“LE PAROLE… LA PAROLA”
28 febbraio – Con Gesù sul monte: Marco 9,2-10
Genesi 22,1…18 / Salmo 115 / Romani 8,31-34
Se nella I domenica Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto, “messo alla prova come figlio”- e lì si manifesta già vincitore anticipando la sua morte in croce -, nella II Egli conduce con sé tre discepoli sul monte deserto e abitato oltre che da loro, anche da Mosè ed Elìa, ma soprattutto dal Padre.
È Lui che adesso ad essi conferma la figliolanza del loro maestro: “È questo il figlio mio, quello che io amo”, con una “trasfigurazione” che ne anticipa la risurrezione; a Lui conferma quanto già avvenuto al Giordano.
Nuovo è ora l’invito ai discepoli, che con Lui hanno già condiviso buona parte del suo percorso terreno e che sono più volte rimasti sconcertati e increduli, soprattutto davanti alle sue previsioni riguardo il suo tragico destino (cf 8,31-38).
“Ascoltatelo” dice loro la voce del Padre, che non rievoca solo l’atteggiamento fondamentale chiesto dal Signore al suo popolo Israele nello shemà (cf Deuteronomio 6,4; 18,15), ma è un chiaro invito a non esitare nel seguirlo, superando la loro comprensibile paura, che manifesteranno anche più avanti (cf 9,32).
Per il discepolo/credente e per l’intera comunità cristiana, è iniziato un percorso di “conversione”, di “ritorno” alla propria rinascita, il battesimo/immersione nella pasqua del Signore, un “cambiamento”, quindi fatica e impegno, ma anche scoperta e novità.
Consapevoli delle difficoltà/prove, sappiamo che il Signore ha già percorso per primo questo cammino fino in fondo, e che attraverso la sua sofferenza e morte ci ha manifestato e comunicato la Vita di figli del Padre.
È stato così già nella vicenda di Abramo con suo figlio Isacco, un riferimento luminoso e sconcertante nello stesso tempo:
smarrimento e liberazione, sempre vissuta per Israele in modo imprevedibile (Genesi 22 – I lettura odierna).
Stupore per l’assurda “richiesta divina” e liberazione nel “perdere la vita” che Gesù porta a compimento per ogni essere umano come “dono di sé” in un amore assoluto.
In Lui si rinnova l’alleanza tra Dio è l’umanità, iniziata nell’elezione di Abramo e compiuta nella Pasqua, anticipata per entrambi su un monte, che vede anche i discepoli “impauriti e ammutoliti” e poi orientati alla risurrezione.
L’episodio della trasfigurazione, come ci è “raccontato” dai tre sinottici, costituisce uno squarcio di luce che illumina il cammino dei discepoli e il nostro, ne alleggerisce la fatica per non farci vincere dallo scoraggiamento e dalla paura, accompagnati dalla consapevolezza che “Dio è per noi” (Romani 8 – II lettura) in ogni situazione, anche la più pericolosa e assurda.
Siamo quindi invitati a proseguire il cammino quaresimale con questa fiducia perché già ne intravvediamo la meta luminosa e gioiosa nella trasfigurazione sul monte, consapevoli che stiamo vivendo e celebrando la Pasqua proprio in questo “tempo quaresimale” così critico.
Il “cambio epocale” evidenziato da papa Francesco, anche in questo tempo di pandemia, fa emergere la necessità di “un impegno profondo per arrivare a un cambiamento di paradigma – ma questo passo è ancora problematico”.
Ancora “non vediamo questo cambiamento, almeno esso è ancora molto sottotraccia, perché si tratta appunto di mentalità. Ricordiamo che la mens latina, nella sua radice che viene dal sanscrito, aveva il significato di ardore, di veemenza, di qualcosa che ti trascina verso il fondamento delle cose.
Quindi la mentalità è qualcosa di molto profondo, è il modo in cui io mi rapporto con la realtà delle cose e mi regolo rispetto a essa. Oggi siamo ancora molto lontani da una mentalità nuova, c’è molto da fare a tutti i livelli per fare in modo che la lezione del Covid sia pienamente accolta dalla nostra contemporaneità”.
(Jesús Morán Cepedano)
Se trasfigurato è l’aspetto fisico, umano di Gesù come da una fiamma interiore, è soprattutto trasformato lo “sguardo” dei discepoli che alla fine vedono solo Lui con loro nella discesa dal monte proseguendo il cammino verso Gerusalemme.
Il segno del “cambiamento avvenuto”, della possibilità ormai non più smentita, ci è dato dal vivere e dal morire di Gesù nell’irreversibile passaggio “dalla morte alla vita”, che determina anche per noi di poter vivere nella verità ultima di noi stessi e della nostra esistenza, anticipata in ogni più piccolo segno e gesto d’amore.
E l’amore, oltre ad illuminare, permette di vedere il volto del Figlio in tutti i fratelli e sorelle che incontriamo.
Roberto