giovedì 6 agosto 2020

#IoRestoaCasa Variazioni pastorali sul tema del lockdown / 2

#IoRestoaCasa Variazioni pastorali sul tema del lockdown / 2 

Castel Frentano, 6 agosto 2020 Trasfigurazione del Signore 

#IoRestoaCasa e #ChiesaInUscita Qualcuno mi ha chiesto come mai questa riflessione sulla “casa” nel momento in cui papa Francesco ci invita ad essere una “chiesa in uscita” (EG 49). 

1. “Si esce per rimanere fuori” è l’affermazione di Duilio Albarello nel suo articolo sul tema dell’uscire1, non certo per fare una “comparsata”, ma per scegliere di “abitare” come “voce del Verbo” che “venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14), lo abbiamo affermato al Convegno di Firenze 2015 assieme alle altre “azioni”: uscire – annunciare - abitare – educare – trasfigurare, indicate anche come cinque vie per un “nuovo umanesimo”. 

2. C’è quindi un profondo legame tra uscire ed abitare, che corrisponde, come dicevamo all’atteggiamento di Gesù che esce di casa per andare ad annunciare (cf Mt 13,1-3)2

I cristiani che “finalmente” escono di casa (dalle chiese, dalle sacrestie, si diceva qualche anno fa...) lo fanno per abitare, in modo discreto ma significativo, come lievito, come sale il loro territorio e le loro relazioni quotidiane. Può anche prevalere in alcuni il senso di “diaspora”, di dispersione e di anonimato, ma se 

1 Vedi Non è una parentesi, pp. 97-120. 2 E’ molto interessante notare il continuo alternarsi nei primi capitoli del vangelo di Marco dell’azione di Gesù “fuori”, per strada e il suo parlare “dentro”, il suo “spiegare” ai discepoli che gli pongono domande proprio in casa, che diventa il luogo delle domande e dell’approfondimento; “dentro” è ad esempio per Gesù la casa di Simon Pietro a Cafarnao nel suo andirivieni sulle rive del lago di Galilea dove già aveva incontrato e chiamato a seguirlo i suoi primi discepoli e molte volte le folle (1,29ss.33.35; 2,13,14ss.; 3,7ss.; 4,1ss.; 5,1s. 21.2438ss.;6,6ss...). 

animato da un amore autenticamente gratuito che si “prende cura” (come abbiamo sperimentato in questo tempo di Covid) diventa una preziosa occasione di incontro e di dialogo come, proprio a Firenze, ci ha inviato a fare papa Francesco. 

Dovremmo avere un atteggiamento ed uno stile evangelici (cf Gaudete et exultate 97), più semplici ed incisivi, che riflettano quello del Nazareno e, come abbiamo visto in Marco, illuminanti anche per la nostra “conversione pastorale”. 

3. La comunità dei discepoli di Gesù, “esce fuori” dalle proprie “case” evangelizzare in termini di “primo annuncio” (o di kerygma, come si dice tecnicamente) e questo va fatto nei luoghi di vita quotidiana, nelle relazioni informali; poi le persone hanno bisogno di un luogo più raccolto e accogliente come la “casa”, dove approfondire, riflettere e quello che si può fare con una “catechesi” adeguata anche alle situazioni personali. Un ulteriore passo e l’accoglienza nella “comunità” intesa anche come “casa comune”, nella quale le relazioni si dilatano e si vive anche la celebrazione della propria fede. 

Questi possono essere i passaggi fondamentali di un “catecumenato” contemporaneo, di un percorso che conosce oltre a itinerari, anche “luoghi”. 

4. Qualcosa del genere può avvenire anche per l’iniziazione alla vita cristiana e sacramentale dei più piccoli, o l’accompagnamento al sacramento nuziale e ad altre esperienze di formazione e di spiritualità. 

Tra l’altro anche la fase 3 dell’emergenza Covid ci porrà domande e anche difficoltà nell’uso dei locali parrocchiali come eravamo abituati prima, soprattutto per i ragazzi che sono molto movimentati e sarà già costretti a strette regole nelle aule scolastiche. 

Da tempo, nelle varie comunità dove ho svolto il ministero, ho proposto alle catechiste e ai catechisti una descolarizzazione 

del catechismo abolendo la terminologia delle “classi”, costituendo “gruppi con nomi evangelici” (Nazareth – Galilea – Giordano – Cenacolo – Cafarnao...) che costituiscono “tappe" di un itinerario. In una di queste parrocchie, per mancanza di sale abbiamo optato per “un catechismo nelle case e con le famiglie” abbinando anche alcuni incontri comunitari in chiesa: inizio e fine anno; avvento e quaresima. Dove è stato possibile ho fatto in modo che fossero coppie di sposati a tenere gli incontri, con la collaborazione di giovani animatori; in tutti i casi quasi spontaneamente si avviavamo momenti “famigliari” di catechesi: tutti insieme, e dedicati ai piccoli e agli adulti. 

5. Anche la preparazione al sacramento nuziale può avere nelle case di coppie già formate un luogo più accogliente e che può facilitare i primi passi del percorso; in parrocchia si potranno avere momenti celebrativi, di spiritualità... 

Quando il gruppo delle coppie non era troppo numeroso, ho preferito tenere gli incontri nella stessa “casa parrocchiale” dove abitavo e non in una sala riunioni. Il tutto è stato più intimo e spesso conviviale, soprattutto quando c’erano una bimba o un bimbo quasi neonato di qualche coppia. 

6. Come si nota non c’è alternativa tra “casa” e “parrocchia”, ma alternanza e complementarietà. 

Nel dinamismo della “chiesa in uscita”, la “casa” ha un ruolo fondamentale, non tanto come “luogo” ma come atteggiamento di “fare casa” con qualcuno per saperla e poterla fare con tutti. Si tratta di una forma delle relazioni che si stabiliscono per strada; a quelle persone dovremmo essere capaci di rivolgere un invito: “Vieni a casa?!”. 

7. In questa “conversione pastorale dei metodi e delle strutture” ci sostiene e ci illumina “la mistica della fraternità” di cui Francesco ci parla in EG 87 che ha il suo centro dinamico nell’incontro e nel dialogo (Firenze2015) e il suo cuore pulsante 

nella “vita comunitaria e impegno con gli altri” (EG 177) come “spazio di fraternità, di giustizia, di pace...” (180). 

Questa è la casa di cui parliamo qui! C’è un episodio evangelico riportato dai sinottici in cui Gesù proclama “la fraternità umana del vangelo”, all’interno di una “nuova famiglia” generata dall’ascolto della sua Parola e della pratica fedele (Luca 8,21), radunata in casa mentre “fuori” stanno i suoi naturali familiari, che sono venuti a prenderselo perché avvertiti che il Nazareno ormai è “fuori di testa” (Marco 3,20- 21.31 e 32b). 

Quella folla assiepata di persone, “sedute attorno a lui in cerchio” (3,34, nella casa di Simone Pietro, presumibilmente i più vicini dovevano essere quei “dodici” poco prima “costituiti” da Lui (v. 16) e che stavano sotto il suo “sguardo” (v. 34a) sono considerati “madre e fratelli”. 

Ecco “la casa della Parola” che è anche “comunità”, a cosa dovrebbero ispirarsi le rinnovate strutture pastorali dell’Istruzione nella loro “conversione” (cf nn. 24-26). 

Mi interesserebbe che un dibattito si accendesse ed arricchisse queste riflessioni, anche perché la fase 3 è alle porte! 

Roberto 


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