venerdì 30 settembre 2022

VICINA È LA PAROLA 2 OTTOBRE 2022 DOMENICA XXVII/C L’elogio della GRATUITA’


VICINA È LA PAROLA 

2 OTTOBRE 2022 

DOMENICA XXVII/

Abacuc 1,2…4 

Salmo 95 

2Timoteo 1,6…14 

 Luca 17,5-10 

L’elogio della GRATUITA’ 

Avrei voluto titolare “Elogio dell’INUTILITA’” ma in realtà nulla di più inutile della gratuità, anche se nella nostra società, dominata dalle leggi del profitto esasperato, “gratis” funziona molto  almeno come esca per poi incastrarci allo scadere dell’allettante offerta. 

La gratuità dell’amore è la caratteristica che lo garantisce ed invera, svelandone le  manipolazioni o contraffazioni: amare senza nulla in cambio. 

Forse è questo che ci spaventa dell’amore di Dio fino a ritenerlo “inutile” e da allontanarlo  da noi per non poterlo meritare e non doverlo ricambiare, mentre Lui nemmeno ce lo chiede. L’amore nella sua gratuità ci salva e ci abilita ad amare gratuitamente esponendoci al rischio  di sentirci inutili quando, senza nessun utile, lo doniamo. 

L’inutilità diventa un valore tra le mani di un abile artigiano che sa riciclare e forgiare la  bellezza dallo scarto e da ciò che viene buttato perché ormai ritento inutile. Proprio quando una cosa non ci serve più diciamo che ormai è inutile; ecco quando non  possiamo più servircene… la buttiamo. “Servire senza servirsene” riguarda invece noi esseri umani  nei confronti della chiesa e della società, ma anche delle nostre relazioni amicali ed affettive. E quando non potremo neppure servire…? E quando la società o la chiesa stessa dovesse  ritenerci non più utili? Potremo amare ancora! 

Allora sperimenteremo quanto l’amore sia necessario, gratuitamente indispensabile. 

Contestualizzazione evangelica di Luca 17,5-10 

Il racconto evangelico di Luca alterna insegnamenti del Nazareno alle autorità religiose ed  ai suoi discepoli entrambi raccolte e proposte ai credenti ed alle comunità della seconda  generazione cristiana. In questo contesto l’esperienza fa constatare problemi di relazioni e di  comportamenti critici che sono di ostacolo [scandalo] agli altri nel loro già non facile cammino di  fede. La “regola” di base per affrontarli [rimprovero] è lo stesso vissuto da Gesù e da Lui proposto a  più riprese: il perdono (17,1-4 e Mt 18,16-35; cf Lc 23,34). 

Sembra un segno di bontà d’animo la disposizione a perdonare, ma già i discepoli si  rendevano conto che dipende dalla fiducia nel Signore, dall’esperienza della sua misericordia che il  Maestro ha loro annunciato e manifestato (cf 15). 

Comprendiamo meglio allora la richiesta al Signore, alla quale uniamo anche la nostra, “Facci  crescere nella fede!” perché il perdono degli altri richiede proprio di “sradicare” dentro di noi non  solo l’odio e il desiderio di vendetta, ma ci permette di verificare proprio l’autenticità della nostra  fede (cf 17,5-6). 

La parabola che segue, di solito per attuare l’insegnamento dato, ci tutela dal ritenere  insuperabile la nostra incapacità naturale di accogliere il messaggio evangelo dell’amore e di  considerarci “inutili”. Piuttosto ci incoraggia ad essere ministri fedeli al rapporto con il affinché ogni  nostro sforzo non sia inutile e sprecato ma valorizzato dal Signore. 

Queto è il vero “servizio” [diakonìa] nei confronti dei nostri fratelle e sorelle ma anche di  ogni essere umano: siamo mandati dal Risorto ad annunciare e testimoniare la forza rigeneratrice  dell’amore. 

Nulla è perduto di ciò che fatto con amore” (E. L. WORD) anche se a noi sembrasse così e ci  sentissimo “inutili”, ma forse proprio perché “senza utile”, senza merito o diritto ad una ricompensa (cf vv. 7-10). 

Ambientazione liturgica 

+ Metterci in ascolto della Parola vuol dire anzitutto un atteggiamento di fede, di fiducia che  quanto ci viene annunciato/proclamata il Signore stesso lo compie nella nostra esistenza e nella  storia di cui facciamo parte. 

- La nostra esistenza in ogni fase storica ci pone interrogativi che anche la Parola fa  riecheggiare; siamo tentati di rovesciare le responsabilità sulla mancanza di un intervento divino  piuttosto che verificare la nostra reale fiducia nella sua presenza: non vederla non dà garanzie e  assicurazioni; attesta un fine: se tarda attendilo! [Abacuc 1 – I lettura]. 

- Ascoltare per il credente è anzitutto accogliere questa presenza quasi mai appariscente ma  visibile nel creato e nel procedere della storia. Anche se siamo sempre tentati di dubitare la liturgia  ci invita ad applaudire, ad acclamare, a ringraziare ed adorare i segni di questo amore [Salmo 94]. 

- Così, giorno per giorno, si ravviva il dono ricevuto e custodito… sempre alimentato dallo  Spirito del Risorto che in noi dimora. In questo modo, come i discepoli, non siamo più timidi vergognosi ma forti, saggi, capaci di amare e di testimoniare anche quando fossimo impossibilitati dalle circostanze o dalle sofferenze [2Timoteo 1 – II lettura]. 

+ L’efficacia del credere è la forza della speranza, è servizio che non vede utilità ma quanto  mai necessario anche oggi, anche non riconosciuto o valutato inutile [Luca 17 – Evangelo]. Lo stesso Signore, che celebriamo come comunità pasquale, non è stato forse ritenuto servo  inutile e la sua croce insulsaggine e follia perché contraddice l’uomo sicuro di sé?! Saremo noi capaci di tollerare questa nostra povertà come testimoni? 

Preghiamo con la Liturgia 

Dio nostro Padre, 

tu non tolleri l'oppressione e la violenza, 

e soccorri prontamente i tuoi figli, 

rinvigorisci la nostra fede, 

affinché non ci stanchiamo di operare in questo mondo, 

nella gioia di essere tuoi servi. 

Amen.


domenica 25 settembre 2022

VICINA È LA PAROLA 25 SETTEMBRE 2022 DOMENICA XXVI/C L’abisso dell’Amore

VICINA È LA PAROLA 

25 SETTEMBRE 2022 

DOMENICA XXVI/

Amos 6,1a-7 

Salmo 146 

1Timoteo 6,11-16 

 Luca 16,19-31 

L’abisso dell’Amore 

Con tutti gli “abissi” nei quali l’umanità rischia di sprofondare, rischiamo di dimenticare  quello che è costituito dall’intimo di ogni persona. “L’anima umana è come un abisso che attira Dio,  e Dio vi si getta”. (JULIEN GREEN) 

Ci sono abissi scavati da noi soprattutto quelli sociali, creati dalle disuguaglianze economiche  e dall’ingiusta “distribuzione” delle ricchezze, come del suo libero accesso, di cui evito di citare le  statistiche facilmente reperibili in rete (https://asvis.it/notizie). Ma c’è anche l’abisso della  solitudine e del dolore dal quale non è facile uscire. 

“Davanti a questa prospettiva, che non mi è estranea, provo paura. Sento racconti di missili  che piovono sulla testa di tante persone, e continuo la mia strada, come se niente fosse. Davanti  all’irrigidimento del cuore, alla sua pietrificazione, non so che cosa fare. Cerco una parola nel  vangelo e trovo un nome, Lazzaro, “Dio aiuta”. Dio aiuta, facendomi prendere coscienza del rischio  che corro. Dio aiuta, mettendomi davanti esempi di persone che la distanza tra sé e gli altri la  percorrono, e offrono da mangiare, offrono un tetto e messaggi pieni di incoraggiamento. Non vi  lasceremo mai soli. Dio aiuta. Lasciamoci aiutare. Ma com’è difficile!”. (STEFANO CORTICELLI SJ) 

Contestualizzazione evangelica di Luca 16,19-31 

Il racconto evangelico di Luca ci testimonia il cammino di fede di una comunità che non è  solo impegnata a vivere nel suo “oggi” l’evangelo del Nazareno, ma che vuole attuarlo e  contestualizzarlo nelle dinamiche sociali del suo tempo. 

L’ultimo “detto” del brano proclamato nella XXV domenica: “Non potete servire Dio  e la ricchezza” (16,13b) pone proprio il dilemma tra un’esistenza asservita alla logica  dell’avere e del possedere, trascurando chi ha meno e nemmeno il necessario per una vita  dignitosa, e quella della giusta ripartizione dei beni materiali. 

Oggi come allora questo suscita la “derisione” dei “farisei di ogni tempo” e per il  credente è una provocazione su quale scelta di vita sia più “giusta” e coerente non solo con  “l’evangelo del Regno di Dio”, ma anche con la perenne validità della Torah a cui si è “legati”  non per dovere ma in “patto sponsale” (cf vv. 14-18). 

Ecco dunque una nuova parabola che apparentemente si presenta come di “consolazione”  per i poveri e di “avvertimento” inesorabile per i ricchi guardando al futuro di un’altra vita su cui  incide il presente che può essere capovolto in vista dell’eternità (cf 16,19-31). 

Ma la conclusione della stessa parabola ci rivela che nemmeno questa prospettiva sortisce  l’effetto risolutivo desiderato, addirittura nel presentarsi vivo di uno che ha superato la morte e  sperimentato come stanno veramente le cose “davanti a Dio” (cf v. 31!). 

C’è forse qui “la delusione” dei cristiani nel non vedere realizzata la portata “rivoluzionaria  dell’evangelo? Oppure “il fallimento” dei suoi tentativi di un’umanità più giusta e solidale già  all’indomani della risurrezione del Nazareno nella città di Gerusalemme? (cf Atti 2,44-45; 4,32-37;  5,1-11)?

In che modo “Dio soccorre” [Lazzaro]? Solo nell’al di là? I ricchi continueranno a godersi la  vita mentre la maggioranza dell’umanità vive sotto la soglia della sopravvivenza, nutrendosi delle  briciole che cadono dalla tavola degli epuloni? 

L’abisso scavato che divide è stato messo in cantiere lungo tutta la storia di ingiustizie  perpetrate ai danni di ogni povero e non finirà, nonostante che “l’uomo Gesù” in quell’abisso si sia  calato con tutta la sua portata di amore realizzando in se stesso anzitutto le condizioni della  “beatitudine” proclamata e da lui attuata (cf Lc 6,20 ss.).  

La morte, come condivisione radicale del destino di ogni essere umano, manifesta lo  svelamento di quanto è già sotto gli occhi di tutti, ma che non vuole essere visto perché non si vuole  guardare in faccia alla realtà.  

Solo il capovolgimento della risurrezione, non come resa dei conti o ristabilimento di un  equilibrio compromesso, ma vittoria definita della vita nella sua piena dignità, sarà per tutti  possibilità di gustarla in base alla propria capacità maturata nell’esercizio quotidiano dell’amore. 

Nessuno avrà più fame o sete fino al punto di morirne o di gozzovigliare per placarla, tutti  comprenderemo chi siamo come “esseri umani” e chi possiamo diventare nell’uomo Gesù Cristo  che l’Amore fa vivere per sempre. (COMUNITÀ DI VIBOLDONE

Ambientazione liturgica 

+ Il compito prioritario della Parola è di metterci anzitutto davanti a Dio nella nostra  situazione personale, comunitaria e sociale. In particolare quella profetica ci richiama alle nostre  responsabilità denunciando le nostre “false sicurezze” e la nostra incapacità di vedere i segni di una  crisi incipiente, allora culminata con l’esilio e oggi con esiti ancora ignoti ma purtroppo prevedibili [Amos 6 – I lettura]. 

- Proprio nella Liturgia la comunità si riconosce interpellata in prima persona verso le  situazioni dei più deboli e svantaggiati, e non cede facilmente alla tentazione di “scaricare” sul  Signore la “fedeltà” ad un patto a cui è tenuto anche il suo popolo che solo così può elevare a Lui la  sua lode [Salmo 146]. 

- La mensa eucaristica non può essere una caricatura della realtà, se alla mensa del benessere  non vogliamo invitati intrusi o “irregolari” ma solo ospiti scelti e selezionati. Essa è per tutti noi  soccorsi dall’Amore -Lazzaro- che tutti ci nutre [Luca 16 - Evangelo]. 

- Così tutti possiamo riconoscerci “uomini di Dio” e stare “al suo cospetto” come ha  testimoniato Gesù davanti a chi -Pilato- lo stava condannando: paradosso dell’Amore che non teme  di essere misconosciuto per essere alla fine riconosciuto e accolto, “il solo che possiede  l’immortalità” [1Timoteo 6 – II lettura]. 

Preghiamo con la Liturgia 

Dio nostro Padre, 

che conosci le necessità dei poveri 

e non abbandoni il debole nella sua solitudine, 

liberaci dalla schiavitù del nostro egoismo 

affinché non siamo sordi alla voce di chi invoca aiuto, 

e siamo così testimoni credibili del Cristo risorto. 

Amen.

venerdì 16 settembre 2022

VICINA È LA PAROLA 18 SETTEMBRE 2022 DOMENICA XXV/C Amministrare l’Amore

VICINA È LA PAROLA 


18 SETTEMBRE 2022 
DOMENICA XXV/
 Amos 8,4-7 / Salmo 113 
 1Timoteo 2,1-8 
 Luca 16,1-13 
Amministrare l’Amore 
Mai sentita una cosa del genere!  
Già pensare di “gestire” le relazioni affettive è un’impresa, figuriamoci doverle  amministrare”! Ma parlo dell’amore in quanto “bene” primario ed essenziale alla nostra esistenza  umana, fonte della gioia di vivere in quanto amati e della soddisfazione di poter amare qualcuno. 
Proprio perché si tratta di un “bene” l’amore va accolto, custodito, alimentato, condiviso,  ricercato… amministrato quindi, come ogni altro prezioso patrimonio che a noi esseri umani è stato  affidato. 
Dover “rendere conto” dell’amore non piace, soprattutto a noi che investiamo in questa  esperienza il massimo della nostra libertà e intraprendenza, compresa l’estrema fantasia nel fallire  e, purtroppo anche, nel far soffrire. 
Rendere conto dell’amore fa parte della nostra responsabilità che come umani non possiamo  declinare soprattutto nei confronti della vita stessa. Che ci piaccia o no, spesso in modo  imprevedibile o per noi ingiusto, un giorno o l’altro dovremo farlo; viceversa sarebbe un insulto alla  nostra intelligenza. 
Ma rendere conto a chi? Come? 
A Chi possa accoglierci nella sua “casa” nonostante tutto e solo in virtù della nostra amicizia. Può ostacolarci la nostra condotta “commerciale”: dare per avere; della nostra mentalità  “calcolatrice”: fin dove mi conviene; delle nostre abitudini “romantiche”: vorrei ma non posso...  Certo che puoi! Non devi aspettare la grande occasione. Le piccole situazioni quotidiane ci  offrono la possibilità di rendere conto della nostra vera capacità di amare ed esse ci permettono di  ricominciare sempre. 
Contestualizzazione evangelica di Luca 16,1-13 
La comunità di Luca ha recepito il vangelo del Nazareno di un Dio che ama “visceralmente”  e lo sta facendo diventare il suo stile di vita, nelle relazioni fraterne e nel proprio ambiente sociale. Per essa i contrasti sono evidenti oggi come allora tra Gesù e i suoi contemporanei, farisei  ed esperti della Torah, esattori e gente di malaffare, ricchi approfittatori e scaltri amministratori,  anche convertiti al cristianesimo. 
La paradossalità dello sconcertante amore si incontra dialetticamente con le scelte  esistenziali difficili da discernere e districare nella vita quotidiana, per i credenti oggi come lo è stato  per i discepoli a cui il Maestro rivolge ancora una parabola. Nella comunità, e non solo nella società,
capitano situazioni nella quali si può venir colti in un’amministrazione fraudolenta (e non soltanto  dei beni materiali…). Come venirne fuori “puliti” o per lo meno senza perdere tutto? Ancora una similitudine tra la scaltrezza mondana e quella “illuminata” dell’evangelo: “farsi  amici” (vv. 8-9). Ma perché non sembri opportunismo, e consapevole dei pericoli sempre in agguato  dentro e fuori la comunità, Luca richiama “detti gesuani” radicali riguardanti la “fedeltà” e la  disonestà, l’esclusivo servizio al Signore, ai fratelli e sorelle, ed il costante pericolo di essere  ammaliati dalle ricchezze (cf vv. 10-13) nel quale invece sprofondano gli stessi farisei, scettici  sull’insegnamento così radicale di Gesù fino a ridicolizzarlo (cf vv. 14-31). 
La comunità dei credenti si rende conto dell’imbarazzante “evangelo” del Dio fatto  uomo ed è come se all’improvviso si accorgesse del suo messaggio ultimo ed inequivocabile:  la Parola dell’Amore misericordioso. Consapevole di amministrare [οἰκονομίας (7 volte)] questo patrimonio e di doverne “rendere conto” al suo Signore, ammette anche di essere del  tutto sprovveduta, non altezza del compito affidatole (vv. 1-2).  
La parabola, con cui Gesù voleva sbalordire i suoi uditori affinché si scuotessero e  cogliessero l’urgenza dell’ora messianica, le viene incontro con l’invito a non declinare le  proprie responsabilità, a non fuggire. Pur nell’inadeguatezza dei propri mezzi, nell’ambiguità  di ciò che è ed ha, la spinge a mettersi comunque al servizio del Regno che viene. Le sono  sempre possibili gesti di amore quotidiano con cui rischiare di amare “nel poco” sapendo che  “il molto” (cf v. 10) è solo un dono da accogliere così come si è accolti dall’Amore che si fa  “casa” (cf v. 9). (COMUNITÀ DI VIBOLDONE
Ambientazione liturgica 
+ La comunità cristiana, in Assemblea celebrante, è solo il soggetto rappresentativo di tutti  gli esseri umani presso il Signore. Siamo un popolo “sacerdotale” che non si rinchiude dentro per  pregare, ma che si apre e porta con sé “domande, suppliche, ringraziamentiper e di tutti. Così ha  fatto il Signore nella sua esistenza terrena, così i suoi discepoli e apostoli come Paolo [1Timoteo 2,1- 8 – II lettura].  
- Ogni domenica nella “preghiera universale” e nella “dossologia eucaristica”: “Per / In / Con  Cristo…” essa si riveste di questa responsabilità di amministrare sulle dimensioni del mondo…  dell’universo, facendosi voce di ogni creatura, anche degli esseri umani che non vi si riconoscono e  che con i loro comportamenti affermano l’autonomia della loro esistenza e la sicurezza delle loro  ricchezze [Luca 16 – Evangelo]. 
- La “lode cosmica” della comunità acclama con entusiasmo [Hallel - Salmo 112] il Dio che si  china a guardare in basso e solleva l’indigente dalla polvere per farlo sedere tra i prìncipi. - Ma la veridicità e la coerenza della preghiera si verificherà quando, una volta sciolta  l’assemblea, ognuno andrà nel mondo come “apostolo e messaggero dell’uomo Cristo Gesù, unico  mediatore, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” [Paolo] soprattutto denunciando le ingiustizie  del nostro mondo e di una apparenza religiosa spesso paravento allo sfruttamento dei poveri [Amos – I lettura]. 
Preghiamo con la Liturgia 
Dio nostro Padre, 
difensore dei poveri e dei deboli, 
che ci chiami ad amarti con lealtà, 
abbi misericordia della nostra condizione umana, 
salvaci dalla cupidigia e dal possedere 
e aiutaci a ricercare l'inestimabile tesoro  
della tua amicizia. 
Amen.

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