“LE PAROLE… LA PAROLA”
1 agosto 2021 – XVIII Domenica T.O.
Un PANE per la VITA
Es 16,2-4 / Salmo 77 / Efesini 4,17.20-24 / Giovanni 6,24-35
Giovanni 6,24-35
22-29: Il Figlio vi darà un cibo che rimane per la vita incorruttibile
Contestualizzazione
La situazione che si è venuta a creare tra Gesù e i suoi discepoli (cf vv. 16-22) non sfugge all’attenzione della folla, quelli rimastisul la riva di Bestaida e quelli sopraggiunti su altre barchette da Tiberiade richiamati e attratti dalla notizia del “segno prodigioso dei pani” compiuto da Gesù (cf vv. 22-23a). Forse già si sta formando un “comitato” a sostegno di Gesù per appoggiare la sua ascesa al potere regale.
Alcune annotazioni non trascurabili:
- anzitutto la gente si accorge che Gesù non ha utilizzato la barca per raggiungere i discepoli a Cafarnao e comunque lì non c’è più nessuno, “una sola barchetta” (cf vv. 22b.24a);
- Giovanni sintetizza ciò che era avvenuto il giorno prima con un riferimento post-pasquale: “presso il luogo dove il Signore aveva reso grazie” (v. 23b);
- è una delle tre volte, in tutto il lungo capitolo, in ricorre il termine “il Signore” (cf v. 34 e v. usato da Pietro) che attribuisce al “segno” compiuto un significato quasi liturgico” con il gesto del “rendere grazie”;
- il testo di questi versetti è molto corrotto e si tratta forse di una fusione di altri due testi paralleli; comunque noi partiamo dal testo così com'è e dalla constatazione dell’assenza, dallo smarrimento che si tramuta in ricerca di Gesù e nella decisione di attraversare il mare alla volta di Cafarnao (cf v. 24).
- l’attenzione dell’evangelista si sposta dai discepoli alla folla che sarà poi l’interlocutrice di Gesù in tutto il discorso successivo (vv. 30ss.); i discepoli ritorneranno in scena alla fine (cf vv. 60ss.).
L’inizio del “discorso/catechesi”
La folla esordisce con una domanda curiosa: “Rabbì, quando sei venuto qua?” (v. 25). La risposta di Gesù riparte invece dallo stato d’animo che li sta muovendo, precedentemente descritto, espressa in modo da smascherare la vera motivazione della loro ricerca (cf v. 26).
Fare chiarezza è l’intenzione che l’evangelista mette sempre in evidenza quando Gesù ha da trattare con qualcuno in particolare e il dialogo dà il via ad una sua profonda “manifestazione”: richiede di “giocare a carte scoperte” per agire “nella luce e nella verità” (cf 3,21; 4,16-18). Questo riguarda tutti “i segni”: Gesù li compie per manifestare che l’amore del Padre si comunica a ciascuno attraverso di Lui, senza differenze, per saziare quell’interiore bisogno di vita vera, piena che c’è in ogni persona.
Come avviene che noi vi rispondiamo con cose materiali, che danno un appagamento fisico e mentale immediato, ma che non rispondono veramente e interamente alle nostre esigenze di esseri umani, così nella sfera religiosa: possiamo cercare nel rapporto con Dio una soddisfazione “meritata” e non il dono di una relazione gratuita d‘amore, che ci responsabilizza liberamente a ricambiare e a condividere, cioè ad amare.
“Hanno mangiato il senza aver compreso che era frutto del suo amore e della generosità dei discepoli. Questo era il segno che avrebbero dovuto vedere nei pani e che li avrebbe dovuti spingere a farsi pane per gli altri”. (A. Maggi)
Nella nostra società consumistica questo meccanismo è molto presente e viene anche contestato all’esperienza religiosa. L’affermazione di Gesù contiene dunque un invito ad andare alla radice non solo dei nostri bisogni e a darvi la risposta adeguata,
ma di ogni nostra ricerca1. La domanda “chi o cosa cercate?” ricorre nel racconto giovanneo, fin dall’inizio (cf 1,38; in 18,4-8 è ripetuto per ben tre volte!).
Qual è “il cibo che non si corrompe”, da ricercare e procurarsi, per cui valga la pena “operare”, e che “rimane” perché contiene “la vita incorruttibile”?
Quello che il Figlio, con la sua umanità, ci dona, Egli stesso come dono voluto dal Padre, Dio (cf v. 27). Il “sigillo/compiacimento”, è la sua condivisione all’agire del Figlio secondo la sua volontà2, coerentemente con chi è ed opera (cf 5,18ss.). Nel vangelo di Giovanni, Gesù lo ribadisce affermando che “suo cibo” è proprio “fare ciò che Dio, il Padre, vuole da Lui” (cf 4,32-34; 6,38.39.40): Egli si sazia di un cibo che né la folla, né i discepoli ancora conoscono, che è la piena comunione con il Padre e che Lui parteciperà a loro con il totale dono di sé nella sua passione e morte (cf 17,20-23).
Sentirsi amati personalmente e gratuitamente dal Padre, come figli e figlie, è l’esperienza più appagante che una persona possa fare, questo è “il cibo” che il Figlio vuole donarci e di cui per primo egli si nutre.
Amare è dare la vita, questa è l’opera del Padre, che permette anche a noi di “fare le opere di Dio”, cioè di agire come Lui agisce nei nostri confronti: amando! (cf v. 28).
La questione, posta come domanda, trova da parte di Gesù una risposta chiara, non altrettanto e immediatamente comprensibile finché non la si sperimenta: “credere in Colui che Dio ha mandato”3(v. 29), cioè fidarsi di lui che non delude le nostre attese più autentiche anche se non risponde ai nostri bisogni più sentiti. Anche qui Giovanni collega il “credere” con il “vedere i segni” come in 2,11.23 e non al soddisfare un bisogno.
1La “fame di cibo” richiama in Giovanni la “sete di acqua” e quindi ancora una volta il racconto dell’incontro e del dialogo di Gesù al pozzo con la donna di Samarìa. A questo proposito rimando alle riflessioni molto interessanti di E. BORGHI, op. cit., pp. 96.114.
2 Anche i Sinottici, nell’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte riportano questo “compiacimento” da parte del Padre (cf Mc 1,11; Mt 4,3; Lc 3,22b; Mt 17,5b).
3“Credere /nel Figlio inviato / per avere la vita inesauribile” non è solo il motivo per cui è stato scritto il vangelo di Giovanni, ma possiamo dirlo di ogni racconto evangelico (cf 20,31) ma è il senso della presenza di Gesù come Figlio nel mondo, inviato dal Padre (cf 21,11.23; 3,16b; 4,41-42.48.53b;30-35: Io-Sono il pane della vita che il Padre dona.
Il “discorso” di Gesù, la sua “catechesi mistagogica” nella sinagoga di Cafarnao (cf v. 59), dal v. 26 in poi ha una dinamicità impressa da alcuni elementi ricorrenti:
+ l’introduzione “in verità in verità vi dico” (vv. 26.32.47); + l’affermazione “Io-Sono” (vv. 35.41.48.51) legate al pane -come nel racconto giovanneo- all’acqua, alla luce… (cf 4,10.14; 8,12; 9,5; 10,7.9; 11.14; 11,25; 15,1-5); -+ le interferenze dei Giudei nel discorrere di Gesù (cf. vv. 28.30-31.34.41-42.52);
+ la contrapposizione tra “la manna” e “il pane”
dato da Gesù /dal Padre (cf vv. 31-33; 49-51; 58); All’interno emergono temi frequenti in tutto il racconto evangelico: la Vita incorruttibile/indefettibile e il rapporto tra l’origine del pane dato dal Figlio e il pane che il Padre dà attraverso di Lui.
I vv. 30-35 contengono già i concetti essenziali di tutto il discorso fin dall’inizio.
1. “I segni e le opere” compiuti da Gesù, quello della prodigiosa distribuzione dei pani e dei pesci alla folla dei cinquemila (cf vv. 1-15), vanno riconosciuti per vedere e poter credere in Gesù (cf v. 30).
2. Anche nell’esodo di Israele, Dio ha utilizzato dei segni, come “la manna nel deserto”, per venire incontro ai suoi bisogni primari e soprattutto per indurlo a fidarsi di Lui (cf v. 31; Es 16,4.13ss.)4.
4La memoria di questo segno è celebrata spesso da Israele (cf Dt 8,2s. e Sap 16,20). I contemporanei di Gesù vedevano in Mosè il primo redentore, anticipo del Messia che venendo avrebbe rinnovato i segni messianici, come quello della manna (cf Apocalisse di Baruch 29,8).
3. La manna è qui definita, e lungo tutto il discorso, come “il pane dal cielo” (cf vv. 32.49.58b).
4. Su questa definizione Gesù fa leva per contrapporre il suo “pane del cielo, da-di Dio Padre”, quello “vero” che è Lui stesso (cf vv. 32-33; 50-51; 58a.c)5.
In modo incalzante Gesù sembra voler chiarire sempre meglio:
- si tratta di un pane che viene donato da Dio/Padre (cf vv. 32b; 41-42; 50.57)
- esso è una persona che viene da Dio Padre (cf v. 33a.51b) - per dare Vita al mondo (cf vv. 33b.51c.53b.54a.58c) - ed è vivo/vivente (cf vv.35.48).
La risposta sorprendente degli interlocutori di Gesù è simile a quella della Samaritana nei confronti della proposta sconvolgente da parte sua di “un’acqua vivente che zampilla per una vita senza fine” (cf 4,13-15), ma sembra essere anche l’invocazione di una comunità credente che si rivolge al suo Signore: “Dacci sempre di questo pane” (v. 34).
Tuttavia, Gesù immediatamente chiarisce il rapporto tra se stesso e il pane che è Lui, che il Padre dà attraverso il Figlio: fornisce la vita indefettibile se si viene a Lui e si crede in Lui (cf v. 35; poi vv. 37.40.44.47.65) e questo vale per i giudei e per i discepoli che alla fine lo abbandoneranno (cf v. 66), quindi anche per noi.
“Credere” è la condizione per “avere Vita” (v. 35b) e anche il senso di “vedere i segni”, così Gesù risponde alla domanda iniziale da parte della folla, soprattutto con il suo modo di “operare”: fare la volontà del Padre (cf v. 30; vv. 28-29).
5 Nel Salmo 78,5 la manna è definita come “pane dei forti”, tradotto in greco come “pane degli angeli” nel senso che loro lo recano da Dio al popolo. Qui Gesù mette subito in opposizione, e poi continuerà, il “pane dal cielo dato da Mosè” con “il pane vero del cielo che il Padre dà” e che è una persona (il Figlio) che viene da Lui (cielo nel senso di Dio) vv. 32-33.
Senza entrare nel rapporto tra “fede e sacramenti”, tuttavia è sempre presente, anche da parte nostra nei confronti dell’eucaristia, la tendenza ad impossessarcene come fosse una “cosa sacra” e non comunione con una persona6, con il suo messaggio e stile di vita da assimilare affinché diventino nostri (cf la sapienza di cui nutrirsi: Pr 9,5; Sir 24,19).
Nell’OGGI della Liturgia
Il continuo riferimento all’esperienza della “manna” da parte del popolo peregrinante nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto, come “dono dall’alto, da Dio”, motiva la scelta liturgica di proclamare Esodo 16 come I lettura. Non è solo il riferimento alla storia passata che fa da ponte con “il discorso” di Gesù, ma la dinamica di richiesta e fiducia che determina la comprensione degli avvenimenti e delle Scritture: i giudei pretendono di “misurare” Gesù e il suo comportamento sul passato, mentre per Lui anche quello è “segno” del compimento futuro in Lui stesso.
“Io-sono” è l’avvenimento definito che “si incarna” (cf 1,14) come “pane di vita” per una vita che diventi pane per noi esseri umani affamati senza sapere neppure di che.
È la sfida ad ogni pretesa religiosa di attestazioni confortanti sempre però opprimenti la libertà e la responsabilità, non avere altro potere se non quello di “essere per”, di donare se stesso a noi carenti di vita.
Così ogni situazione esistenziale ed evento storico trova il Lui e nella sua “rivelazione” il suo senso ultimo e la sua piena comprensione, non più “secondo la carne” [la logica umana], ma “attraverso la carne” di Cristo che fa sua la nostra, in una “nuova giustizia” nel compiere da Figlio la volontà del Padre (Efesini 4 – II lettura di oggi).
6 Vedi le voci “Sacramentaria e sacramenti” di E. RUFFINI, Dizionario di Teologia, Paoline 1977, p. 1371/2 e pp. 1382-1385; “Eucaristia” di A. AMBROSANIO, pp. 464-465.