venerdì 25 giugno 2021

“LE PAROLE…LA PAROLA” 27 giugno 2021 – XIII Domenica T.O. Tu sei qui… per la Vita!

LE PAROLE… LA PAROLA” 

27 giugno 2021 – XIII Domenica T.O. 

Tu sei qui… per la Vita! 

Sapienza 1,13-15; 2,23-24 / Salmo 29 / 2Corinzi 8,7.9.13-15 Marco 5,21-43 



Nella vicenda umana di Gesù avviene l’incontro tra  l’incessante forza vitale che anima fin dall’inizio l’essere umano ed  ogni vivente, comunque accumunati e minacciati da un inesorabile destino di morte. In Lui si manifesta “l’Essere per la Vita” come  volontà creatrice e come proiezione universale della sua  “immagine” impressa in loro (Sapienza 1 e 2 – I lettura odierna). 

È una “pro-esistenza” che emerge in modo drammatico dalla  folla ammassata attorno a lui che pare trovarsi lì a proprio agio,  nello stesso modo in cui Egli sta con noi oggi radunati in assemblea  liturgica, perché ancora una volta dove siamo noi Lui è in mezzo a noi. Non ospite impassibile, ma attrazione del genere umano ferito  e segnato, nella profondità della sua natura sanguinante, da  un’inesorabile ed inarrestabile emorragia di vita che solo il tocco  del suo vestito e la stretta della sua mano possono arrestare  (Marco 5,21.24.28-29.41 – Evangelo). 

Ma occorre un passo fuori dall’anonimato come Giàiro o  cercare anche timidamente di toccarlo per vincere “l’invidia”, che  genera paura e morte, per rimettere in circolo la vita.

Non temere. 

Devi solo fidarti!”. 

Come già ai discepoli sballottati dalle onde in mezzo al mare  (cf 4,40 – domenica scorsa). 

Ancora una volta “il miracolo del regno presente” è anzitutto  nell’affidarsi irragionevolmente a Lui e lasciarsi condurre in un  percorso di risurrezione: non è solo il flusso emorragico della  donna ad arrestarsi ma la sua sfiducia in tutti e tutto; non è solo la  ragazzina a risuscitare ma la sua intera famiglia e parentela che non le permettevano di crescere, di diventare donna libera e  responsabile [cambia, lungo il racconto, il vocabolario: da  bambina/piccola a fanciulla a ragazza dodicenne anche capace alzarsi e nutrirsi per camminare con le sue gambe… che sia anche  il processo di crescita e di risurrezione di ogni comunità cristiana 

nella sua storia, sia nelle sue dinamiche interne sia nei confronti di  coloro che “rinascono/risorgono con l’iniziazione alla vita  cristiana?!]. 

È proprio così che il Figlio ci vede dalla prospettiva del suo  rapporto inesauribilmente “ricco” con il Padre, tutte le persone e  le realtà alla luce dell’Amore verso il quale, con fiducia si aprono, riprendono Vita, diventando capaci di accettare anche le debolezze e povertà altrui non arrestandosi di fronte alle proprie, anzi  scoprendo in se stessi sempre nuove possibilità di dono perché  “ricchi” di una Vita donata da Colui “che ricco si fece povero per  noi” (2Corinzi – II lettura). 

Ma l’amore ha ritrovato tutta la sua energia vitale e la sua  forza risanatrice, anche quello originario che sembrava ormai  languire sommerso sotto le forze di male più occulte, ed è tornato  ad essere, in Gesù il Risorto perché ceduto alla morte da  quell’Amore, anzi come mai lo era stato prima, fonte vitale per  tutti e per sempre: risurrezione! 

Quante vite si dissanguano attorno e davanti a noi, quante  giovani esistenze “violate”, quanta paura ci assale che non ci sia  più alcuna speranza e che ci paralizza in un immobilismo troppo  spesso giustificato succubi di chi si può permettere tutto in vista di  un bene superiore e universale…! 

Quante mani non stringono per salvare dal mare tempestoso  o per curare ma per soffocare ogni anelito di libertà e di felicità! L’evidenza mondana ci deride quando contro ogni apparenza  sosteniamo che “non è morta… ma solo sopita”!

Che forza ci vuole per credere e scrivere: “La soluzione finale…  sarà l’Amore”?!! (Etty Hillesum) difronte alla catastrofe della  shoah. 

Ogni illusione è ormai delusa, ogni speranza disattesa… eppure Lui, dopo aver fatto spazio e vuoto attorno, ci afferra le  mani e ci porta davanti alla morte ed anche a noi dice:  “Talithà Kum!”  

È una parola per tutta l’umanità che ha il sapore della  tenerezza e la forza di un tuono.

sabato 19 giugno 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 20 giugno 2021 – XII Domenica T.O. Tu sei qui… tra opposizioni ed insuccessi

LE PAROLE… LA PAROLA” 

20 giugno 2021 – XII Domenica T.O. 

Tu sei qui… tra opposizioni ed insuccessi 

Giobbe 38,1.8-11 / Salmo 106 / 2Corinzi 5,14-17 

Marco 4,35-41 

La sera di quello stesso giorno 

Comunque sia andata la giornata, quando scende la sera “la  parabola” della nostra esistenza si tinge di insolite tonalità a volte  anche contrastanti: pace interiore e serenità o ansia, nostalgia e  rimorsi, pericolo… 

Anche serate di Gesù e dei suoi discepoli conoscono scenari  diversi, ma sempre interessanti, come l’intimità di poter  raccogliere dal Maestro ulteriori parole di senso sul vissuto  quotidiano, magari più personalizzate e segno di un “frutto”  abbondante, anche se insperato (cf 4,8.20). 

Quella sera però il gruppo riprende il largo lasciando la folla  sulla riva, con la stessa barca su cui Gesù aveva insegnato tutto il  giorno (cf 4,1), alla volta della regione dei Gerasèni, a sud-est del  lago (cf 5,1). 

Non c’è quiete per loro: “Andiamo all’altra riva…” (4,35) e di  fatto poco dopo si scatena la tempesta! 

Gesù intanto dormiva… con la testa appoggiata s’un  guanciale” (4,38). 

Questo avrà stupito e forse anche innervosito i discepoli,  adesso alle prese affannose con il turbine di vento che soffiava  violentemente contro e con le onde che rischiavano addirittura di  rovesciare la barca avendola già riempita d’acqua (cf 4,37). 

Maestro affondiamo! 

Non te ne importa nulla?” (4,38b). 

Ma anche sconcertati sul motivo per cui non siano rimasti  tranquilli a trascorrere la notte in un villaggio costiero, attorno ad 


un falò sulla spiaggia a raccontarsela durante una gustosa cena di  pesce, invece di essere condotti dal Maestro stesso in una  prevedibile tempesta di mare. 

Chi è Costui? 

Solo dopo che Lui si è svegliato, ha zittito il vento, ha ingiunto  all’acqua del lago di calmarsi e, chiedendo il motivo della loro  paura ne ha rimproverato l’incredulità, hanno incominciato a  chiedersi “Chi è costui?” (4,39-41). 

Il tumulto che in realtà li minacciava era quello annidato nel  loro intimo, abitato da domande e dubbi che ora erano venuti a  galla, manifestando tutta la loro potenza. 

Stavolta la “parabola” che “parla” della “presenza/regno di  Dio” nella nostra esistenza, non è più la seminagione o la crescita  del seme, ma le insidie personali e comunitarie che mettono alla  prova la fede nella presenza dell’amore del Padre, anche in  circostanze avverse e al limite, come le persecuzioni delle prime  comunità cristiane. 

Ci spinge a chiederci se ci abbia lasciati da soli nel momento  in cui abbiamo più bisogno di Lui, o che non gli importi nulla di noi  e delle difficoltà che stiamo attraversando. 

La domanda non è meno struggente per il credente che, pur  convinto della sua “presenza”, non può fare altro che costatare il  suo silenzioso sonnecchiare mentre attorno si scatena il putiferio. 

Nella stessa situazione Giobbe, dopo averne passate di tutti i  colori ed aver cercato risposte ragionevoli, non riesce a fare altro  che arrendersi all’evidenza della “presenza” che basta a  “dominare” anche gli elementi cosmici ed esistenziali più avversi e  che Dio gli parli “nel forte vento”. L’uomo e Dio si rinfacciano quasi  l’un l’altro: “Dov’eri tu?” (cf I lettura della liturgia di oggi).

 

La vita: il prodigio antico e sempre nuovo 

Ancora una volta Gesù, il Messia nazareno, colui che – unico  – ha osato chiamare Dio “Papà”, prima ancora che essere  operatore di prodigi, si manifesta Egli stesso come “il miracolo”, che finalmente smaschera le nostre paure come assenza di fiducia  e manifesta la forza di affidarsi anche nell’incombere di forze  incontrollabili e nemiche della nostra integrità umana. 

Il suo agire, che ci appare quasi un insulto alle nostre angosce ed all’impotenza del riuscire a tutelarci da noi stessi, rivela invece  la forza contenuta nella debole fiducia di Figlio del Padre, fino ad assumere gli stessi suoi connotati (cf Proverbi 8,30-31)?! 

Veramente prodigiosa è la capacità che riesce a risvegliare nei  discepoli per riconoscere “divina” la sua azione e in noi una nuova  dimensione al vivere e ragionare umano. Scatena l’apertura al  superamento delle nostre misure che generano paure, alimentando lamentele e cecità al sempre nuovo miracolo della  vita, delle nostre aspettative deluse perché prive di speranza e  della vera libertà di affidarci alla potenza dell’amore che, 

nonostante tutto, ci sostiene e ci “spinge” avanti. 

Gesù che “dorme nella nostra barca”, [parabolicamente  profetizzato in Giona nel ventre del pesce più che in Mosè che  attraversa le acque], non è il Dio impassibile alle nostre infelicità e  angosce, assente, ma un anticipo del suo sonno misterioso sulla  croce da cui si è calato fino alle radici dell’umana impotenza – la  morte – risvegliando in noi le più sopite energie, ridonandogli  nuova vitalità, ricostruendo “nuove creature”: la risurrezione! 

Tutti ora possiamo vivere così perché, liberati da un’esistenza  autoreferenziale, esistiamo in Lui e per Lui che è morto e risorto  per noi (cf Paolo ai Corinzi – II lettura).

venerdì 11 giugno 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 13 giugno 2021 – UNA TERRA SEMINATA DI VITA: L’UMANITÀ

LE PAROLE… LA PAROLA” 

13 giugno 2021 – UNA TERRA SEMINATA DI VITA: L’UMANITÀ.

Ezechiele 17,22-24 / Salmo 91 / 2Corinzi 5,6-10 

Marco 4,26-34 





Vangelo: una Parola che dice “Ci sono!” 

Quando Gesù vuole esprimere qualcosa che lo riguarda  direttamente e che ha un forte impatto sulla nostra esistenza  ricorre al genere letterario delle “parabole”. 

Tutt'altro che racconti infantili per gente ingenua o ignorante,  alcune di esse danno filo da torcere anche a i più esperti esegeti.  In fondo è proprio questo l’intento di Gesù: condurre le persone  che lo ascoltano a riflettere sul loro vissuto, sulle loro esperienze  esistenziali, anche quelle più “ordinarie” e quotidiane. 

Una di questa era (per moltissimi lo è ancora!) l’agricoltura e  ciò che riguarda la “crescita” nella natura dove tutto è vitale, ma  anche molto precario, esposto alle intemperie ed ai cambiamenti  climatici, oggi come millenni addietro. 

Il Messia nazareno maturando la consapevolezza della sua  umanità come “habitat” della sua filialità divina e la annuncia ai  suoi compaesani sapendo che, al di là dei termini, propone  un’esperienza di una novità assoluta. 

Le novità portano sempre con sé cambiamenti, sono veicolo  di vere e proprie “rivoluzioni”, quindi già la loro recezione richiede  una “conversione”, un’inversione di pensiero e di mentalità: “Il regno di Dio – la sua presenza d’amore – 

si è approssimato 

convertitevi – cambiate modo di pensare - 

credete al vangelo – alla gioia di questo annuncio – ” (1,15) Benissimo! ...ma se è così vicino, dove posso incontrarlo e come posso riconoscerlo presente e operante? 

Attraverso le realtà più umane, anche se spesso  disumanizzate, scoprirò quanto e come Lui si sia approssimato alla nostra umanità, assumendole addirittura totalmente nella  singolarità della sua persona umana. 

Sono esse ad introdurci nell’ascolto della parola di Colui che  le fa parlare della loro vera natura e della sua divina presenza, “il  regno di Dio”, appunto. Esse stesse preannunciano la novità che le  trascende e la loro comprensione si spalanca allo slancio di chi si  affida alle prospettive della grazia assoluta. 

Le possiamo far scorrere fin dall’inizio: le reti di pescatori  “provetti” (1,16-20), le malattie di un’intera città e regione (1,29- 2,1-12), i soldi di un esattore (2,13-17), un banchetto di nozze (2,18-20), il rattoppo su un vestito logoro (2,21), il vino uovo in otri  nuovi (2,22), le spighe in campo di grano (2,23-27), la mano di un  paralizzato (3,1-6), la barca dei discepoli (3,7-12), diversi tipi di  famiglie (3,13-21; 31-34), un ladro “incapace” (3,21-30), un  contadino e la sua seminagione (4,1-20), una lampada in una  stanza (4,21-25), il seme che cresce (4,26-29), anche il più piccolo  (4,30-32). 

So bene che gli esegeti a questo punto dissentiranno  inorriditi, ma “Gesù, con molte parabole di questo genere  annunciava la parola, perché così potevano capire. Con loro non  parlava mai senza parabole; ma in privato con i suoi discepoli spiegava ogni cosa” (4,32-34 – l’evangelo di questa domenica). 

È dunque una sua scelta, lo stile più coerente con il suo essere  “Parola di Dio incarnata” che viene a noi nella sua duplice polarità:  elementi ed eventi della nostra comune storia umana che solo  nella comunione con Lui, in forza della sua presenza, del suo 

“esserci qui e ora”, dappertutto e per chiunque, si sciolgono gli  enigmi che tale prossimità crea in noi. 

Per questo le parabole che ascoltiamo ci rimandano parole  colme di gioia e di vita traboccante di Chi, con la sua identità ed  esistenza, con il suo amore che lo ha portato così vicino a noi, può  vincere il potere che la morte ha su di noi umani.


Incarnazione: la Vita parte dal seme 

“In Lui si compiono tutte le altre promesse, così che non siano  parole vane ma “beatificanti”, anche per deportati prostrati e  avviliti dalla prosperità dei potenti di questo mondo e dal non  verificarsi della vittoria di un Dio in cui eppure avevano creduto,  millenni orsono (Ezechiele 17 – I lettura odierna).  

Egli per primo si affida al Padre nel “gettare” tra noi la sua  parola, senza preoccuparsi che fine farà, se il seme fruttificherà, in  situazioni umane così desolanti e poco promettenti come le nostre  attuali! 

Eppure, “come Egli stesso non lo sa”, il miracolo avviene, ogni  giorno, nelle più piccole realtà umane. 

È Lui quel “seme” gettato nei solchi della terra, della nostra  umanità, in una condizione di buio e di apparente inattività, che  non rimarrà “da solo”, ma che l’amore “innalzerà” sopra ogni  potere umano, perfino la morte (cf Giovanni 12,23-32). 

E come affida a noi la sua parola in parabole, così consegna se  stesso, dono di una speranza immensa e invincibile, più sicura delle  certezze vitali più comuni o inscritte nelle leggi più anonime della  natura. 

Accogliere questo suo evangelo, accogliere Lui come “buona  notizia” ci chiede di lasciarci assumere, anche travolgere, dal suo  dinamismo, abbandonandoci alla forza vitale del Padre, rifiutando  le preoccupazioni per l’efficienza, per i mezzi fondati sul potere  mondano e accettando di non sapere come condizione di vera  conoscenza dei meccanismi dell’esistenza (Paolo ai Corinzi – II  lettura di oggi). 

Accettare “il sonno” come la “veglia”, nel loro alternarsi a  volte indolente, necessari anch’essi per arrendersi all’amore e  scoprire così la nostra umanità come “terra seminata di Vita”.

martedì 8 giugno 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 13 giugno 2021: si continua il cammino con Marco

LE PAROLE… LA PAROLA” 

13 giugno 2021: si continua il cammino con Marco 




Un “Tempo” semplicemente “Ordinario”: 

quotidiano - feriale 

Il “Tempo” al di fuori dei grandi cicli di Avvento - NataleQuaresima - Pasqua è riconosciuto come “Ordinario”. Senza  perdere il contenuto salvifico che i tempi “forti” imprimono ad  ogni giorno della vita cristiana, la Liturgia del T.O. cala gli  avvenimenti fondamentali della salvezza nella trama dei fatti  umani quotidiani.  

Sulla scorta del Vangelo di Gesù - la sua vita e la sua parola - la comunità cristiana è chiamata a realizzare la “Buona Notizia del  Regno di Dio” presente nell’oggi, a riconoscerla e accoglierla come  vera e operante nella vita usuale, “ordinaria”, appunto feriale. 

MARCO: un Vangelo per il quotidiano 

Ogni anno la Liturgia domenicale proclama, in una lettura  semi continua, uno dei tre vangeli sinottici e in questo “Anno B” il racconto evangelico di Marco

Secondo l'ipotesi più condivisa, sarebbe quello più antico,  utilizzato poi da Matteo e da Luca come fonte tradizionale, e che  ha “creato”, in modo del tutto originale, lo stesso genere letterario  del “vangelo”. 

Di fatto, il termine è prediletto da questo autore: dal  significato limitato a “notizia buona e bella, gioiosa” (cf Isaia 62,1- 2;35,5; 58,6), passa a significare l'esistenza stessa di Gesù come  evento di salvezza per tutti gli esseri umani, e infine un suo  resoconto scritto. 

Fino al momento in cui Marco scrive il suo vangelo (circa  60/70 d.C.) circolavano nelle comunità cristiane solo “raccolte” di  parole e insegnamenti del Nazareno, di suoi operati prodigiosi,  addirittura i “racconti della passione e risurrezione”. 


È Marco che riscopre l'interesse per tutta la vita terrena del  Nazareno, i suoi gesti, le sue vicende storiche, come “evangelo di  Gesù, Cristo il Figlio di Dio” (1,1), che solo progressivamente si  rivela nella sua misteriosa identità e solo agli occhi dei credenti,  attraverso lo scandalo della croce (cf 8,31).  

L'inizio del vangelo di Marco è in questo senso tutto un  programma, potremmo tradurlo così: “Inizio di una lieta notizia:  Gesù di Nazaret, così come l’abbiamo visto vivere e morire tra noi,  è il Cristo, il Figlio di Dio!”. 

È il paradosso della incarnazione che per Marco, senza  narrarci nulla della sua nascita e infanzia, costituisce la novità e la  letizia di questa vita di uomo come noi e nello stesso tempo così  diverso da noi. È l'umanità di Dio, la stupenda buona notizia che  equivale all’annuncio: “Il regno di Dio si è fatto vicino!” (1,15). 

Tutto questo si presenta come evento della nostra storia,  eppure come segreto sottratto dalla comprensione degli  “increduli”, addirittura i suoi stessi discepoli. 

Marco sottolinea spesso e con particolare forza, la decisione  di Gesù di restare nascosto nella sua identità a coloro che non  credono (il “segreto messianico”), perché la potenza che in lui si  manifesta non venga fraintesa e confusa con gli artificiosi  vaneggiamenti del potere mondano. 

Si farà conoscere pienamente sono alla fine e  paradossalmente nella tragicità della umanità e nel  nascondimento della sua divinità, mentre in croce grida  l’abbandono del Padre (cf 15,33-39). 

Così, il vangelo di Marco è il resoconto dell'inaudito e  incomprensibile amore incarnato di Dio, che in Gesù cerca e trova  l'uomo, superando ogni opposizione.  

Dato che ogni rivelazione diretta potrebbe condurre soltanto  a una fede nel miracolo, come quella che hanno anche i demoni,  Dio deve percorrere un cammino che porta all'occultamento, anzi  all'ignominia e all'abbassamento, alla morte, come appare  chiaramente, con sobrietà impressionante, nel grido di Gesù: "Dio  mio Dio mio, perché mi hai abbandonato" e nell'affermazione che  Gesù spirò con un gran grido.  

La fede esiste solo come sequela. 

Il segno che questo miracolo può veramente succedere, che la  rivelazione di Dio raggiungerà il suo scopo, è costituito da un  simpatizzante estraneo al gruppo che seppellisce Gesù; da un  pagano, che come ufficiale non può veramente aver sempre le  mani pulite e che è persino incaricato dell'esecuzione degli  innocenti; da un paio di donne, che si limitano ad aver paura e non  hanno fiducia neppure nelle parole dell'angelo.  

Questi, ma soprattutto i discepoli, che Gesù precede in Galilea  nonostante la loro più completa defezione, segnalano il miracolo  della comunità che viene, che il risorto stesso chiamerà  all'esistenza e invierà nel mondo” (E. SCHWEIZER).

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