domenica 23 agosto 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 23 Agosto 2020

 “LE PAROLE… LA PAROLA” 

23 Agosto 2020 (Domenica XXI TO/A) 

Isaia 22,19-23 – Salmo 137 – Romani 11,133-36 – Matteo 16,13-36


 Il piolo e la pietra.

Chi sia per noi Gesù è una domanda con cui prima o poi dovremmo confrontarci durante la nostra vita se vogliamo giungere ad una fede adulta. Non serve ricorrere alle risposte “preconfezionate” dei nostri contemporanei o che già abbiamo sentito ripetere fin dai tempi del nostro catechismo.

 Ecco, forse è proprio questo a limitarci nella nostra ricerca o nel presupporre che non serva chiedercelo o addirittura che possa essere pericoloso. Che sia però imprescindibile lo attestano i vangeli stessi, sia Marco che Matteo, che addirittura fanno porre la domanda da Gesù stesso rivolta ai suoi discepoli. Di solito sono gli altri a porre domande come nel caso dei farisei e dei sadducei, soprattutto a pretendere un “segno” per poter credere; gli stessi discepoli si interrogano sulla mancanza di pane e forse sperano in un nuovo segno da parte di Gesù (Matteo 16,1-12) 1 . 

 1 Spesso papa Francesco mette in guardia la chiesa dal pretendere di dare sempre risposte pronte a domande che spesso nessuno pone. Addirittura si verifica un “ribaltamento” del tradizionale: Roma ha parlato, la questione è chiusa! Francesco con il suo stile e il suo magistero pone domande e apre questioni sul mondo attuale, sulle dinamiche socio-politiche e ambientali, e invita i cristiani ad interrogarsi.  

Siamo in un territorio in cui la presenza “straniera” dei romani è connotata da una città fatta costruire per loro da Filippo, dove è evidente chi comanda davvero in Palestina e dove il potere imperiale ostenta i suoi simboli. E’ la sicurezza di un potere politico che garantisce un nuovo ordine sociale. Probabilmente i discepoli sono ancora disorientati per il dialogo avuto dal Maestro con i farisei e i sadducei e per la risposta che ha dato alla loro perplessità; non sono riusciti a capire quale sia il “lievito” da cui dovrebbero guardarsi che egli li incalza con le sue domande.

 Sembra inizialmente un sondaggio di opinione, ma in realtà il Nazareno li vuole portare ad esporsi e pronunciarsi in prima persona, a lasciar finalmente da parte la mentalità farisaica che cerca di “inquadrare” l’operato di Dio in uno schema facilmente replicabile e che cerca di “influenzare” dall’interno l’agire religioso, non lasciando spazio al suo libero e imprevedibile intervento nell’esistenza personale e nella storia (cf Galati 5,9; 1Corinzi 5,6-7). 

Gesù vuole farli uscire dall’atteggiamento di aspettarsi sempre nuove attestazioni utili alla sua credibilità di messia, per confrontarsi con un’identità che li lascerà sconcertati per il suo realismo e che contraddice ogni aspettativa messianica (cf 16,37ss.). Inizia con l’interrogarli, quasi infastidendoli con la sua pretesa di un’opinione personale. Non è più il tempo di credere di fronte a miracoli che possono sembrare la riposta giusta al momento giusto, ma di dare loro la loro riposta di fonte ad un agire di Dio che per molti versi può sembrare per lo più incomprensibile: attraverso il fallimento e la sofferenza. Si capirà meglio in seguito il perché di questa presa di posizione. 

La risposta dei discepoli, per voce di Simone è chiara e indiscutibile, ma le sue conseguenze davvero sorprendenti. Anzitutto Simone capisce che non può far conto sulle sue conoscenze umane, né nella sua affermazione né nel compito che gli viene affidato di “legare e sciogliere”, un ruolo che la comunità cristiana gli riconoscerà fin dall’inizio come “roccia”: “la pietra” su cui la “chiesa” viene edificata è il Signore, quindi non può prescindere dal suo legame con lui. 

Qui sta il senso della sua “beatitudine”! Questo deve essere chiaro per lui, per gli altri 3 discepoli e per i cristiani delle successive generazioni: nessuno governa perché ha un potere, anche se “vicario”, ma perché è fedele ad una chiamata

 I discepoli stessi poi sono indotti al silenzio perché adesso il loro riferimento messianico con cui confrontarsi sarà la sofferenza e la morte del Maestro stesso e non più le promesse profetiche. 

Allora nella nostra “ricerca di fede” siamo in buona compagnia, destinati a “confermarci” l’un l’atro: a volte chi è “come un piolo conficcato solidamente” (lo dice Isaia di Elìakìm: 22,23) sosterrà gli altri nella loro debolezza; oppure “chi ha conosciuto il pensiero del Signore” (Paolo ai cristiani di Roma: 11,34) illuminerà gli altri nella loro ricerca, spesso nel buio.

 Insomma non siamo mai da soli nel nostro cammino, eppure nessuno è esentato dal dare la sua risposta personale. Saranno le cosiddette prove della vita ad interpellarci ed a suscitare in noi domande che altrimenti mai ci saremmo posti.

 Non facciamo prendere dall’ansia della risposta esatta entro il temo limite… sarà fondamentale sentire che quel Gesù, di cui sentiamo parlare da secoli, e da sempre nella nostra breve esistenza, è “inviato a me e per me” e che da me non vuole la corretta risposta al quesito, ma la fiducia di affidargli la mia povera esistenza, sicuro che Lui porterà a pieno compimento tutto quello che io non sono nemmeno stato capace di immaginare (Romani 11,36).

 Roberto

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