lunedì 10 agosto 2020

“LE PAROLE DELLA DOMENICA” 9 Agosto 2020 (Domenica XIX TO/A) Matteo 14,22-33 [34-36] Siamo tutti sulla stessa barca (n.2)

 LE PAROLE DELLA DOMENICA” 9 Agosto 2020 (Domenica XIX TO/A) Matteo 14,22-33 [34-36] 

Siamo tutti sulla stessa barca 

La Parola che oggi ci viene donata ci parla nella storia di Elia “il profeta di fuoco”, di Paolo “l’apostolo delle nazioni”, di Simone “Pietro, la roccia”. 

Sono vicende lontane tra loro, ma che fanno parte di un’unica storia di salvezza, per questo ci riguardano, parlano a noi e di noi, della nostra storia. 

Elia, il profeta la cui predicazione faceva tremare “i nemici del Signore”, che aveva fatto scendere il fuoco da Dio, che aveva sterminato i profeti e i sacerdoti degli idoli pagani... adesso è in fuga, con alle calcagna i sicari del re. Attraverso il deserto del fallimento e dello scoraggiamento cerca di fuggire dalla morte che nei momenti più bui invoca; è diretto al “monte di Dio” per incontrarlo e rifugiarsi da Lui, farsi proteggere dalla sua forza. Ma l’incontro con Lui lo sorprende perché non avviene in nessuno dei fenomeni atmosferici che indicavano l’onnipotenza di Dio: Elia lo sente in una “brezza leggera”, lo Spirito. 

Non è facile per noi cercare i “segni deboli” della presenza del Signore e affidarci alla forza del suo Spirito che ci accarezza con la sua tenerezza e ci consola. 

Paolo sembra arrendersi di fronte all’impermeabilità del mondo giudaico al vangelo. Non ha più risorse in sé per convincere i suoi correligionari, eppure essi hanno a disposizione tutti i prerequisiti per accogliere Gesù come Inviato di Dio e aderire alla fede in Lui. Non gli rimane che il dolore e la sofferenza che porta in cuore. 

L’amore ci porta spesso ad usare l’unica arma che ci rimane: il dolore e la sofferenza. L’efficacia della nostra intercessione non risiede nemmeno nelle nostre pratiche religiose. 

Simone, a cui Gesù chiamandolo alla sua sequela, gli ha dato il nome di “Pietro, roccia”, va a fondo come un sasso tra i flutti agitati dal vento contrario. Le parole di Gesù gli hanno dato il coraggio e la presunzione di potergli andare incontro camminando sulle acque. Ancora una volta è lo spavaldo che presume delle proprie capacità. Ma cosa ci avrà visto il Maestro in un tipo così! Eppure a lui affida il futuro della sua comunità, anche se lo rinnegherà e farà finta nemmeno di conoscerlo durante il suo processo. I suoi compagni sono terrorizzati e non si capisce se più per l’infuriare della tempesta in mare o per l’essere lì con loro di Gesù. Non bastano le parole di Gesù, ora devono farsi “gesto”, una mano che afferra, una presa sicura. Non gli lancia un “salvagente”, gli si avvicina come suo “salvatore”! E ancora non si capisce se a questo punto i suoi compagni sono convinti della divinità di Gesù più per il suo potere sul vento tempestoso o per la sua prossimità al loro “capo”. La “barchetta” della comunità approda a riva in tutta sicurezza e la gente, dopo questa avventurosa esperienza, “riconosce Gesù” e anche loro vogliono essere “toccati da Lui”. 

Possiamo affidare la nostra esistenza a questa Salvatore? Nei momenti in cui affondiamo, sommersi dalle difficoltà e dalle contrarietà ci basta la sua parola incoraggiante e fiduciosa? 

Cerchiamo di afferrare la sua mano? E’ quella di un uomo debole come noi, non onnipotente. Eppure l’umanità della sua parola e dei suoi gesti non ci basta, vorremmo qualcosa di più “stabile” a cui appigliarci e per cui stare a galla. 

La sua responsabilità nei nostri confronti, attraverso il suo consapevole soffrire per noi, sulla croce con noi, ci solleva e non ci fa soccombere. 

Roberto 

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