desiderata e cercata. 

“Tutti gli aspetti particolari che emergono in questo brano  (…) investono chiaramente il complesso dei significati  dell’esistenza umana e varie difficoltà, possibilità ed enigmi  che la concernono. Il testo pone questioni fondamentali sul  senso dell’esistere umano e sulle opzioni che lo conducono a  quello che viene considerato come il suo compimento  definito e la sua definitiva distruzione”4

Mentre l’essere umano ne avverte impossibilità reale in base  alla sua limitata progettualità (cf v. 4), Dio la manifesta, la fa  conoscere nel Figlio sua Parola incarnata, e la fa vedere nel modo  suo di esistere umano che, se ascoltata/accolta, ne rende  partecipi (cf 1,1.14.26-38). 

È difficile per chi si sente “vecchio” aprirsi alla novità e  credere che sia possibile il rinnovarsi del gesto creativo di Dio (cf  v. 4), ma Gesù non si arrende: solo lo stesso Spirito di Dio può  farlo. 

“Nicodemo, maestro di verità, viene invitato a “fare la  verità” (cf v. 21); credeva di trovarsi di fronte ad un rabbi e in  contra la luce del mondo (cf vv. 2.19), che Dio fosse con lui e  scopre che è Lui (cf v. 2.21)”. Attendeva il giudizio messianico e  invece è l’accettazione o il rifiuto del Figlio di Dio a giudicare o  salvare (cf v. 18), non è né una regolazione di conti, né un  

4E. BROGHI, op. cit., pp. 80-81.


mettere in ordine le cose nel mondo, ma l’effetto della nostra  personale adesione all’agire di Dio in Gesù. 

Giovanni 3,5 

“Rigenerati da acqua e da Spirito”. 

L’espressione “da acqua”, richiama chiaramente il  battesimo, e se anche fosse un’aggiunta successiva al testo  primitivo, essa è da intendersi come “rigenerazione nel battesimo  alla vita nuova che è opera dello Spirito5

Come il dono di “essere vivente” è stato fatto ad Adàm dall’Alito di Dio stesso (cf Gn 2,7), così quello della rinascita viene  dallo Spirito, Soffio della vita definitiva. 

Paradossalmente essa verrà “consegnato” dal corpo di Gesù  morente (cf 19,30b), innalzato sulla croce (cf 3,14b) e dal suo  fianco trafitto dalla lancia da cui sgorgano “sangue e acqua” (cf  19,34). 

Questa rigenerazione è sorprendente: ricrea e fà “nascere  dall’alto”, da Dio. Lo Spirito ora, attraverso il Figlio/Parola, può  portare a compimento quello che nella creazione era stato  iniziato: ci genera come figli del Padre (1Gv 2,29; 3,1-2; 4,7-10). 

Giovanni 3,5.8 

“Non ti meravigliare…  

lo Spirito soffia dove vuole”. 

Nicodemo, in quanto “maestro d’Israele”, dovrebbe sapere  che secondo i profeti l’era messianica avrebbe conosciuto  un’innovatrice effusione dello Spirito (cf Is 44,3; 59,21; Zc 13,1; Gl 3,1; Ez 11,19s.; 36,26s.), ma gli occorre una nuova apertura  

5I. DE LA POTTERIE, La vie selon l’esprit, Paris 1965, pp. 31-63.


mentale e interiore, effetto proprio della rinascita di cui il Rabbi  gli sta parlando. 

Ecco la difficoltà: accogliere l’attestazione che Gesù gli sta  offrendo. Il v. 11 allude alla testimonianza apostolica (cf 1Gv 1,1- 4) ma in fondo anche a quella di Gesù stesso che non è stata  accolta (cf 5,31-46). Eppure è quella di chi agisce facendo “le 

opere” del Padre; “chi ascolta la mia parola e crede in Colui che  mi ha mandato, ha la vita incorruttibile e non va incontro al  giudizio” (5,19-24) come anche concluderà qui il suo dialogo con  Nicodemo (cf vv. 17-20). 

Le parole che vi ho detto sono Spirito e Vita” (6,63; quasi  riprendendo al v. 62 il 3,13) riconferma che l’efficacia vitale della  Parola - Vita - Carne è affidata allo Spirito (cf 3,5-8). 

Proprio perché è Parola fatta carne” Egli può dare a noi,  fatti di carne, la Vita incorruttibile: “Se non mangiate la carne del  Figlio dell’uomo [fatto uomo] non avrete in voi la vita. Chi mangia  la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo  risusciterò nell’ultimo giorno (…) Colui che mangia me vivrà per  [attraverso] me” (6,53…57)6

Giovanni 3,16 

“Dio infatti tanto amò il mondo”. 

La possibilità reale, di quanto è invece umanamente  inattuabile, viene dall’amore di Dio per il mondo: “da donare il  suo Figlio unigenito” (cf 3,16; 4,9s.; 16,19).  

L’amore gratuito di Dio (“grazia” cf 1,17) supera e sostituisce  

6La professione di fede da parte di Pietro davanti a Gesù, che aveva provocato i Dodici, è analoga a quella di Marta (cf  11,27): “Tu hai parole di Vita senza fine e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu Sei” (6,68-69). Tutta questa  teologia giovannea è così sintetizzata nell’auto proclamazione di Gesù: «Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in  me, anche se muore vivrà; chiunque vive [in me] e crede in me non morirà mai» (11,25-26). Non vedere / sperimentare la morte, mai più, è nel senso non di non morire fisicamente, ma di non subirne il potere distruttivo, di non esserne  condizionati come fonte di paura e di angoscia paralizzate, come motivo di sfiducia e di nichilismo nell’affrontare il  dono dell’esistenza umana. gli effetti dell’osservanza etica della Legge, fino a quel momento  portatrice di vita e dona la possibilità di “fare la Verità” che  conduce alla luce (cf 3,21; 1,17), Vita stessa degli esseri umani (cf  1,4) e che ora raggiunge chi a Lui si affida (“crede” cf 3,15)  permettendogli di “essere se stessi”, come ha manifestato il Figlio innalzato (vv. 14-15; vedi anche 8,28; 12,32)7

L’amore fà sì che la vita donata, e non “strappata via” (cf  10,18), da Gesù in poi, generi “persone nuove” e sempre nuove  possibilità di vita8

Questa “novità” si manifesta proprio in una nuova capacità  d’amare; a questo Giovanni dedicherà un’intera lettera in  particolare i capp. 3,1- 5,4.  

Uomini e donne interiormente rigenerati potranno dar vita a  nuove relazioni (“nuova giustizia” evangelica cf Mt 5,20- 7,28), ad  un mondo nuovo, alla “civiltà dell’amore” di cui vi fa parte chi  ama e non chi pretende un’appartenenza etnica o religiosa. Una  società senza frontiere e condizionamenti dal passato, aperta al  presente e protesa verso il futuro. 

Non è questo che celebreremo nella Pentecoste?! 

Giovanni 3,17 

“Non per giudicare, ma per salvare”. 

Chi ascolta la mia parola, e crede a Colui che mi ha  mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è  passato dalla morte alla vita” (cf 5,24) dirà Gesù a quei Giudei di  cui Nicodemo era “notabile”, denunciando quello che stava  capitando proprio a loro: “Voi scrutate le Scritture, pensando di  avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno  testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere la  

7S. FAUSTI, Una comunità legge, p.71. 

8S. PALUMBIERI, Amo dunque sono. Milano 1999, p. 249.


vita” (5,39-40). 

Perché invece Nicodemo era andato da Gesù quella notte? “Scrutare le Scritture” non equivale ad “ascoltarle e metterle  in pratica” e lui che è uno scriba dovrebbe saperlo!  L’atteggiamento interiore che infatti egli dimostra è quello di  chi si accosta a Gesù, “viene a Lui”, perché “attratti dal Padre” (cf  6,44), altrimenti non solo si è incapaci di “avere la vita”, ma si  cercherà di sopprimerla (cf 1,5ss.), di “strapparla” a Gesù stesso  che è la Vita donata liberamente (cf 10,18)9

Giovanni 3,21 

“Chi opera la Verità viene verso la Luce”. 

È proprio la vita nuova operata dallo Spirito a permetterci di  “esistere nella verità di noi stessi” come dono di “agire in  conformità alla Verità stessa, cioè a Cristo, in un atteggiamento  che impegna tutto l’essere”10

“Si tratta di un percorso costituito da una serie di opere,  individuali ed interpersonali, che abbiano come  denominatore comune la fede nella Luce… nell’orizzonte che  gli apre l’amore di Dio perché è Lui il modello dei figli che  nascono per mezzo suo”. 

Così la vita cristiana diventa un cammino nella luce del  Risorto che la vita l’ha donata e che nell’amore l’ha riavuta.  Lui fà sì che solo l’Amore possa essere l’unica Verità e motivo  di Vita, e che essa sia così bella da sperare che debba essere  almeno senza fine, cioè “eterna”! 

9 Questo era già capitato ad Erode e ai suoi cortigiani nei confronti dell’indicazione da dare ai Magi (cf Mt 2,1-12). La pretesa messianica da parte di Gesù di poter fare dono della vita incorruttibile, esclusiva assoluta Dio, è motivo di  rifiuto e di violenta opposizione a lui (cf 8,51-52a), dopo averlo già prima insultato definendolo “un samaritano [=  eretico/scomunicato] e un indemoniato” (8,48; cf 7,20; 10,20; accusa riportata anche dai Sinottici: Mc 3,22-29; Mt  12,24-32; Lc 11,15.23; 12,10), un pazzo fuori di sé (cf Mc 3,21) anche in questo caso è già decretata la sua condanna a  morte (cf v. 6), ma Egli sarà l’unico a morire andando incontro alla vita, loro no! (cf 8,24). 

10 I. DE LA POTTERIE, La Verità in S. Giovanni, Paideia 1964, pp. 123-144. Vedi anche, Gesù Verità, Torino 1973.


“Solo persone disposte ad amare fino alla morte  possono costruire la vera società umana:  

sono individui liberi, che rompono con un passato  per cominciare di nuovo,  

non più rinchiusi in una tradizione, nazionalità o cultura.  La loro vita sarà la pratica dell’amore, il dono di se stessi,  con l’universalità cui Dio ama l’umanità intera” 11

11 E. BROGHI, op. cit., p. 81 e le citazioni 97-100.

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