venerdì 30 luglio 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 1 agosto 2021 – XVIII Domenica T.O. Un PANE per la VITA

LE PAROLE… LA PAROLA” 

1 agosto 2021 – XVIII Domenica T.O. 

Un PANE per la VITA 

Es 16,2-4 / Salmo 77 / Efesini 4,17.20-24 / Giovanni 6,24-35 





Giovanni 6,24-35 

22-29: Il Figlio vi darà un cibo che rimane per la vita incorruttibile 

Contestualizzazione 

La situazione che si è venuta a creare tra Gesù e i suoi  discepoli (cf vv. 16-22) non sfugge all’attenzione della folla, quelli rimastisul la riva di Bestaida e quelli sopraggiunti su altre barchette  da Tiberiade richiamati e attratti dalla notizia del “segno  prodigioso dei pani” compiuto da Gesù (cf vv. 22-23a). Forse già si  sta formando un “comitato” a sostegno di Gesù per appoggiare la  sua ascesa al potere regale. 

Alcune annotazioni non trascurabili: 

- anzitutto la gente si accorge che Gesù non ha utilizzato la  barca per raggiungere i discepoli a Cafarnao e comunque lì non c’è  più nessuno, “una sola barchetta” (cf vv. 22b.24a); 

- Giovanni sintetizza ciò che era avvenuto il giorno prima con  un riferimento post-pasquale: “presso il luogo dove il Signore  aveva reso grazie” (v. 23b); 

- è una delle tre volte, in tutto il lungo capitolo, in ricorre il  termine “il Signore” (cf v. 34 e v. usato da Pietro) che attribuisce al  “segno” compiuto un significato quasi liturgico” con il gesto del “rendere grazie”; 

- il testo di questi versetti è molto corrotto e si tratta forse di  una fusione di altri due testi paralleli; comunque noi partiamo dal  testo così com'è e dalla constatazione dell’assenza, dallo  smarrimento che si tramuta in ricerca di Gesù e nella decisione di  attraversare il mare alla volta di Cafarnao (cf v. 24).


- l’attenzione dell’evangelista si sposta dai discepoli alla folla che sarà poi l’interlocutrice di Gesù in tutto il discorso successivo  (vv. 30ss.); i discepoli ritorneranno in scena alla fine (cf vv. 60ss.). 

L’inizio del “discorso/catechesi” 

La folla esordisce con una domanda curiosa: “Rabbì, quando  sei venuto qua?” (v. 25). La risposta di Gesù riparte invece dallo  stato d’animo che li sta muovendo, precedentemente descritto,  espressa in modo da smascherare la vera motivazione della loro  ricerca (cf v. 26). 

Fare chiarezza è l’intenzione che l’evangelista mette sempre  in evidenza quando Gesù ha da trattare con qualcuno in  particolare e il dialogo dà il via ad una sua profonda  “manifestazione”: richiede di “giocare a carte scoperte” per agire  “nella luce e nella verità” (cf 3,21; 4,16-18). Questo riguarda tutti  “i segni”: Gesù li compie per manifestare che l’amore del Padre si  comunica a ciascuno attraverso di Lui, senza differenze, per saziare  quell’interiore bisogno di vita vera, piena che c’è in ogni persona.  

Come avviene che noi vi rispondiamo con cose materiali, che  danno un appagamento fisico e mentale immediato, ma che non  rispondono veramente e interamente alle nostre esigenze di esseri  umani, così nella sfera religiosa: possiamo cercare nel rapporto  con Dio una soddisfazione “meritata” e non il dono di una  relazione gratuita d‘amore, che ci responsabilizza liberamente a  ricambiare e a condividere, cioè ad amare. 

Hanno mangiato il senza aver compreso che era frutto  del suo amore e della generosità dei discepoli. Questo era il  segno che avrebbero dovuto vedere nei pani e che li avrebbe  dovuti spingere a farsi pane per gli altri”. (A. Maggi) 

Nella nostra società consumistica questo meccanismo è  molto presente e viene anche contestato all’esperienza religiosa. L’affermazione di Gesù contiene dunque un invito ad andare  alla radice non solo dei nostri bisogni e a darvi la risposta adeguata,  

ma di ogni nostra ricerca1. La domanda “chi o cosa cercate?”  ricorre nel racconto giovanneo, fin dall’inizio (cf 1,38; in 18,4-8 è  ripetuto per ben tre volte!). 

Qual è “il cibo che non si corrompe”, da ricercare e procurarsi,  per cui valga la pena “operare”, e che “rimane” perché contiene  “la vita incorruttibile”? 

Quello che il Figlio, con la sua umanità, ci dona, Egli stesso  come dono voluto dal Padre, Dio (cf v. 27). Il  “sigillo/compiacimento”, è la sua condivisione all’agire del Figlio  secondo la sua volontà2, coerentemente con chi è ed opera (cf  5,18ss.). Nel vangelo di Giovanni, Gesù lo ribadisce affermando che  “suo cibo” è proprio “fare ciò che Dio, il Padre, vuole da Lui” (cf  4,32-34; 6,38.39.40): Egli si sazia di un cibo che né la folla, né i  discepoli ancora conoscono, che è la piena comunione con il Padre  e che Lui parteciperà a loro con il totale dono di sé nella sua  passione e morte (cf 17,20-23). 

Sentirsi amati personalmente e gratuitamente dal Padre,  come figli e figlie, è l’esperienza più appagante che una persona  possa fare, questo è “il cibo” che il Figlio vuole donarci e di cui  per primo egli si nutre. 

Amare è dare la vita, questa è l’opera del Padre, che  permette anche a noi di “fare le opere di Dio”, cioè di agire come  Lui agisce nei nostri confronti: amando! (cf v. 28). 

La questione, posta come domanda, trova da parte di Gesù  una risposta chiara, non altrettanto e immediatamente  comprensibile finché non la si sperimenta: “credere in Colui che Dio  ha mandato3(v. 29), cioè fidarsi di lui che non delude le nostre  attese più autentiche anche se non risponde ai nostri bisogni più  sentiti. Anche qui Giovanni collega il “credere” con il “vedere i  segni” come in 2,11.23 e non al soddisfare un bisogno. 


1La “fame di cibo” richiama in Giovanni la “sete di acqua” e quindi ancora una volta il racconto  dell’incontro e del dialogo di Gesù al pozzo con la donna di Samarìa. A questo proposito rimando  alle riflessioni molto interessanti di E. BORGHI, op. cit., pp. 96.114. 

2 Anche i Sinottici, nell’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte riportano questo  “compiacimento” da parte del Padre (cf Mc 1,11; Mt 4,3; Lc 3,22b; Mt 17,5b).

3Credere /nel Figlio inviato / per avere la vita inesauribile” non è solo il motivo per cui è stato scritto  il vangelo di Giovanni, ma possiamo dirlo di ogni racconto evangelico (cf 20,31) ma è il senso della  presenza di Gesù come Figlio nel mondo, inviato dal Padre (cf 21,11.23; 3,16b; 4,41-42.48.53b;30-35: Io-Sono il pane della vita che il Padre dona. 

Il “discorso” di Gesù, la sua “catechesi mistagogica” nella  sinagoga di Cafarnao (cf v. 59), dal v. 26 in poi ha una dinamicità  impressa da alcuni elementi ricorrenti:  

+ l’introduzione “in verità in verità vi dico” (vv. 26.32.47); + l’affermazione “Io-Sono” (vv. 35.41.48.51) legate al pane -come nel racconto giovanneo- all’acqua, alla luce…  (cf 4,10.14; 8,12; 9,5; 10,7.9; 11.14; 11,25; 15,1-5);  -+ le interferenze dei Giudei nel discorrere di Gesù (cf. vv. 28.30-31.34.41-42.52);  

+ la contrapposizione tra “la manna” e “il pane” 

dato da Gesù /dal Padre (cf vv. 31-33; 49-51; 58);  All’interno emergono temi frequenti in tutto il racconto  evangelico: la Vita incorruttibile/indefettibile e il rapporto tra  l’origine del pane dato dal Figlio e il pane che il Padre dà attraverso di Lui. 

I vv. 30-35 contengono già i concetti essenziali di tutto il  discorso fin dall’inizio.  

1. “I segni e le opere” compiuti da Gesù, quello della  prodigiosa distribuzione dei pani e dei pesci alla folla dei  cinquemila (cf vv. 1-15), vanno riconosciuti per vedere e poter credere in Gesù (cf v. 30). 

2. Anche nell’esodo di Israele, Dio ha utilizzato dei segni,  come “la manna nel deserto”, per venire incontro ai suoi bisogni  primari e soprattutto per indurlo a fidarsi di Lui (cf v. 31; Es  16,4.13ss.)4

4La memoria di questo segno è celebrata spesso da Israele (cf Dt 8,2s. e Sap 16,20). I contemporanei  di Gesù vedevano in Mosè il primo redentore, anticipo del Messia che venendo avrebbe rinnovato i  segni messianici, come quello della manna (cf Apocalisse di Baruch 29,8).

 

3. La manna è qui definita, e lungo tutto il discorso, come “il  pane dal cielo” (cf vv. 32.49.58b). 

4. Su questa definizione Gesù fa leva per contrapporre il suo  “pane del cielo, da-di Dio Padre”, quello “vero” che è Lui stesso (cf  vv. 32-33; 50-51; 58a.c)5.  

In modo incalzante Gesù sembra voler chiarire sempre  meglio: 

- si tratta di un pane che viene donato da Dio/Padre (cf vv. 32b; 41-42; 50.57) 

- esso è una persona che viene da Dio Padre (cf v. 33a.51b) - per dare Vita al mondo (cf vv. 33b.51c.53b.54a.58c) - ed è vivo/vivente (cf vv.35.48). 

La risposta sorprendente degli interlocutori di Gesù è simile a  quella della Samaritana nei confronti della proposta sconvolgente  da parte sua di “un’acqua vivente che zampilla per una vita senza  fine” (cf 4,13-15), ma sembra essere anche l’invocazione di una  comunità credente che si rivolge al suo Signore: “Dacci sempre di  questo pane” (v. 34). 

Tuttavia, Gesù immediatamente chiarisce il rapporto tra se  stesso e il pane che è Lui, che il Padre dà attraverso il Figlio:  fornisce la vita indefettibile se si viene a Lui e si crede in Lui (cf v.  35; poi vv. 37.40.44.47.65) e questo vale per i giudei e per i  discepoli che alla fine lo abbandoneranno (cf v. 66), quindi anche  per noi. 

Credere” è la condizione per “avere Vita” (v. 35b) e anche il  senso di “vedere i segni”, così Gesù risponde alla domanda iniziale  da parte della folla, soprattutto con il suo modo di “operare”: fare  la volontà del Padre (cf v. 30; vv. 28-29)

5 Nel Salmo 78,5 la manna è definita come “pane dei forti”, tradotto in greco come “pane degli  angeli” nel senso che loro lo recano da Dio al popolo. Qui Gesù mette subito in opposizione, e poi  continuerà, il “pane dal cielo dato da Mosè” con “il pane vero del cielo che il Padre dà” e che è una  persona (il Figlio) che viene da Lui (cielo nel senso di Dio) vv. 32-33.


Senza entrare nel rapporto tra “fede e sacramenti”, tuttavia è  sempre presente, anche da parte nostra nei confronti  dell’eucaristia, la tendenza ad impossessarcene come fosse una  “cosa sacra” e non comunione con una persona6, con il suo  messaggio e stile di vita da assimilare affinché diventino nostri (cf  la sapienza di cui nutrirsi: Pr 9,5; Sir 24,19). 

Nell’OGGI della Liturgia 

Il continuo riferimento all’esperienza della “manna” da parte  del popolo peregrinante nel deserto dopo la liberazione  dall’Egitto, come “dono dall’alto, da Dio”, motiva la scelta liturgica  di proclamare Esodo 16 come I lettura. Non è solo il riferimento  alla storia passata che fa da ponte con “il discorso” di Gesù, ma la  dinamica di richiesta e fiducia che determina la comprensione  degli avvenimenti e delle Scritture: i giudei pretendono di  “misurare” Gesù e il suo comportamento sul passato, mentre per  Lui anche quello è “segno” del compimento futuro in Lui stesso. 

Io-sono” è l’avvenimento definito che “si incarna” (cf 1,14)  come “pane di vita” per una vita che diventi pane per noi esseri  umani affamati senza sapere neppure di che.  

È la sfida ad ogni pretesa religiosa di attestazioni confortanti  sempre però opprimenti la libertà e la responsabilità, non avere  altro potere se non quello di “essere per”, di donare se stesso a noi  carenti di vita. 

Così ogni situazione esistenziale ed evento storico trova il Lui  e nella sua “rivelazione” il suo senso ultimo e la sua piena  comprensione, non più “secondo la carne” [la logica umana], ma  “attraverso la carne” di Cristo che fa sua la nostra, in una “nuova  giustizia” nel compiere da Figlio la volontà del Padre (Efesini 4 – II  lettura di oggi). 

6 Vedi le voci “Sacramentaria e sacramenti” di E. RUFFINI, Dizionario di Teologia, Paoline 1977, p.  1371/2 e pp. 1382-1385; “Eucaristia” di A. AMBROSANIO, pp. 464-465.

 

venerdì 23 luglio 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 25 luglio 2021 – XVII Domenica T.O. Un PANE che sazia con AMORE

LE PAROLE… LA PAROLA” 

25 luglio 2021 – XVII Domenica T.O. 

Un PANE che sazia con AMORE 

2Re 4,42-44/ Salmo 144 / Efesini 4,1-6 / Giovanni 6,1-15 





Giovanni 6,1–15: il segno non capito 

1-4: Lo seguiva molta folla: era vicina la Pasqua. 

Il mare di Tiberiade è lo scenario dove sta avvenendo ciò che  Giovanni racconta (cf vv. 1.16-17.22) e sarà anche il luogo della  “terza” e ultima manifestazione del Risorto ai suoi discepoli (cf  21,1). 

Questa traversata, forse verso Bestaida, avviene dopo che  Gesù ha guarito l’infermo alla piscina di Betzatà in Gerusalemme  (cf 6,1a; 5,1-6). Da qui ne era nata un’accesa discussione con i capi  Giudei sul suo operato in giorno di sabato (vv. 7-17), che poi gli  aveva dato occasione di tenere loro un lungo discorso sulla sua  identità di Figlio che agisce in comunione con il Padre (vv. 18-46). 

Per questo motivo le autorità avevano preso la decisione di  ucciderlo (cf. 5,18), mentre la “folla numerosa lo seguiva vedendo  i segni che compiva sugli infermi” (6,2).  

Notiamo subito l’atteggiamento di Gesù che sale sul monte: si siede con i suoi discepoli (cf v. 3)1 ma il suo sguardo sulla  moltitudine (cf v. 5) e ci rivela la sua intenzione nel dire e nel fare  quello che seguirà: corrisponde allo sguardo di Dio sull’umiliazione  del suo popolo schiavo in Egitto che ha deciso di “scendere” a  liberarlo (cf Es 2,25; 3,7-8). 


1Lo stesso annota Matteo prima del suo “discorso” (cf 5,1; anche qui è presente la grande folla che  porta “tutti i malati…” 4,23-25; vedi Mc 3,17-12.); Luca riporta lo stesso fenomeno da parte della  “moltitudine di gente” (cf 6,17b-19). 


Infatti, l’evangelista aggiunge un altro indizio: “Era vicina la  Pasqua, la Festa dei Giudei” (v. 4); ma Lui è ancora in Galilea e  nemmeno si sa se parteciperà alla festa o meglio se vorrà  parteciparvi, nonostante il parere dei suoi “fratelli” e le  interferenze delle autorità giudaiche (cf 7,1-14)2. Anche questa  inclusione è interessante. 

Quindi il contesto “teologico” del racconto è molto alto:  perché la folla non sale a Gerusalemme, dove nel Tempio si  sacrificavano gli agnelli, ma segue Colui che già il Battezzatore  aveva indicato come “l’agnello di Dio” (cf 1,29; vedi Ez 34,16)? 

I malati di ogni genere di infermità sono come il popolo  schiavo in Egitto e per loro, come con Mosè, inizia un nuovo esodo,  definitivo: lasciano l’ormai inutile Festa dei giudei perché vedono  “i segni” di uno che “vede” le loro necessità e se ne prende cura. 

5-15: Prese i pani, rese grazie e li distribuì. 

Nel racconto di Giovanni, diversamente dai Sinottici3, è Gesù  stesso che si pone il problema dell’eventuale mancanza di cibo per  la folla e chiede la collaborazione dei suoi ponendo, come sempre,  delle domande (cf vv. 5-6). 

Filippo è il primo che risponde, in modo molto pragmatico,  badando alla spesa da sostenere per l’impresa (cf v. 7); poi si fa  avanti Andrea con una proposta sconvolgente, di cui è  consapevole per l’inadeguatezza del suo tentativo: “un ragazzino  [un servo] con cinque pani d’orzo e due pesci arrosto” (cf vv. 8-9),  il pane dei poveri. Inoltre sono inadeguati al bisogno: 5x5000! 

Ciò che stupisce di più però è la tattica di Gesù (v. 10): fa adagiare i cinquemila uomini dove c’è erba (è primavera quindi  abbondante), non “pecore che pascolano” (cf cap. 10; cf Mc 6,34  e par), ma commensali “sdraiati” ad un banchetto. Gesù stesso  prende in mano la situazione, come alle nozze di Cana, e dirige la  mensa (cf 2,7).  

2 Giovanni spesso sottolinea che è “la festa dei Giudei” (cf 2,13; 11,55) e non come sarebbe “la  Pasqua del Signore”, quasi che sia ormai solo una manifestazione dell’autocelebrazione delle  autorità religiose e non più dell’alleanza del Signore con il suo popolo (Deuteronomio 16,1; Es 12,1- 28; Lv 23,4-14; Nm 28,16-25; Salmi 105,5; 114,1); mentre lo emette parlando della Pasqua vicina  alla sua passione (cf 13,1; 218,28; 19,14.42). 

3 Cf. Mc 6,32-44; Mt 14,13-21, Lc 9,10-17 dove i discepoli fanno notare la gravità della situazione e  consigliano Gesù sul da farsi.


Sembra il realizzarsi delle profezie sul banchetto messianico  per tutti i popoli sul monte (cf Is 55,1-3; 65,13). 

I gesti compiuti qui per sfamare la folla: “prese i pani e,  avendo reso grazie, li distribuì a chi giaceva. Similmente anche dei  pesciolini, quanti ne volevano” (v. 11), si comprendono a pieno  come “segno” di ciò che Lui farà della sua esistenza di Figlio: una  Vita donata per la vita del mondo. Ciò emerge fin dall’inizio del  racconto giovanneo, ma a noi, che li ripetiamo nel rito eucaristico,  permettono di capire che ogni “segno” svolge la sua funzione in  relazione ad una realtà e non il contrario. La prodigiosa  distribuzione dei pani ci parlerà di eucaristia se entrambi ci  permettono di entrare nel dono del Figlio di Dio per noi. 

Infatti, così Egli farà prendendo la sua vita tra le mani, offerta  al Padre per noi, come il pane; rendendo grazie per il dono ricevuto  da Lui e distribuendolo Egli stesso, non i discepoli come nel  racconto dei Sinottici. 

Questa logica del dono, del donare investe tutto il senso della  missione di Gesù come Inviato “per amore del mondo” (cf 3,16) ed  è chiara la sua intenzione di coinvolgere anche i discepoli, facendo  svolgere a loro il compito di servitori che devono “raccogliere i  pezzi in sovrappiù…” (vv. 12-13); il simbolismo delle “dodici ceste”  è significativo riguardo a loro. 

Interessante allora che, nella sequenza della cena pasquale,  l’evangelista ometta i gesti eucaristici e inserisca il gesto di Gesù  che, come uno schiavo, si mette a lavare i piedi dei suoi,  aggiungendo anche qui un discorso rivolto a loro sul compito di  essere anzitutto servi gli uni degli altri (cf 13,1-5; 12-20). 

Quale il senso di questa logica: l’amore! (cf 15,13ss.) “Così Dio ha tanto amato il mondo” (3,6) 

Come il Padre ha amato me così io ho amato voi” (15,9) “Come io amai voi, anche voi amatevi gli uni gli altri”  (13,34; 15,12).  

Non si tratta di dare qualcosa, seppur pane di cui si ha  estrema necessità, ma se stessi! (cf l’espressione “date voi stessi  da mangiare” in Mt 14,16 e Lc 9,13). 

Infatti è prodigioso l’atteggiamento di condivisione che  moltiplica le risorse a disposizione in modo sovrabbondante per  tutti, questo è già il miracolo! Il “prodigioso” del segno sta nel fatto  che qualcuno metta a disposizione della folla affamata ciò che è  suo e non nell’esperienza miracolistica. 

Come l’amore di Dio: a spreco!  

Si possono verificare due conseguenze anche per noi: 1. anzitutto il servizio, svolto con e per amore, genera una  compagnia (cum panis) e una fraternità, effetti dell’amicizia e della  presenza di Gesù con noi (cf 15,14-15); 

2. inoltre si genera una comunità: cinquemila sono qui le  persone saziate, come cinquemila saranno i membri della prima  comunità di Gerusalemme nella quale si praticava la condivisione  dei beni (cf At 4,4.34; 2,42-45). 

Questo fonda lo stretto e reciproco legame tra chiesa – eucaristia e carità, tanto vivo e critico nella realtà attuale, anche a  livello di organismi ecclesiali! 

Per chi è dunque il segno

La folla sembra cogliere soltanto una comoda opportunità di  sussistenza, per cui vuole “farlo re” anche se lo riconosce come “il  profeta veniente nel mondo” (vv. 14-15). 

I discepoli sono invitati dal Maestro ad entrare nella sua  “logica del dare e del servire”, come abbiamo precedente visto e  come dovremmo fare anche noi. 

Gesù si ritira sul monte, stavolta da solo, mentre i discepoli  scendono verso il mare e si imbarcano per Cafarnao (cf vv. 15-17). 

In questo distacco c’è un’intenzione che si chiarirà  nell’episodio che si intromette tra il “segno” e il “discorso” e che  apparentemente sembra interromperlo (cf vv. 16-21)4

Nell’OGGI della Liturgia 

C’è sempre la possibilità di strumentalizzare o manipolare il  segno, sia del pane che dell’eucaristia, per fini “politici” o  utilitaristici, devozionali o intimistici: si è ben disposti ad accogliere  “il miracolo” mentre se ne rifiuta il messaggio come già era capito  ai profeti (ad Eliseo nella I lettura di oggi –2Re 4,42-44).  

I contemporanei di Gesù, discepoli compresi, lo riconoscono  come “il profeta veniente nel mondo” secondo i loro interessi e  nostalgie nazionalistici, senza accogliere il significato  compromettente del “distribuire” e del “servire”. 

È questa la “chiamata” di ogni discepolo, pur nella sua  limitatezza, ad operare e comportarsi in base all’amore del “Padre  di tutti che agisce…. in/per tutti” (cf Efesini 4,1-6 – II lettura). 


4 A. Maggi vede un parallelo con il ritirarsi di Mosè sul monte dopo il tradimento idolatrico del  popolo (cf Es 32,4ss.); così fa Gesù rifiutando il tentativo idolatrico di farlo re? Il ritorno dei discepoli  a Cafarnao indicherebbe che non condividono questa sua scelta e preferiscono la vita di prima (il  ritorno in Egitto per Israele, cf Nm 14,11) così li avvolge il “buio” e sono presi dalla “paura” al vederlo  perché pensano ad un castigo da parte sua? (op. cit., pp. 70-73).

 

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