venerdì 27 ottobre 2023

Vicina è la PAROLA 29 Ottobre 2023 XXX Domenica dell’anno/A Amerai

Vicina è la PAROLA 






XXX DOMENICA DELLANNO/

Esodo 22,20-26 / Salmo 17 

1Tessalonicesi 1,5-10    Matteo 22,34-40 

Amerai 

Cosa meglio dell’amore può unificare i nostri pensieri, le nostre azioni tutelandoci dal  pericolo della frammentazione e della dispersione? 

Non si tratta di un sentimento tra gli altri o di un’azione collaterale a tutto il resto che  possiamo fare: è l’essenza che dà ad ogni nostra intenzione ed attività il suo giusto valore e la sua  corretta finalità.  

Chi ama “unifica” l’esistenza e dà ad ogni singolo gesto, parola, pensiero la possibilità di  esprimersi in pienezza e di suscitare un’adeguata risposta a volte insperata e non voluta, oppure  una reazione “uguale ma non contraria” che inneschi una spirale virtuosa, che rompa la catena  dell’odio e della vendetta, che vinca la barriera dell’indifferenza e del pregiudizio. 

Almeno questo è ciò in cui crediamo e speriamo nonostante tutto, che ci fa continuare ad  amare! 

Contestualizzazione evangelica di Matteo 22,15-21 

Probabilmente l’ultima settimana di predicazione Gesù nazareno la trascorre nel Tempio, il  luogo più sacro di Israele dove maggiormente si manifesta il potere a lui avverso delle varie autorità  politiche religiose: farisei, erodiani, sadducei, esperti della Torah, che gli pongono questioni  “teologiche” con l’intento di coglierlo in errore (cf 22,15), così da avere un buon motivo per  arrestarlo e poi farlo condannare (cf 21,45; 26,3-5). 

Dopo esserci pronunciato sul “tributo a Cesare” (cf vv. 16-22), sulla “risurrezione dei morti” (vv. 23-33), ora viene interpellato sul precetto “[più] grande” della Torah (vv. 34-40, cf Mc 12,28- 34; Lc 10,25-28); porrà Egli stesso fine alle controversie interrogandoli sulla “figliolanza del Messia”  (vv. 41-46). 

Il contesto polemico è come se imprimesse più forza alle parole di Gesù, che già si era  espresso sulla “novità/superiorità” del suo insegnamento nei confronti di quello tramandato dagli  altri maestri (cf 5,17; 7,28). 

Inoltre “il [più] grande” indica non tanto una graduatoria di priorità, ma la ricerca di un  nucleo essenziale, di un principio unificatore a cui ricondurre tutto il ginepraio normativo dei mitzvòt  [613 precetti]. 

Anche così potevano affermarsi, nella loro novità teologica e di prassi, le prime comunità  cristiane di matrice giudaica e dare prova di credibilità e di attendibilità con la loro testimonianza.

La risposta di Gesù da una parte è ineccepibile, dall’altra estremamente innovativa: in un solo “precetto” si innesca una circolarità d’amore che parte da un’esigenza totalizzante dove nel  “tutto” vengono messi in relazione: se stesso-il Signore-l’altro

Così da interrogato, il predicatore inquisito diventa maestro che interpella, con un esito  stupefacente (cf vv. 41-46). 

Ambientazione liturgica 

La Celebrazione eucaristica fa emergere in tutta la sua pienezza l’esperienza dell’amore  gratuitamente ricevuto e liberamente ricambiato. Siamo inondati dall’Amore che ci abilita a  superare ogni nostra gravità e ad aprirci ad un’esperienza sempre nuova, inedita di amare “con tutto  noi stessi… come noi stessi”. 

Non c’è legge che tenga, tutto nasce dalla risposta di Gesù al Padre consegnandosi a noi “nel  dare il comandamento più grande implicitamente dà se stesso, spiega così il senso della esistenza in  mezzo a noi esseri umani, portando a pienezza in senso della nostra esistenza” [1Tessalonicesi 1 – II lettura]. 

Così porta compimento anche la storia dell’umanità in Israele [Esodo 22 – I lettura], la nostra  personale segnata da limiti e contraddizioni, aprendoci ad un “di più” che spesso ci sembra  irraggiungibile, proiettato nel futuro: “Amerai…”, sarai capace finalmente di amare come tu sei  amato [Evangelo]. 

È proprio dal “sacramento dell’amore” che come assemblea eucaristica prendiamo forza da  Colui che è fedele nell’amore [Salmo 17]. 

Il cambiamento del nostro modo di pensare e di agire scaturisce dall’esperienza di un amore  che ci nutre ed alimenta la nostra povera capacità di amare. 

Preghiamo con la Liturgica 

O Padre, che per amore 

continuamente crei e rinnovi il mondo, 

donaci la gioia di un cuore libero e pacificato, 

capace di amare te sopra ogni cosa 

e il prossimo come noi stessi. 

per il tuo Spirito e in Gesù Cristo,  

tuo Figlio e nostro Signore. 

Amen.


sabato 21 ottobre 2023

Vicina è la PAROLA 22 Ottobre 2023 XXIX Domenica dell’anno/A Riconoscersi

Vicina è la PAROLA

22 Ottobre 2023
XXIX Domenica dell’anno/A
Isaia 45,1.4-6 / Salmo 95
1Tessalonicesi 1,1-5
      Matteo 22,15-21
Riconoscersi
Vorremmo tutti essere riconosciuti per chi siamo veramente e non per il ruolo che svolgiamo anche se stimato. Eppure cadiamo facilmente nel tranello che l’immagine conti più della persona e ci sottraiamo abilmente alla fatica di entrare in relazione, di esplorare e di lasciarci interpellare.
Il dovuto sta nel saluto, nella formalità di una risposta, ineccepibile ma comunque per creare una distanza forse perché abbiamo timore di dare troppa confidenza e di perdere la nostra privacy.
Oltre il dovuto, oltre l’immagine comporta un rischio che poi l’Altro si prenda tutto eppure, già per il fatto di “essere tutto in tutti”, Egli non può fare altro che dare e non prendere: non ci impone nessun tributo, ci colma della sua pienezza nella quale sta anche la nostra.
Contestualizzazione evangelica di Matteo 22,15-21
La tensione con i capi del popolo si concentra su alcuni argomenti posti da diverse “categorie”, con i farisei la polemica riguarda il tributo a Cesare, non solo come contenzioso politico e religioso (cf v. 16), ma una discriminante messianica: l’Inviato di Dio infatti avrebbe liberato Israele di ogni tipo di sottomissione. Gesù elude la questione? Piuttosto va alla radice delle vere intenzioni di chi lo sta provocando: la malvagità e l’ipocrisia (v. 18); questo suscita meraviglia e un arretramento momentaneo (v. 22).
La legittimità della tassa imperiale è un pretesto per screditare l’operato del Nazareno e tirarlo in trappola con le sue parole (v. 15, cf 27,1): si paghino le tasse e soprattutto non si cerchino scuse per sottrarsi ad un rapporto con Dio sincero e profondo (cf v. 21; 6,24).
Questo è l’obbiettivo della risposta di Gesù: riportare i credenti ad un nuovo rapporto con Dio [giustizia cf 5,20] e ad una religiosità interiore (cf 6,1.4) ed operativa (cf 7,21). 
L’effige dell’imperatore Tiberio Cesare può anche essere coniata su una moneta (cf vv. 19-20) ma quella di Dio è sul volto di ogni essere umano (cf 25,37.40; Genesi 1,26a-27): nessun uomo e nessuna donna dovrà più essere dominato dalle leggi del denaro e del profitto, violato nella sua dignità di persona.
Ambientazione liturgica
La Parola ci viene rivolta come Chiesa, portatrice di amore gratuito e di pace verso tutti e noi nella celebrazione liturgica siamo chiamati a ringraziare per l’impegno di chiunque nell’amore, anche degli anonimi che incontriamo ogni giorno e che non sono qui con noi ma altrettanto amati: questo ci riempie di speranza [1Tessalonicesi 1 – II lettura].
È davvero imprevedibile l’azione storica di Dio: invochiamo la sua presenza, il suo intervento in situazioni drammatiche della nostra esistenza personale, sociale ed in modo inaspettato “la svolta” arriva da chi non l’avremmo mai detto, come è stato per Israele nel secondo esilio a Babilonia: rompendo ogni nazionalismo, un re straniero e pagano tutelerà la sua elezione. [Isaia 45 - I lettura]. Così il Signore è il Dio di tutti e tutti sono ammessi ad un culto non più esclusivo ma partecipato e condiviso [Salmo 95].
Siamo così sottratti alla logica del dovere e del dovuto per entrare nella comunione della signoria di Dio in cui ognuno è riconosciuto nella sua vera identità, quella di figlio e non di suddito vessato e “tassato” [Evangelo].
Preghiamo con la Liturgica
Padre, tu agisci sempre 
in un misterioso intreccio con la libera volontà umana;
che nessuna autorità abusi del suo potere
ma serva per il bene di tutti
riconoscendo la tua unica Signoria
nel tuo Spirito e nella parola del tuo Figlio
Gesù Cristo, nostro Signore.
Amen.


domenica 15 ottobre 2023

Vicina è la PAROLA 15 Ottobre 2023 XXVII Domenica dell’anno/A Invito a vivere

Vicina è la PAROLA

15 Ottobre 2023
XXVII Domenica dell’anno/A
Isaia 25,6-10a / Salmo 23
Filippesi 4,12-14.19-20
      Matteo 22,1-14
Invito a vivere
Siamo abituati a contrapporre diritti e doveri: come irrinunciabili per vivere ed a cui sottostare, anche a malincuore. Di mezzo ci sono le rivendicazioni individuali e sociali, da difendere strenuamente… senza accorgerci che l’essenziale ci è già donato e non serve pretenderlo o rivendicarlo.
Mi chiedo se la libertà sia un diritto o un dovere; così la pace… o il lavoro e la salute, o l’istruzione. Forse mi sono inoltrato in un discorso fuori della mia portata, poi già esplorato in “Dei diritti e dei doveri”, ma sempre attuale e mai da trascurare.
L’esistenza stessa può essere vissuta come un diritto o un dovere, oppure alla maniera consumistica approfittandone, mentre preferisco vederla con un invito, un’opportunità sempre nuova che mi viene offerta, magari proprio quando tutto quello che mi sembrava fosse in mio potere si è esaurito… o quando un ostacolo mi obbliga a fermarmi. 
Mi sorprende che questo invito non abbia nulla di formale o di ufficiale e che si rinnovi sempre, in modalità ogni volta inedite e che giunga a destinazione anche quando non sono ben disposto; eppure mi raggiunge a dispetto di tutto ed aspetta da me una risposta.
Forse è meglio non farlo attendere…
Contestualizzazione evangelica di Matteo 22,1-14
La terza parabola, che segue a quella dei vignaioli perfidi 21,33-43 preceduta dai due figli (21,28-32), accentua maggiormente la gravità del rifiuto di Gesù da parte dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo in un contesto differente: un banchetto nuziale, che biblicamente evoca il rapporto di Alleanza tra il Signore ed Israele suo popolo (cf Isaia 22,12; 25,6-10; 54,1-3) e la presenza messianica di Gesù (cf 9,15; 12,25ss. Giovanni 2,1-12).
Le tre parabole costituiscono un unico percorso narrativo di polemica e in quest’ultima, solo dopo l’uccisione degli emissari e la giustificabile vendetta, il re giunge al desiderio di chiamare e far partecipare tutti, senza discriminazioni, alla festa nuziale del figlio che nella precedente parabola era stato già ucciso. Che questa festa alluda alla celebrazione festosa della sua risurrezione nella comunità messianica, in cui tuttavia continuavano a verificarsi le dinamiche descritte precedentemente? Può valere anche l’ipotesi che la prima parabola riguardi più Israele, la seconda Gesù, la terza si riferisca più alla Chiesa con l’interrogativo di fondo: quale ruolo ha ancora Israele nella storia della salvezza?
L’evangelista ci riferisce così l’esperienza delle prime comunità in rapporto con il regno di Dio annunciato fin dall’inizio dal Nazareno (cf 4,17.23; 5,3.10) ed a cui tutti si è chiamati gratuitamente: rifiutare l’invito apre però la possibilità che tutti siano invitati, senza alcuna discriminazione, tranne la propria autoesclusione (vv. 11-13). 
La mancanza dell’abito nuziale evidenzia infatti l’aver accettato l’invito però con altre motivazioni, non di partecipare ad una comunione personale e gratuita, e quindi alla fine si è smascherati. Può essere stata una situazione frequente tra i primi credenti: molti si avvicinavano alla comunità per curiosità, attratti dalla novità o per opportunità; prima o poi veniva un momento in cui chiedersi o sentirsi dire: “Amico, come mai sei entrato qui?”.
Non c’è dunque un “lieto fine” nel racconto, anzi la dimensione conflittuale perdura anche oggi e costituisce il percorso del regno di Dio nella storia.
Ambientazione liturgica
Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello” così siamo ammessi alla comunione eucaristica. È una dimensione spesso ignoriamo: la liturgia festiva è una “festa nuziale” in cui Cristo Sposo nutre di se stesso la sua Sposa, cioè noi chiesa (cf Efesini 5,29).
Basterebbe questo per darci una consapevolezza sempre nuova nel partecipare con un atteggiamento molto diverso da quello “devozione e intimistico” o “individualistico” che ci contraddistingue.
Così preghiamo dopo la prima lettura: il Signore prepara per noi un banchetto [Salmo 23].
È poi davvero triste che non pochi si siedano alla mensa senza poter o voler toccare cibo!
Il convito messianico è infatti per tutti e se c’è ancora un “resto” ha una funzione missionaria di estendere l’invito [Isaia 25 – I lettura].
Gesù non ha solo usato l’immagine del banchetto messianico, ma in una cena (come era solito fare) ha consegnato se stesso ai suoi discepoli e lo fa adesso con noi. Per noi questo è memoria di quello che fece Lui con i suoi discepoli e nello stesso tempo profezia di un futuro di Dio con tutta l’umanità, di cui la festa nuziale può esserne la similitudine più vicina: la gioia.
L’eucaristia che celebriamo ancora una volta ci giudica in base al nostro modo di parteciparvi: possedere ed escludere o ringraziare e condividere.
Solo noi possiamo autoescluderci dalla festa e dalla sua gioia escludendo qualcuno!
Preghiamo con la Liturgica
Padre, che inviti tutti gli esseri umani,
senza distinzioni alle nozze del tuo Figlio,
rivestici dell’abito nuziale
e donaci di accogliere tutti
al sorprendente banchetto del tuo amore.
Amen.



venerdì 6 ottobre 2023

Vicina è la PAROLA 8 Ottobre 2023 XXVII Domenica dell’anno/A Prendersi cura

Vicina è la PAROLA

8 Ottobre 2023
XXVII Domenica dell’anno/A
Isaia 5,1-7 / Salmo 80
Filippesi 4,6-9
      Matteo 21,33-43
Prendersi cura
Non si tratta di un presidio sanitario, ma di un atteggiamento semplicemente umano: la disponibilità disinteressata verso gli altri. 
Siamo più facilmente portati a slanci di generosità, a coinvolgerci emotivamente in una situazione difficile. La cura richiede dedizione e tempo; posporre noi stessi e la pazienza di non vedere subito i risultati. 
Lo sanno i genitori o chi vuol esserlo nei confronti dei propri figli, pur non esenti da fallimenti ed insuccessi. La fiducia, infatti, è da porre non in se stessi ma nelle capacità altrui, la cura le attiva come i raggi del sole verso le pianticelle che hanno bisogno di crescere.
Ogni responsabilità dovrebbe sapere che prendersi cura di qualcuno fa bene anzitutto a se stessi; anche se impegnativa “allunga la vita”.
Contestualizzazione evangelica di Matteo 21,33-43
La seconda parabola, collocata tra quella dei due figli (21,28-32) e del festino nuziale (22,1-14), punta ancora di più l’attenzione sul rifiuto dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, Gesù ne smaschera gli atteggiamenti che li porteranno all’esclusione dal regno: non meritano più la fiducia originaria di Dio per il fatto che essi mettono a morte il Figlio, suo inviato (Ebrei 13,12).
L’immagine ricorrente è la vigna che qui attualizza Isaia 5 ed il Salmo 80 e che Matteo utilizza per indicare il popolo d’Israele affidato alle cure delle autorità religiose e politiche. Le abbiamo potute già individuare nei primi di 20,10; nel primo di 21,28; nei perfidi ingrati di questa parabola (cf v. 45 incomprensibilmente escluso dalla proclamazione liturgica!). 
Ci sorprende che la vigna indichi sia il popolo sia il regno di Dio e che determinante non è tanto il compimento del loro dovere ma l’uccisione del figlio, autoescludendosi così dal rapporto con il Padre che proprio a loro l’aveva affidata con fiducia e dal suo amore che aveva riversato in essa. Nella parabola evangelica non è la vigna a non dare uva, ma chi la doveva accudire che ne tiene per sé i frutti!
L’epilogo della parabola è di sapore escatologico ed ha come riferimento la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani (70 d. C). Entra quindi l’immagine della pietra di scarto scelta per essere d’angolo nella nuova costruzione (Salmo 118). Si allude forse al Cristo ed alla chiesa (1Pietro 2,4-8), a Pietro ed alla comunità messianica, come ad ogni altra forma di autorità in essa che ha complito di salvaguardarne la fecondità (cf v. 43).


Ambientazione liturgica

Nella Liturgia noi scopriamo di essere vigna amata e che il Signore non sa più cosa escogitare per dimostrarcelo [Isaia 5 – I lettura / Salmo 80], nonostante tutti i maltrattamenti a cui siamo sottoposti ed a cui sottomettiamo gli altri non corrispondendo a questo amore e rifiutando il Figlio.

Accogliere il Figlio e gli altri come fratelli e sorelle, condividendo i beni è il primo passo. Infatti Gesù ci viene incontro come l’Inviato, non per farci rendere di conto, ma per farci diventare consapevoli della stessa chiamata rivolta a noi, un’unica vigna: Lui la vite e noi i tralci.

A noi è stata affidata la creazione: il modo migliore per custodirla e di difenderla è di promuoverne il rispetto, la pace, la giustizia [Filippesi 4 – II lettura]. 

Paradossalmente è l’uccisione del Figlio, il suo sangue sparso su questa terra a consentirci di morire e risorgere con Lui, tutt’uno con noi. In questo modo non siamo abbandonati al nostro tragico destino vinti da ogni potere di oppressione, perché Lui è vivo e anche noi vivremo, e così questa vigna continua a portare molto frutto [Giovanni 15].

È proprio la comunione eucaristica a fecondarci ed a renderci costantemente vitali di quell’amore che ci viene incessantemente donato, capaci di accoglierlo e di ricambiarlo senza porre nuovi recinti, abbracciando il mondo intero.


Preghiamo con la Liturgica

Padre, Padre giusto e misericordioso,
che non abbandoni mai la tua Chiesa,
vigna che hai scelto e piantato,
custodisci e proteggi ogni suo tralcio,
affinché́, innestato in Cristo, vite vera,
porti frutti buoni nel tempo e nell’eternità.

Amen.



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