sabato 27 novembre 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 28 NOVEMBRE: AVVENTO C 2021 I DOMENICA

LE PAROLE…LA PAROLA” 

28 NOVEMBRE: AVVENTO C 2021 

I DOMENICA 

Geremia 33,14-16 

Salmo 24 

1Tessalonicesi 3,12- 4,2 

Luca 21,25-28. 34-36 

LA NOSTRA LIBERAZIONE È VICINA

Alzatevi! 

Riflessi della Parola 

Nella sua Parola, Dio ci viene incontro per giudicare e compiere le nostre  attese di giustizia [Geremia].  

Attraverso ogni umana e sociale “crisi”, quasi necessaria, Dio mette al vaglio  tutti i progetti umani di liberazione, come annunzio della salvezza vera che si  avvicina [Luca]. 

Mette anche a nudo le nostre paure e la presunzione di salvarci da soli  [Paolo]. 

La liberazione che viene con Gesù (“Dio salva”), come atto salvifico di giustizia,  è l’amore che rincuora in ogni sconvolgimento e di fronte al giudizio della Parola.  Così lo stesso amore diviene anima della vigilanza nelle preoccupazioni  dell’esistenza e della preghiera nell’ansia di trovare noi da soli vie sicure d’uscita  [Salmo 24 e Paolo].

Liturgia domestica [Corona dell’Avvento] Accensione del primo cero 

Accendiamo, Signore, questa luce, 

come chi accende la sua lampada 

per uscire, nella notte, 

incontro all’amico che viene. 

Per questo vogliano alzarci  

per andarti incontro 

e con te camminare insieme 

verso un futuro di giustizia. 

Molte ombre ci avvolgono 

ma non vogliamo che la paura prevalga in noi: vogliamo rimanere svegli e vigilanti. 

Vieni, Signore Gesù! 

Il Signore VIENE nella sua PAROLA noi lo ATTENDIAMO in PREGHIERA 

Padre,  

che mantieni sempre le tue promesse,  rialza l'umanità oppressa da tanti mali  e apri i nostri cuori alla speranza, 

perché attendiamo  

senza ansie e senza paura 

la venuta gloriosa di Cristo Signore, 

tuo Figlio, che è Dio, 

e vive e regna con te,  

nell'unità dello Spirito santo, 

nel tempo e nell’eternità.  

Amen.


venerdì 26 novembre 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 28 novembre – 24 dicembre: Tempo di Avvento AVVENTO come VENUTA

LE PAROLE… LA PAROLA” 

28 novembre – 24 dicembre: Tempo di Avvento 

AVVENTO come VENUTA 

AVVENTO come PRESENZA 

AVVENTO come AVVENIMENTO



 


Questo triplice significato, ripreso dai Padri della Chiesa  [eminenti autori di scritti cristiani nei primi tre secoli], può essere  così riassunto: il Signore Gesù viene oggi in mezzo a noi nella  liturgia perché è già venuto nella nostra natura umana ed Egli  stesso verrà un giorno nella gloria. Ma l’ordine delle espressioni  può essere capovolto come si vuole. 

Anzi, la sua è una continua e ininterrotta venuta in mezzo a  noi nella storia umana, dopo che egli, glorificato nella  risurrezione, mediante il suo Spirito continua a guidare il  cammino dell’umanità e della creazione intera verso la pienezza. 

È la stessa vita cristiana che non conosce ripetizioni, ma  sempre nuovi eventi inattesi e sorprendenti: essa è sempre  venuta del Signore crocifisso – risorto e, quindi, sempre e solo  evento pasquale. 

L’atteggiamento del cristiano e della Chiesa è una riposta,  aprirsi all’appello di vigilare, a mettersi in cammino con fiducia,  speranza e perseveranza, con gioia nella carità, alla luce del  Vangelo di Gesù di Nazaret, alla presenza del Misericordioso nel  mondo. 

Il tempo di Avvento mette quindi in evidenza l’aspetto  centrale e dinamico della vita cristiana, della storia: andare  incontro a Colui che si fa vicino a noi. 

Contestualizzazione liturgica 

Ogni itinerario liturgico, riflesso di quello della nostra  esistenza umana, in tutti i tre cicli A / B e C inizia con la fine, con 

gli annunci evangelici del ritorno glorioso del Signore alla fine  dei tempi… ma tranquilli, non è la fine del mondo! È piuttosto l’annuncio di una presenza liberatrice, che al di  là delle sue immaginazioni, è sempre improvvisa e sorprendente, per questo imprevedibile, anche se corrisponde ai bisogni e al  desiderio più autentici dell’umanità e del cuore di ogni uomo. L’annuncio della fine, o meglio del fine, non è destinato a  suscitare ansia o turbamento (come preghiamo nell’embolismo  dopo il Padre nostro…) ma ad essere vigilanti nella preghiera, lieti  nella speranza e operosi nella carità; nell’attesa che si compia la  beata speranza e venga il nostro Signore Gesù Cristo. Una presenza di salvezza per tutti gli esseri umani! 

Le attuali Liturgie di Avvento della Chiesa cattolica latina sono costituite da 4 domeniche e rispettive 4 settimane [nel “rito ambrosiano” sono invece 6, inizia due domeniche prima].  

Celebriamo l’Avvento come avvenimento e presenza del  Signore Gesù, nella Parola e nel Pane eucaristico, con due  riferimenti: 

- fino al 16 dicembre guardiamo alla venuta gloriosa del  Signore [“avvento finale/ escatologico”]; 

- dal 17 dicembre ripercorriamo l’annuncio profetico del  Messia fino alla celebrazione della sua nascita nella natura  umana [“avvento natalizio”]. 

Potremmo affermare che celebriamo l’Avvento preparando  il Natale e viceversa. 

L’Ordinamento generale delle Letture bibliche per la Messa presenta così la rinnovata struttura del tempo liturgico di  Avvento voluta dal Concilio vaticano II:  

Le letture del VANGELO hanno nelle singole domeniche una  loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore  alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (II e III  domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV  domenica). Le letture DELL'ANTICO TESTAMENTO sono profezie sul 

Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di  Isaia. Le letture dell'APOSTOLO contengono esortazioni e annunzi,  in armonia con le caratteristiche di questo tempo”. (OLM 93) Nei giorni feriali si ha una duplice serie di letture: 

fino al 16 dicembre si legge il libro di Isaia, secondo l'ordine  del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ricorrono  anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata  fatta in riferimento alla prima lettura. Dal giovedì della seconda  settimana cominciano le letture del Vangelo su Giovanni Battista;  la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un  altro testo, scelto in riferimento al Vangelo.  

[…] dal 17 al 24 si leggono brani del VANGELO DI MATTEO (cap.  1) e di LUCA (cap. 1) che propongono il racconto degli eventi che  precedettero immediatamente la nascita del Signore. Per la prima  lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari  dell'ANTICO TESTAMENTO, tra cui alcune profezie messianiche di  notevole importanza”. (OLM 94) 

Le 4 Domeniche di Avvento 

La I domenica annuncia e celebra la venuta ultima (seconda/finale/gloriosa) di Cristo Signore e chiede a noi l’atteggiamento di un’attesa vigilante, orante e operosa. 

La II domenica annuncia e celebra il compimento delle  promesse tramite il Battezzatore e chiede di prepararci convertendoci alla venuta tra noi dell’Inviato di Dio. 

La III domenica annuncia e celebra la gioia di una venuta  ormai prossima e chiede il coraggio di darvi la priorità su tutto. La IV domenica annuncia e celebra l’incarnazione umana del Figlio, Parola del Padre, e chiede una disponibile adesione di  fede. 

In quest’anno liturgico “C”, che inizia appunto con l’Avvento,  seguiremo il racconto evangelico di Luca e con i brani delle 4  domeniche che partono sempre dalla fine: dal capitolo 21 all’1.

I vangeli delle 4 Domeniche di Avvento/C 2021 

Luca 21,25-28.34-36: I domenica 

L’invito di Gesù ai discepoli, in prossimità della Pasqua, è a  guadare oltre ciò che si manifesta catastroficamente nella natura  e nella storia: il compimento glorioso di ciò che Dio in Lui ha  operato in mezzo a loro. Mentre tutti vedono una tragedia e sono  paralizzati dalla paura, essi si preparano ad una liberazione ormai  prossima. Sono necessari per i credenti attenzione, sobrietà,  vigilanza e preghiera… per andare incontro a Colui che viene. 

Luca 3,1-6: II domenica 

Dalla “fine” si ritorna a “l’inizio”, ricollocandoci nuovamente  nella storia dell’umanità, però in quella piccola porzione medio  orientale della Palestina, nel deserto. Una sempre nuova venuta  della Parola su Giovanni che riporta in vita quella profetica di  Isaia: un nuovo annuncio di perdono e un nuovo invito al  cambiamento di rotta. La Parola su di lui si fa voce che grida un  appello: preparare la via del Signore, raddrizzare i suoi sentieri,  abbattere ogni ostacolo e barriera, colmare ogni lacuna affinché  ogni essere umano possa incontrarlo, vederlo! 

Luca 3,10-18: III domenica 

Gli ostacoli più evidenti all’incontro sono le disuguaglianze,  la prepotenza a cui rimediare con la condivisione e la giustizia. C’è un’attesa nel cuore di ogni essere umano e nella storia  dell’umanità che va intercettata per poter evangelizzare un  annuncio di gioia, una nuova immersione nell’amore di Dio che fa  nuove tutte le cose. 

Luca 1,39-45: IV domenica 

Una giovane ragazza di Nazareth, in cui la Parola si è fatta  carne umana, è paradossalmente capace di superare ogni  ostacolo, di accorciare ogni distanza e basta il suo saluto a  riportare vita e gioia nel deserto di ogni sterilità umana.

Una lettura unitaria 

I brani scelti dal racconto evangelico di Luca per le quattro  domeniche di Avvento costituiscono un percorso di fede per la  comunità in ascolto e per ogni singolo credente. 

Ci accompagnano nel vivere profondamente lo scopo  mistagogico di questo tempo liturgico: vivere l’oggi, nella sua  incompiutezza e nella sua fecondità, alla luce del compimento  ultimo della storia già garantito dalla venuta nella nostra natura  umana del Figlio. 

Così può maturare una spiritualità che si pone come lievito  nel quotidiano e luce nella ferialità da cui però prende la  luminosità festosa del “già” pur nel “non ancora”. 

Anzitutto il messaggio evangelico non vuole infondere o  incrementare il panico che già può assalirci per vari e fondati  motivi contingenti. Al contrario vuole incoraggiarci a non farci  soccombere nella paura, ma ad alzarci in piedi, ad alzare la testa  e ad andare insieme incontro al Signore che ci viene incontro, che  è vicino, nostro liberatore: Egli è con noi e in mezzo a noi! 

Ci chiede “un cambiamento” una “nuova convergenza”:  fidarci di Lui che ci “immerge” in una nuova esperienza di vita. Un “Dio-che-si-fa-vicino” ci viene annunciato dalla Parola, tutto proteso verso l’umanità e noi nella liturgia lo celebriamo proprio così, in Cristo morto e risorto, il Vivente che continua a  operare “grandi cose” in noi e in mezzo a noi. 

Egli è anticipo e garanzia di una gioia sempre più piena che ci  colma fino a fare della nostra vita un continuo ringraziamento, un “Magnificat” da condividere con fratelli e sorelle, anch’essi  portatori di questa esperienza e che con la loro presenza ci  permettono di cogliere con gratitudine la Vita che è in noi e in  mezzo a noi.

mercoledì 24 novembre 2021

Il “regno di Dio” e la “regalità” del Nazareno nel vangelo di Giovanni

Il “regno di Dio” e la “regalità” del Nazareno  nel vangelo di Giovanni 






Nel proclamare e commentare l’evangelo nella solennità di  “Cristo Re e Signore dell’universo”, tratto da Giovanni 18,33-38, mi  sono venute in mente alcune osservazioni, che condivido dopo  averle confrontate con il commento della Comunità di Bose1

Anzitutto mentre nei tre vangeli sinottici fin dall’inizio Gesù  stesso annuncia la prossimità del “regno di Dio” (Marco 3,15) e poi  è richiamato in continuazione anche con le parabole (cf Matteo 4,23; capitolo 13), in quello di Giovanni l’espressione compare solo  in 3,3.5 come sinonimo di “esperienza della presenza di Dio” e  “mio regno” qui in 18,36. 

Soprattutto nel racconto della passione e morte (cf Gv 18,1- 19,42) il titolo di “re” attribuito a Gesù ricorre spesso2. Questo racconto non è soltanto la conclusione drammatica  della vicenda terrena del Messia nazareno, ma, secondo la  cristologia di Giovanni, la sua massima “manifestazione” 3: in Lui si  può “vedere” il vero volto di Dio, “conoscerlo”, farne esperienza  entrando in comunione vitale [regno, secondo 3,5]. La folla aveva tentato una volta di proporre Gesù come “re”,  dopo essere stata sfamata da Lui; ma egli si sottrae a questa  opzione opportunista (cf 6,15). In questo modo non fugge tanto  una pericolosa situazione in cui si sarebbe venuto a trovare con  una specie di “golpe” contro Erode e i Romani, ma rivela il suo  rifiuto di una logica manipolatrice dell’amore di Dio di cui il  prodigio dei pani è stato il segno

1La celebrazione di questa festa è stata ricompresa dalla riforma liturgica del Vaticano II,  grazie alla scelta delle letture evangeliche che presentano Gesù Re nella sua passione: il passo  odierno per l’anno B; Luca 23,35-43 per il C e come Giudice che viene nella misericordia con Matteo 25,31-46 nell’annata A. 

2 Questo titolo di Re di Israele, di Re dei giudei, nel vangelo secondo Giovanni è decisivo  riguardo all’identità di Gesù. Fin dall’inizio del vangelo risuona sulle labbra di Natanaele, nell’ora  della sua vocazione e del suo primo incontro con Gesù (cf. Gv 1,49): confessione di fede che  riconosce il Messia, discendente di David, Re-Figlio di Dio, colui che adempie la promessa di Dio per  il suo popolo e porta la liberazione, la giustizia e la pace. Proprio nell’attesa del compimento di  questa promessa, la speranza messianica era viva al tempo di Gesù ma si era caricata di attesa  politica, di desiderio di sovranità mondana! Per questo, quando le folle avevano visto il segno della  moltiplicazione dei pani, volevano prendere Gesù per farlo re (cf. Gv 6,14), ma non vi riuscirono  perché egli fuggì da loro ritirandosi nella solitudine della montagna (cf. Gv 6,15). Ma anche quando  Gesù entra in Gerusalemme per la sua ultima Pasqua, la folla gli va incontro con rami di palma,  acclamandolo “Re d’Israele veniente, benedetto nel nome del Signore (Gv 12,13). Eppure anche  quell’evento non viene capito nel suo significato, nemmeno dai suoi discepoli (cf. Gv 12,16). 

3Il racconto si compone di undici scene, ognuna situata in uno dei diversi luoghi in cui Gesù  è stato trascinato dai suoi persecutori. Al centro sta la scena (la sesta) dell’incoronazione di spine,  che nella passione giovannea è il vertice della rivelazione dell’identità di Gesù (cf. Gv 19,1-3). Gesù  è stato flagellato come uno schiavo e i soldati si accaniscono contro di lui. Per smentire la sua pretesa  regale, gli mettono sul capo una corona di spine, che lo trafiggono e lo sfigurano, e lo rivestono di un manto di porpora come quello dei re della terra. Questa intronizzazione prevede l’omaggio dei  sudditi e i soldati dunque si prostrano a lui e gli fanno doni mentre, dandogli schiaffi, così lo salutano:  “Salve, Re dei giudei!” (Gv 19,3). È una scena oggettivamente di derisione, una parodia, ma nel  vangelo secondo Giovanni è vera epifania, perché in essa è rivelata la vera regalità di Gesù, servo  del Signore e vittima innocente del male del mondo.



Ora, nella massima manifestazione dell’amore di Dio, ritorna  il tentativo di attribuirgli la regalità, ma in un modo drammatico e  paradossale. 

Mi sembra di cogliere che la prospettiva della “regalità” sia il  filo conduttore di tutta la narrazione della passione e che merga  negli episodi e nei dialoghi soprattutto tra le autorità politiche e  religiose. 

Il dramma regale inizia quando i capi dei giudei hanno ormai  consegnato Gesù al procuratore romano, perché lo condanni a  morte come malfattore, dato che a loro questo non è concesso (cf  18,31). Pilato fa chiamare Gesù e lo interroga, in modo improvviso  e inatteso su ciò che più gli interessa, come si vedrà in seguito: “Sei  tu il Re dei giudei?” (v. 33); sarebbe a dire: “Tu vanti un potere  politico su questa terra e su questa gente?”. Questo, infatti, può  essere un capo d’accusa determinante per la condanna a morte, la  lesa maestà, un attentato al potere imperiale romano, un’insidia  per Cesare.  

Come spesso nel racconto giovanneo, Gesù non risponde  direttamente, ma ponendo egli stesso domanda per smascherare  se il potere che rappresenta sia di facciata o reale (cf v. 34). 

Pilato è manipolato dai capi dei giudei o la sua domanda nasce  da una sincera mozione interiore di conoscere la “verità” su Gesù? Spesso il potere utilizza il “sentito dire” per accusare e  condannare; anche nella religione non sempre si arriva ad una vera  esperienza personale di fede. 

Da qui l’ipocrisia di Pilato e la sua pusillanimità si manifesterà  sempre di più: “forte con il debole, e debole con i forti”. Si nasconde dietro alla sua estraneità all’etnia ebraica per  nascondere il suo condizionamento ai capi dei giudei. Ancora una volta i poteri “si coprono” a vicenda nelle loro  trame e malefatte contro gli innocenti! 

Alla nuova domanda: “Che cosa hai fatto per poter essere da  loro incolpato, quale delitto contro la Legge mosaica hai  commesso?”. Ed ecco che Gesù fa la rivelazione: “Il regno, quello  mio, non è mondano” (v. 36) 

Può essere superfluo descrivere quali siano da allora a oggi i  “poteri mondani”, e le diverse forme di oppressione che  esercitano; Gesù annuncia un “regno” diverso che si rivelerà  proprio nel corso della sua sofferenza fino alla croce, manifestando  anche la sua vera messianicità. 

Ma a Pilato interessa che Gesù si “identifichi” dichiarandosi  Re per poterlo così condannare; si ritiene “protagonista” e  detentore della sua sorte in base al potere che, ipocritamente, gli  viene riconosciuto in questo caso dalle autorità giudaiche,  viceversa a lui avverse. 

Dunque tu sei re?” (v. 37). 

La replica di Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per essere re sono  nato e sono stato inviato in questo mondo per testimoniare la  Verità” (v. 37b).

Ecco il punto cruciale: la Verità su di sé è quella su Dio stesso;  sull’essere umano e su Pilato stesso, su un potere mondano,  politico e religioso, che “strumentalizza” la Verità privando della  libertà: ogni uomo che è chiamato a essere figlio di Dio, libero, “la  Verità vi farà liberi” (cf 8,28).  

Una Verità che deve essere “realizzata”, da ogni donna (cf v.  3,21) testimone della Verità del Padre, che ha tanto amato  l’umanità da consegnare suo Figlio (cf 3,16) e che Pilato,  rappresentate di un potere che esprime il lato peggiore  dell’umanità non riesce a comprendere come merge dalla  domanda finale, e che rimane sospesa -purtroppo censurata dalla  proclamazione liturgica- : “Che cos’è la Verità?” (v. 38). 

Ora noi possiamo invece chiederci: “Chi è la Verità e chi la  compie davvero!”. 

Nella teologia di Giovanni la Verità è innanzitutto “Vita”, che  il Figlio comunica donando se stesso e amando fino alla morte,  dunque la vita di Dio stesso che Gesù vive in sé e narra umanamente a tutti quelli che lo incontrano, lo vedono, lo  ascoltano (vedi gli studi di I. DE LA POTTERIE e di D. MOLLAT su Verità e Vita nel vangelo di Giovanni). 

Ecco dunque la realtà di cui Gesù parla e che rappresenta: Lui  è l’umanità autentica come Dio l’ha pensata, voluta e creata.  Questa regalità è presentata dall’evangelista nella narrazione  e negli atteggiamenti di Gesù: Egli è il vero “padrone” della sua vita  che nessuno può strappargli ma che solo Lui può donare (cf 10,17- 18); è il protagonista di quanto avviene e non gli altri, mandanti ed  esecutori, che si illudono di gestirlo a loro piacimento,  mostrandolo inerme e indifeso; è l’essere umano “nudo” la cui  dignità e verità sta nell’essere “vivo”, senza paura o vergogna. È come se “dominasse” gli eventi, restando libero di parlare e  di agire solo per amore: regna con la stessa regalità con la quale  regna Dio, senza comandare!

“E se c’è un’ora in cui il “regno di Dio” è venuto, è stato  in mezzo a noi e si è rivelato, è stato narrato, questa è l’ora  della passione e della croce. 

Comprendiamo allora perché l’evangelista subito dopo  annota che Pilato, rivolgendosi alla folla e ai capi dei giudei,  proclama per due volte che Gesù è innocente, che non c’è in  lui alcuna colpa secondo il diritto romano (cf. 18,38; 19,4.6);  poi, dopo averlo fatto flagellare (cf. 19,1), lo presenta a tutti  con le parole: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5)”.  

Pilato però durante quell’interrogatorio ha paura, e  quando sente che, secondo l’accusa, Gesù si è fatto Figlio di  Dio, “ha ancor più paura” (cf. 19,7-8).  

I poteri di questo mondo possono non avere paura l’uno  dell’altro, e per questo si fanno guerra; ma di fronte a Gesù  “hanno paura”, perché Gesù indifeso, inerme, mite, povero,  innocente, regna veramente ed è lui il Re e il Giudice di tutto  l’universo”. 

È il terrore delle autorità giudaiche che sobillano la folla e che  rifiutando la signoria/regalità del Nazareno come Figlio del Padre,  Dio (cf 5,28), si prostituiscono (cf 8,41-42) all’imperatore romano che tanto odiano, fino alla bestemmia: “Non abbiamo altro re  all’infuori di Cesare” (19,15). 

Finché, quando Gesù sarà in croce, il cartello voluto da Pilato  nelle tre lingue dell’ekumène – ebraico, greco e latino – proclamerà paradossalmente la verità: “Gesù Nazoreo è il re dei  giudei” (cf 19,19). “Ognuno, nella sua lingua confessa: Gesù è  Kýrios [Cesare]” (Filippesi 2,11).

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