venerdì 29 ottobre 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 31 ottobre 2021 – XXXI Domenica T.O./B Marco 12,28-34 L’Amore basta alla vita

LE PAROLE… LA PAROLA” 

31 ottobre 2021 – XXXI Domenica T.O./B 

Deuteronomio 6,2-6 / Salmo 17 / Ebrei 7,23-28 /

Marco 12,28-34 L’Amore basta alla vita 

Il cammino dell’Amore 

Seguito dal cieco che ora ci vede “di nuovo”, dopo essere  riemerso dalle “viscere” della terra [Gerico circa -250 m s.l.m.], Gesù  fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme [+754 m s.l.m.] (cf  Marco 11,1-11). 

Sarà una settimana molto intensa di insegnamenti e di  scontri con le autorità religiose e politiche che mettono in  discussione l’autorevolezza del Nazareno nel suo operare  messianico dimostrando così la loro “cecità” [“non lo sappiamo”],  e la loro sterilità dovuta all’incredulità, ben rappresentata dalla  “parabola del fico” (cf vv. 12-33). 

Il culmine dello scontro avviene quando un’altra drammatica  e sanguinosa parabola li riguarda direttamente: quella del figlio  ucciso dai vignaioli omicidi (cf 12,1-12). In essa Gesù dà anche il  significato più profondo e autentico del suo rifiuto e dello scarto,  come evento nel quale il Padre può finalmente e definitivamente  operare a favore dell’umanità.

La calma che segue è solo apparente poiché farisei, erodiani,  sadducei, scribi si fanno avanti per dirimere questioni riguardanti  il tributo da pagare all’imperatore romano (cf vv. 13-17), la  risurrezione dei morti (cf vv. 18-28), il comandamento principale della Torah (cf 12, 28-34). 

Non si tratta di semplici dispute dottrinali, dentro ci sta  qualcosa che riguarda direttamente Gesù, il suo destino  messianico, la sequela dei suoi discepoli, la folla che ammirata lo  ascolta volentieri, la nostra fede in Lui. 

Nel suo consegnarsi riporta tutto al Padre, Dio della vita, e  rivela il principio “primo” che muove anzitutto il suo essere e il  suo agire: l’amore. 

Tutto quello che Egli come Figlio (cf vv. 35-37) finora ha  operato e insegnato, anche apparentemente contro la Torah, in  realtà ne compie il senso e il significato: amare. 

Quello che non riescono più a fare gli scribi, lo attuerà la  vedova che “nella sua miseria… ha gettato tutto quello che aveva  per vivere” (cf vv. 38-44), vera immagine di Colui che dona  [espone] la sua vita per noi e per tutta l’umanità in un amore  incommensurabile. 

Mentre la mentalità legalista cerca una graduatoria di  doveri, la logica divina è quella dell’amore che compie ogni legge,  è “il senso di tutte le scelte, di qualsiasi responsabilità che ci  investe, di ogni compito che assumiamo nell’esistenza… infatti  giudica e relativizza ogni scelta umana dichiarandola incompiuta  e contemporaneamente gravida di eternità”. 

La risposta di Gesù sta nel consegnare la propria esistenza di  Figlio che manifesta la prossimità al/del regno di Dio, attuando  Egli stesso il “comandamento più grande” nell’amare il Padre con tutto se stesso e noi come se stesso. 

Così Egli annuncia la speranza che la propria vita, e di tutti  quelli che di umana non ne hanno più come la vedova [miseria],  porta a compimento la storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo; 

nulla nell’umanità andrà più a vuoto, infatti sulla croce dirà: è  compiuto. 

Contestualizzazione liturgica 

Quante volte è andato fallito l’invito [ascolta] di Dio al suo  popolo di osservare e di praticare, gravido di una promessa di  felicità! (cf Deuteronomio 6 – I lettura odierna). Eppure niente di  più bramiamo che questa svincolati da ogni imposizione, convinti  che essa stia proprio nella libertà di fare e non di essere (cf Salmo  17).  

Chi ci salverà da questo radicale e drammatico  fraintendimento? Solo Colui che ha offerto se stesso una volta per  tutte [èpafax] (Ebrei 7 – II lettura). 

E questa parola attua ciò che dice nella nostra fiducia che sia  possibile anche per noi far prevale l’amore con tutta la sua forza  (cf 1Corinzi 2,4). 

Non sperimentiamo ancora volta nei fragili segni del pane e  del vino quest’amore che trasforma in sorgente di vita?! 

In preghiera 

Padre, 

tu sei il nostro unico Dio e Signore 

fa’ che ti ascoltiamo, 

perché i cuori, i sensi e le menti 

si aprano alla logica dell'amore. 

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito santo, nel tempo e nell’eternità. Amen.

venerdì 22 ottobre 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 24 ottobre 2021 – XXX Domenica T.O./ Marco 10,46-52 Una Luce che fa rinascere

LE PAROLE… LA PAROLA” 

24 ottobre 2021 – XXX Domenica T.O./B 

Geremia 31,7-9 / Salmo 125 / Ebrei 5,1-6 / Marco 10,46-52

Una Luce che fa rinascere 

Chi segue me avrà la Luce della Vita 

Alcuni anfratti rimangono irraggiungibili, tanto sono nascosti  e oscuri, così bui che da lì in fondo non si vede nulla, nemmeno la  luce penetra e per di più non si è visti da nessuno. 

Cecità assoluta! 

Il cammino di Gesù tocca il suo punto più profondo, più in  basso… fino a Gerico (Marco 10,46 – Evangelo di oggi) quasi a  voler raggiungere le “viscere” della terra, [la città ritenuta più  antica e più sotto il livello del mare circa -250 m s.l.m. nella  depressione del Mar Morto], a voler incontrare gli “ultimi”. 

È il regno di Dio che raggiunge davvero tutti e soprattutto  coloro che rimangono ai margini della società per i loro limiti  fisici, le loro incapacità a “vedere” con gli occhi e con la “mente”,  avvolti da tenebre che impediscono di vedere la realtà e di  riconoscere gli altri, ma non di essere ascoltati nel loro grido di  aiuto da Colui che a loro si fa vicino e presente (cf v. 48) 

All’inizio è solo una manifestazione della propria povertà ma, nell’incontro con Colui che porta luce e che è Egli stesso Luce, 

diventa un dialogo da cui nasce un rapporto nuovo con se stessi,  con gli altri, con la realtà. 

Dal buio della cecità al “seguire” colui che è la Luce del  mondo (cf Giovanni 8,12). 

Solo calandosi nelle tenebre più profonde ci fa riemerge e  “venire alla luce”, rinascere (cf Giovanni 3,21). 

Cosa vuoi che io faccia per te? 

Tutto parte da una chiamata che incoraggia, è un  riconoscimento della propria identità, l’emergere dalla invisibilità  a cui gli altri lo avevano condannato (cf v. 49). 

E la risposta, più nei gesti che nelle parole, manifesta questa  volontà e la sua libertà: “gettò via il suo mantello [riparo], balzò  in piedi [risorge] e venne da Gesù” (v. 50) 

“La chiama di Dio è sorprendente… è un Dio sorprendente. Ci sorprende quando non siamo preparati… non è  riconducibile ad un’edizione tascabile, ad un manuale. Dio resiste ad essere addomesticato. 

La fede non è un’opzione che si fa una volta per sempre; non è che, un giorno, noi decidiamo di diventare credenti.  È un’opzione di ogni giorno di fronte a Dio che ci sorprende. Egli giunge da una porta che non ci aspettavamo”. (J. GONZALES RUIZ) 

Una domanda fa esprime il bisogno, per altro abbastanza  evidente a tutti il che farebbe dire retorica la richiesta, ma  soprattutto il desiderio autentico di potersi rialzare in piedi, di  andare verso… la luce (cf v. 51). 

Il chiedere di Gesù come per avere “il permesso” di agire,  denota il suo rispetto e piuttosto l’appello alla libertà di volere.  Per questo la guarigione dalla cecità è per il cieco una nuova  chiama alla Vita, un processo di rinascita e di rigenerazione [c’è  una traccia catecumenale nel racconto di Marco… come in quello  di Giovanni nel dialogo notturno con Nicodemo].

Per i discepoli sempre perplessi e anche per noi credenti  sempre principianti [qui spettatori o protagonisti con Bartimèo?!]  è una guarigione che ci chiarisce il modo di essere nella sequela di  Gesù: come possiamo seguirlo, come possiamo entrare nel  rischioso cammino del regno? [è la questione di fondo in Gv 3,3],  come è possibile? (cf vv. 25-26): possiamo rinascere! (cf v. 52). 

Contestualizzazione liturgica 

La chiamata è risuonata già secoli prima per le parole di  Geremia (31,7-9 – I lettura) ad un folto gruppo di deportati in  Babilonia, menomati che tornano in patria, quelli che partiti in  pianto adesso tornano con gioia (Salmo 125/6). 

Non è solo la ricostruzione di una nazione, ma una rinascita  interiore che riguarda tutti coloro che vanno liberati e anelano  alla libertà, ad un rapporto di protezione, di cura filiale e paterno. 

Il nostro metterci in cammino è parte dell’andare di ogni  essere umano, di un flusso che accompagna la storia  dell’umanità, è l’inizio di un processo di rinascita: andare verso la  luce… è il nostro muoverci, alzarci, andare verso, convergere per  la celebrazione. Non sono atti banali, nella loro consuetudine  dicono la risposta ad una chiamata, la libertà di aderire, la  volontà di dare una risposta. 

È andare e convenire per ascoltare una parola per noi, che ci  disseta, per entrare in un dialogo vitale con Colui che “è in grado  di sentire giusta compassione per quelli che sono nel buio della  non conoscenza e dell’errore, essendo anche Lui rivestito di  debolezza” (Ebrei 5,2 – II lettura). 

Nessuna “appropriazione”, ma piuttosto una totale  espropriazione nel donare interamente se stesso, corpo e sangue  da autentico sacerdote (cf v. 5) ancora oggi, per noi oggi e per  tutti, nella mensa eucaristica.



In preghiera 

Padre, 

che nel tuo Figlio unigenito 

ci hai dato il sacerdote compassionevole verso i poveri e gli afflitti, 

ascolta il grido cieco della nostra preghiera e fa' che tutti possano vedere in Lui il dono della tua misericordia. 

Egli, servo e Signore nostro, 

che vivere e regna con te 

e in mezzo a noi 

nel tempo e nell'eternità. Amen.

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