sabato 30 settembre 2023

Vicina è la PAROLA 1 Ottobre 2023 XXVI Domenica dell’anno/A Tra il dire e il fare…

Vicina è la PAROLA






1 Ottobre 2023
XXVI Domenica dell’anno/A
Ezechiele 18,25-28 / Salmo 25
Filippesi 2,1-5/11
      Matteo 21,28-32
Tra il dire e il fare…
Non è solo questione di coerenza, siamo tutti esposti al rischio di essere animati da ottimi propositi e poi condizionati nel raggiungerli da ostacoli esterni o interiori. Ma quando cerchiamo alibi, o accampiamo scuse per giustificarci allora la nostra responsabilità ci fa perdere il senso di quella solidarietà che dovrebbe permettere anche agli altri di dare coerentemente la loro risposta.
Certo vorremmo, ma poi…
Ci viene comunque offerta la possibilità di ripartire dal basso, non di chinare il capo cosparso di cenere in uno sterile mea culpa, ma di ricominciare insieme con altri, afferrando la loro mano e facendoci aiutare a risalire riprendendo con loro un cammino di gratitudine e di rinnovamento interiore.
Contestualizzazione evangelica di Matteo 21,28-32
Gli ultimi saranno primi, e gli ultimi primi” apre e conclude la parabola dei “lavoratori a giornata” (cf 19,30 e 20,16).
Il Maestro, “primo” tra i discepoli, salendo a Gerusalemme, anticipa per la terza volta il suo destino messianico di sofferenza e di morte (cf 20,17-19) e loro, che ancora ambiscono ad essere umanamente “i primi”, sono da Lui invitati a “farsi servi” come Egli ha fatto e farà (cf vv. 20-28). I discepoli si mostrano così “ciechi” difronte a ciò che la misericordia di Dio sta operando anzitutto in loro: saranno capaci di seguirlo perché Gesù, il Dio-che-salva, ha di loro compassione (cf vv. 29-34).
L’avvicinarsi a Gerusalemme cambia lo scenario con un ingresso messianico trionfale nella Città santa (21,1-11), ma l’accoglienza interiore richiede “un rovesciamento” radicale della pratica cultuale: ora il Tempio non è più in grado di garantire il suo ruolo di santuario della Presenza (cf vv. 12-17) anche a causa della ormai evidente “sterilità” della stessa Torah (cf vv. 18-22) e della totale incapacità delle autorità religiose si cogliere la novità che è in atto (cf vv. 23-27): loro sono i figli che “dicono ma non fanno” diventando così “ultimi” dietro a nuovi “primi” che paradossalmente erano gli “esclusi”: prostitute e peccatori, ma che hanno creduto almeno al Battista (cf vv. 28-32; 9,11).
Fare… mettere in pratica” sono per l’evangelo di Matteo l’atteggiamento fondamentale del discepolo nei confronti della Parola, senza alibi (cf 7,21-27; 12,49-50). Le domande che si interpongono nella parabola (cf vv. 28 e 31) interpellano direttamente i suoi uditori ad esporsi, a prendere posizione.
Le tre parabole (cf vv. 28-32; 33-46; 22,1-14) evidenziano il rifiuto opposto dai capi religiosi all’offerta gratuita ed inclusiva della salvezza.
Ambientazione liturgica
“L’ambiguità di fondo tra un apparente e un concreto no è il tarlo terribile che vela il volto della comunità dei credenti”, soprattutto nell’assemblea liturgica nella quale diamo il nostro assenso alla Parola proclamata con le parole ma poi ci attende la verità dei fatti.
Siamo accolti e avvolti dalla misericordia e nello stesso tempo responsabilizzati nel “renderne conto” in prima persona [Ezechiele 18 – I lettura], consapevoli di “un amore che è da sempre”, eppure bisognosi di un continuo apprendistato, poiché ad amare si impara [Salmo 25].
Paolo istruisce in questo senso la comunità di Filippi con le sue esortazioni e presentando Cristo Gesù, il Figlio nel suo “abbassamento/svuotamento”, quasi come un piano inclinato che permette anche a noi di “imparare” da Lui “vivendo in noi” il suo percorso [Filippesi 2 – II lettura].
Uscendo dalla celebrazione potremmo anche noi aiutarci reciprocamente, “gareggiando nell’amore vicendevole”, affinché superiamo ogni competizione che esclude e facciamo si che tutti da ultimi possiamo essere primi
Preghiamo con la Liturgica
O Padre, 
che comunichi vita e salvezza
ad ogni persona desiderosa di giustizia,
donaci gli stessi sentimenti di Cristo,
perché possiamo donare la nostra vita
e camminare con i fratelli e sorelle
verso la pienezza dell’amore.
Amen.



sabato 23 settembre 2023

Vicina è la PAROLA 24 Settembre 2023 XXV Domenica dell’anno/A Isaia Amico, quel che è giusto…

Vicina è la PAROLA

24 Settembre 2023
XXV Domenica dell’anno/A
Isaia 55,6-9 / Salmo 145
Filippesi 1,20c-24-27a
      Matteo 20,1-16
Amico, quel che è giusto…
Siamo giustamente indignati di fronte ad ogni forma di favoritismo clientelare e tutti ci facciamo paladini di un’economia “giusta” che includa pari dignità di genere sul lavoro, giusta retribuzione, abolizione dei privilegi, riconoscimento dei diritti acquisiti in base agli incarichi svolti.
“Oggi, ad esempio, una «giusta economia» non può ignorare i valori proposti dall’ONU, riguardanti l’impatto ambientale, la sostenibilità sociale e tutti gli altri obiettivi — in tutto sono 17 — da rispettare e realizzare entro il 2030 per uno sviluppo economico sostenibile e «giusto». La meta prefissa è nobile e ha bisogno anche della speranza che davvero non rimanga solo una «buona intenzione». Ma è una meta umana, ragionevole, condivisibile da tutti e, proprio per questo, perseguibile…; esiste anche un’altra logica economica, anch’essa perseguibile o che potrebbe essere attuabile almeno da chi, oltre a riconoscersi membro di una comunità umana, riconosca… un’ulteriore e fondamentale indicazione di senso della propria esistenza... che non si basa sull’eguaglianza, sulla parità, ma sulla singolarità per cui, come tale, è sempre unica e ad personam. 
«Ma che profitto si ricava da tale economia»? O in modo ancora più scettico: «Quanto tempo serve al padrone per ridurre al fallimento la sua vigna e tutta l’impresa agricola, se agisce così?». Domande più che sensate e realistiche, che mettono però in questione un altro elemento che vi è alla base: o Dio non capisce nulla di economia, per cui il fallimento di tali indicazioni è scontato, oppure per poter rispondere e verificarne la validità bisognerebbe provare a mettere in atto un sistema economico di tal genere. Un’utopia? Forse, ma senza utopie il mondo non sarebbe andato avanti di molto” (Ester Abbattista).
Contestualizzazione evangelica di Matteo 20,1-6
L’azione e la predicazione del Nazareno si è spostata dalla Galilea alla Giudea e attira sempre molta gente bisognosa di cure che trova da lui guarigione (19,1-2).
Sono i farisei a porre problematiche vissute anche dalla prima comunità come il matrimonio e la scelta della verginità (cf vv. 3-12), la presenza dei bambini (cf vv. 13-15, l’uso delle ricchezze per chi segue Gesù (cf vv. 16-29).
La chiave di svolta è il v. 30 che mette al centro “gli ultimi” nella predicazione evangelica ma soprattutto nella vita della comunità cristiana sull’esempio del Signore: i discepoli della prima ora non hanno nessun vantaggio sui credenti dei tempi successivi, questo anche Pietro deve capirlo bene.
Come sempre il racconto evangelico di Matteo ne dà spiegazione con una parabola presa dall’ambiente rurale.
Colpisce l’insistenza del “padrone” nell’uscire a chiamare lavoratori a tutte le ore (vv. 1-7), il patteggiare il salario (vv. 2.9-10), la possibilità di contestare (vv. 10-12), la riaffermazione del principio: gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi (v. 16).
Non si tratta di un “proverbio messianico”, ma di una prassi ecclesiale che emerge anche da perplessità e contrasti sul ribaltamento di gerarchie ritenute inamovibili fuori dalla comunità (in piazza) ed al suo interno (nella vigna): in essa non c’è spazio per arrivismi e precedenze, tutti siamo figli dello stesso Padre, è questo il principio di uguaglianza nel quale riconoscersi. Il vangelo di Matteo lo aveva già annunciato all’inizio: il suo amore è l’unica giusta ricompensa (cf 5,44-48).
E non si tratta di una dichiarazione generica, ma di un invito personale: “tu… amico” (vv. 13-14), siamo ciascuno interpellati individualmente: da una parte a non essere presuntuosi della nostra chiamata rispetto agli altri e dall’altra a confidare con loro di non essere esclusi.
Ambientazione liturgica
“Entriamo in chiesa” così alla spicciolata e la nostra attenzione rischia di essere rivolta esclusivamente “in alto”, trascurando chi ci è a fianco. 
Siamo cercati e trovati, invitati ad entrare operosamente in relazione con il Signore poiché si tratta di capovolgere la nostra mentalità ed il nostro modo di ragionare, di mettere in discussione il nostro rapporto con Lui rispetto a quello con gli altri [Evangelo].
Siamo accompagnati a percorrere vie che non sono abitualmente le nostre, ma che ci conducono più vicini a Lui e tra noi; a colmare distanze di pensiero non solo verticali, ma orizzontali [Isaia 55 - I lettura].
Il regno di Dio è costituito da nuove relazioni basate sulla gratuità del dono che non violenta la libertà di alcuno, anzi la suscita e ci invita a lavorare con Lui [Filippesi 1 - II lettura] gratuitamente, senza per questo essere invidiosi degli altri!
Se con il suo amore sempre e tutti ci precede e ci fa strada, tutti allora siamo dell’ultima ora! Solo Lui infatti è l’unico che ha portato il peso di tutta la giornata, è il figlio della prima e dell’ultima ora, perché la sua ora è stata quella del dono supremo e totale di se stesso per tutti, senza distinzioni, aderendo alla prossimità del Padre verso l’umanità.
Tutti siamo felici di essere invitati al suo banchetto di nozze [Comunione] ed ogni comunità eucaristica, spogliandosi di ogni pretesa arrivistica, dovrebbe accogliere “gli ultimi arrivati”, chiunque essi siano, ringraziando insieme nella gioia per l’infinita misericordia del Padre [Salmo 145]. (Comunità Monastica di Viboldone)
Preghiamo con la Liturgia
O Padre, 
i tuoi pensieri sovrastano i nostri
quanto il cielo sovrasta la terra:
concedi a noi la gioia semplice
di essere tuoi collaboratori
con quanti tu chiami,
senza contare meriti e fatiche,
lieti solo di portare frutti buoni
per la speranza del mondo.
Amen.


sabato 16 settembre 2023

Vicina è la PAROLA 17 Settembre 2023 XXIV Domenica dell’anno/A Sembra facile…

Vicina è la PAROLA

17 Settembre 2023
XXIV Domenica dell’anno/A
Siracide 27,33- 28,9 / Salmo 103
Romani 14,7-9
     Matteo 18,21-35
Sembra facile…
Rimango sempre impressionato quando durante le interviste televisive a seguito di un efferato delitto o di tragedie familiari, arriva la fatidica domanda: “Ma voi siete disposti a perdonare?”.
Rifletto e penso se la rivolgessero a me.
Non cerco vendetta, voglio solo giustizia!”
Ecco un’altra di quelle esternazioni ricorrenti nelle medesime trasmissioni.
È come se il perdonare ci facesse diventare di colpo persone migliori o mettesse in evidenza quel lato “buono” di noi stessi che spesso rimane nascosto o assopito.
Che tipo di risposta ci aspettiamo in queste circostanze; o quale daremmo noi?
Adesso non posso, forse… un giorno”.
Non posso perdonare… non ce la faccio”.
Mi sembrano risposte umanamente adeguate perché c’è sempre un’infinita sproporzione tra il danno causato e subito, il dolore provato che non basta una semplice parola per cancellare tutto: il perdono è un processo interiore di crescita e riconciliazione anzitutto con noi stessi, con quella parte capace dei peggiori pensieri. La “Parola fatta carne” lo innesca nella nostra umanità con la forza di un amore che non viene da noi, che ci attraversa come una spada e un fuoco, che sgorga e ci intenerisce come acqua viva: l’Amore divino.
Contestualizzazione evangelica di Matteo 18,21-35
Siamo sempre nel denominato “discorso comunitario”, il quarto dei cinque che scandiscono il racconto evangelico di Matteo.
Il centro indiscusso è il v. 20: “Dove sono due o tre riuniti nel mio Nome, lì Io-sono-in mezzo a loroche costituisce la chiave di interpretazione delle dinamiche comunitarie, positive o negative, e dell’intero evento messianico del “Dio-con-noi” (cf 1,22-23; 28,20).
Dopo aver considerato la condizione del discepolo e del credente in nuovi termini di figliolanza e di conseguente libertà, di piccolezza e quindi fraternità (vv. 1-14), il riferimento stabile dato da Gesù, Maestro e Signore, è il Padre (vv. 15-17).
Come mantenere “alto” il livello di questa esperienza comunitaria senza cedere a idealismi frustranti o a relazioni mediocri e formali? Considerandoci tutti in un cammino di crescita e non in competizione, dove l’arrivo è già nella pienezza del Risorto a cui partecipiamo “per-dono”.
“Ricominciare sempre” vuol dire perdonare sempre.
Ma perché non risulti un concetto astratto, Matteo lo esprime come suo solito con una domanda che pone Pietro e una parabola illuminante per la sua paradossalità (vv. 21-35). Egli mette così in evidenza la comprensione e l’atteggiamento di ogni discepolo che fatica ancora ad entrare nell’assoluta gratuità dell’amore, rimanendo legato alla mentalità retributiva e quasi commerciale del perdono, La parabola sconvolge tutto ponendo il rapporto sul piano della misericordia e non solo della giustizia.
La sorprendete novità evangelica nasce dalla compassione come empatia che ci mette nell’altrui situazione per accoglierla intimamente, così che anche noi “lettori” siamo coinvolti con stupore in quello che la parabola ci narra: tutti siamo “debitori”, tutti “graziati”… solidali nel debito ma soprattutto nel perdono, come il Signore insegna nel pregare (cf 6,12).
Ambientazione liturgica
Ogni celebrazione eucaristica si apre, dopo l’accoglienza ed il saluto, con la richiesta di perdono: lo chiediamo al Padre ed ai nostri fratelli e sorelle, diventando così capaci di donarlo a nostra volta, memori dell’ammonimento evangelico “lascia lì la tua offerta e prima riconciliati” (Matteo 5,21-37), indispensabile alla “validità” del sacramento eucaristico!
“Ogni giorno, nella preghiera al Padre, rinnoviamo questo patto per il quale il nostro perdonare si appella alla forza del suo amore che perdona [Salmo 102] e lo chiediamo accanto al pane quotidiano, perché è ciò di cui la nostra umanità ha più bisogno per non autodistruggersi” [Siracide 27 – I lettura].
Questa invocazione si rinnova prima della comunione eucaristica, in cui accogliamo il dono della pace del Signore come vincolo di unità per la Chiesa stessa e per l’intera famiglia umana, ed esprimiamo la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole [Gv 13,34], prima di comunicare al Sacramento.
Il Signore Gesù, durante la cena pasquale, prima di affrontare la passione dona la sua pace ai discepoli (cf Giovanni 14,27) e così, dopo la sua risurrezione, dicendo: «Pace a voi!» li invita ad entrare nella nuova logica, insensata umanamente, del perdono (cf 20,21-23).
Non-vivere-più-per-se-stessi, in funzione di sé che Paolo raccomanda ai cristiani di Roma [II lettura] seguendo quando il Signore Gesù ha compiuto sulla croce (cf Luca 23,34) che, vincendo la morte, ha donato vita senza fine a chi rischia, nella povertà della propria storia di seguirne l’esempio.
Preghiamo con la Liturgia
O Padre, tu ami la giustizia
ma ci avvolgi del tuo perdono;
rendici capaci di vincere ogni offesa
e di illuminare il mondo
con il tuo amore
a immagine del tuo Figlio Gesù,
nostro Signore e nostro Dio.
Amen.


Vicina è la PAROLA 28 aprile 2024: V Domenica di Pasqua - I veri legami sono generativi: liberi!

Vicina è la PAROLA 28 aprile 2024: V Domenica di Pasqua Atti 9,26-31 / Salmo 21 1Giovanni 3,18-24 Giovanni 15,1-8 I veri legami sono gener...