Il nostro intento è anzitutto quello di rispondere all'invito di papa Francesco rivolto alla chiesa italiana riunita a Firenze nel Novembre 2015: “…permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”.
venerdì 31 luglio 2020
Foto di Padre Andrea Marongiu
“LE PAROLE DELLA DOMENICA” 12>26 Luglio 2020 Il Regno che cresce
“LE PAROLE DELLA DOMENICA” 12>26 Luglio 2020 Il Regno che cresce
“La REALTA’ è più importante dell’idea”. (EVANGELII GAUDIUM, 231-233)
Credo che la Parola sia un dono, non solo per il messaggio che porta in sé, ma perché prosegue in noi e tra noi quel processo vitale del Figlio, Parola del Padre, nella nostra esistenza umana e nella storia dell’umanità.
Il mio punto di riferimento è la Parola domenicale, al cui ascolto cerco di prepararmi e della cui proclamazione amo nutrirmi nei giorni successivi.
Inaspettatamente, nei momenti di “distrazione” dalle attività, alcune parole riaffiorano e incominciano ad “aprirsi”, ma anche ad “aprirmi” e nelle mie fessure entra una luce che mi permette di “vedere” ciò che già lì stava ma di “guardare" in modo nuovo.
Allora quella Parola “mi parla ancora” di quello che sto vivendo dentro e che mi capita attorno. Certo, perché “vivo” e questo è il dono della “Parola di vita”.
1. In queste domeniche il dono è il capitolo 13 di Matteo, “il discorso in parabole” di Gesù. Sono parabole, non favolette, frammenti di esistenza di “un seminatore” che sparge ovunque e comunque il suo seme (vv. 3-9), di un minuscolo granellino di senape (vv. 31-32), del lievito che fermenta tutta la farina (v. 33), ma anche di “un nemico” che sparge zizzanie (vv. 24-30).
Tutto è “vitale” ed anche “prezioso” perché nel campo c’è anche un tesoro (v. 44), come al mercato ci sono perle preziose e una più di tutte (vv. 45-46).
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2. Mi chiedo anch’io perché una parola in parabole (v. 10) e quali siano le parabole con cui Lui ci parla oggi, che continua ad usare e perché voglia continuare a parlare così (cf vv. 11-17; 34).
Ecco dunque il valore della realtà che comunque va interpretata, come le parabole necessitano di una spiegazione ed è Gesù stesso a fornirla ai suoi discepoli (vv. 18-23); ma non basta affinché essi la applichino alla loro situazione (vv. 16-18) ed ai nuovi ascoltatori, alle loro comunità (vv. 36-43; 49-50; 51-52).
Già questo è il primo effetto del dono contenuto nella Parola: far parlare i fatti, le esperienze, quello che ci capita e che spesso, in prima battuta, ci resta incomprensibile (v. 35).
3. Le parabole, queste parabole, ci dicono che Dio è già presente nella realtà, abita il mondo, il reale... e qui va scoperto: è il Regno; ma lo è a modo suo: “vitale”, come seme nella terra, lievito nella farina; soprattutto non ha paura di ostacoli, di fallimenti e alla fine ci sorprende sempre per la sua “forza inclusiva” (la rete gettata nel mare, vv. 47-48), la sua vitalità, la sua capacità di fruttificare (vv. 23)
Ci dicono della sua pazienza con noi che invece pretendiamo tutto e subito (vv. 28-30).
4. E’ sempre Lui che per primo “prende l’iniziativa” con noi e si coinvolge nella nostra vicenda umana (vv. 1-2).
A noi, “comunità evangelizzatrice”, come ci definisce Francesco, il compito di accompagnare” questo processo vitale, capaci di fruttificare e di festeggiare” (cf Evangelii gaudium 24), consapevoli che “il tesoro” non sarà mai nostro se non “compriamo il campo” nel quale è nascosto il suo tesoro (13,44), se non vediamo tutto il resto per possedere “la perla di grande valore” (13,46).
Roberto
martedì 28 luglio 2020
La conversione pastorale 3
Castel Frentano, 27 luglio 2020
“La Conversione pastorale”. / 3
Continuo la lettura dell’Istruzione “La conversione pastorale” e mi inoltro nella lunga sezione (II > VI, nn. 6 – 41) dedicata alla “comunità parrocchiale”.
1. Credo se ne parli così a lungo perché è sicuramente la “struttura pastorale” (termine qui molto ricorrente) che necessita di una “conversione… in senso missionario” (n. 42).
Non si dice mai espressamente che essa è ormai “in crisi” da diversi decenni (riconosciuta anche da diversi episcopati…), anche se si riconosce chiaramente che essa “non riesce a corrispondere più alle tante aspettative dei fedeli” e che “la mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto con indifferenza generale… corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario…” (nn. 16-17).
Beh, non si usa la parola “crisi” ma la descrizione ne rende benissimo l’idea e la realtà.
Tutto questo supportato da sapienti citazioni illustri e santi pontefici: s. Paolo VI, s. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Francesco. Eppure, tanto per essere concreti, senza nessuna citazione nemmeno di un episcopato nazionale, che forse di parrocchie ne hanno di tutte le tipologie ed esperienze!
2. Eppure la parrocchia, nonostante necessiti di un “processo di rinnovamento e di ristrutturazione” (n. 34) e di “conversione delle sue strutture” (n. 35) è qui riconosciuta nella sua fedeltà all’esperienza originaria delle prime comunità cristiane (nn. 6-7).
Sono le condizioni “del mondo contemporaneo” ad esigere “un nuovo discernimento comunitario” (nn. 8-10), soprattutto perché non solo così percepite, ma sono già un’esperienza ineludibile e quindi “è necessario generare segni nuovi… trovare nuove modalità… una sfida da accogliere con entusiasmo”(n. 14).
3. I punti fermi sono la “vicinanza” e la “prossimità”, “segno vivo della vicinanza di Cristo” (n. 19), come allora “rinnovare le strutture parrocchiali ‘tradizionali’ in chiave missionaria” ? (n. 20).
Ma soprattutto mi chiedo quali siano queste “strutture” (n. 35), dato che di esse qui si parla in modalità diverse: ora sono le parrocchie stesse, oppure quelle che le fanno funzionare, o quelle che dovrebbero essere “innovative” (n. 42)?
Non mi sembra che siano solo queste a non funzionare, ma soprattutto lo stile di vita parrocchiale ormai logoro e ripetitivo, che proprio le situazioni socio culturali attuali rendono instabile.
Ecco perché “richiede ‘a monte’ un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità di guida pastorale” (n. 35).
4. La “conversione pastorale deve toccare l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, ovvero gli ambiti essenziali nei quali la parrocchia cresce e si conforma al Mistero in cui crede” (n. 20).
E qui siamo al cuore, non solo della parrocchia, ma di ogni comunità cristiana e della vita cristiana stessa (nn. 21-26; 32-33).
Sono convinto che ogni rinnovamento deve essere finalizzato a dare significato pieno e vero a quelli che sono stati identificati, dal Vaticano II in poi, come i capisaldi della vita parrocchiale.
E qui “la conversione” o “rinnovamento” sono davvero impegnativi, perché finché si tratta delle “strutture” (n. 42ss.) già non è facile, ma qui sono in gioco dimensioni costitutive proprie dell’essere chiesa.
Roberto
domenica 26 luglio 2020
La conversione pastorale 2
“Castel Frentano, 25 luglio 2020
LA CONVERSIONE PASTORALE”. / 2
Dalla lettura che sto facendo della nuova Istruzione da parte della Congregazione per il Clero “La conversione pastorale della comunità parrocchiale” condivido con voi alcune riflessioni.
1. Da quanto si dice nell’Introduzione ci propone di “riorganizzare la forma di affidamento della cura pastorale delle comunità parrocchiali... valorizzando la dimensione di comunione”. Mi sembra di capire che la koinonìa è il criterio in base al quale non solo ordinare la vita parrocchiale, ma soprattutto “gestire” la sua stessa ministerialità: ogni compito e mansione vanno orientati armoniosamente alla reciprocità, gli uni al servizio degli altri, per l’edificazione comune (e questo già ce lo ricorda Paolo nella prima ai Corinzi). Subito si puntualizza che il ministero ordinato, anch’esso a servizio della comunità, si esprime nel ruolo di garantire una “sintesi armoniosa di carismi e vocazioni a servizio del Vangelo”. Aver cura di una comunità, come pastori, assume il senso di “tessere relazioni” all’interno di essa, il che presume già una certa vivacità che non darei per scontata.
2. Questo però è solo il primo “passo” di una “conversione pastorale in senso missionario”. Si tratta infatti di mettere in atto “una riforma” che parta dall’ “uscire da se stesse”. Siamo sulla scia della “chiesa in uscita” di papa Francesco (vedi EG 24. 27 e soprattutto 49!). A questo proposito può essere utile
leggere il saggio di DUILIO ALBARELLO “Cattolici in diaspora. Tre variazioni pandemiche sul tema dell’uscire”1.
Devo dire che fin da giovane studente la sola parola “riforma” mi faceva vibrare e ritrovarla in un testo ufficiale mi fa anche ben sperare. Le strutture pastorali / parrocchiali, ma soprattutto lo stile (comunione – collaborazione) dovrebbero tradursi in incontro - vicinanza – misericordia, una fraternità vissuta nelle comunità, vera e propria “sollecitudine per l’annuncio del Vangelo” che la fa essere “centri propulsori dell’incontro con Cristo”
3. Quest’ultima espressione non mi piace molto, ma rende bene l’idea che il centro, sia della vita di comunione sia della missione, sia Cristo e che la comunità cristiana sia al servizio della Parola che come lievito fa crescere l’umanità, come sale fa gustare ogni realizzazione di bene, come luce permette di metterlo in evidenza e di contemplarlo.
STELLA MORRA ha già fatto notare la novità dell’espressione usata da Francesco che “la grazia suppone la cultura” (cf EG 115) e lo ha illustrato molto bene2.
4. La prospettiva si arricchisce notevolmente se in questa “nuova tappa dell’evangelizzazione”, che inizia nelle e dalle comunità si parte da uno stile evangelico che costituisce “la prima riforma... quella dell’atteggiamento”3.
In quel dialogo Francesco auspicava “una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e di andare verso chi non la frequenta... ma occorre audacia e coraggio”.
5. Per quanto riguarda la vita nella comunità, papa Francesco ci ricorda che “La santificazione è un cammino comunitario, da fare due a due”. “...la mistica della presenza del
1 In “Non è una parentesi”, Torino 2020, pp. 97-120. 2 “Popolo. Le parole di Francesco”, AVE 2015, pp. 8-11. 3 Vedi l’intervista di papa Francesco a p. A Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, il 19/08/2013.
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Signore nella comunità... Questo dà luogo ad autentiche esperienze mistiche nelle comunità” (Gaudete et exultate 141 – 142. 145)
Francesco ci ha parlato di una “mistica comunitaria”, “dell’ascolto... dell’incontro”; “è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (GE 91-92).
Forse è da qui che occorre partire per realizzare quello che l’Istruzione propone, ma sono rimasto solo all’Introduzione (nn. 1-5), dipende però dalla sua ricchezza.
Roberto
venerdì 24 luglio 2020
“La conversione pastorale 1 (La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa)
La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (29 giugno u. s.). Devo dire che la sto leggendo, dopo una prima scorsa sommaria, quindi queste annotazioni hanno questo sapore e valore. In seguito scriverò qualcosa di più.
mercoledì 22 luglio 2020
Il tempo è superiore allo spazio (Evangelii Gaudium 222-225)
Il tempo è superiore allo spazio
222. Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio.
223. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.
224. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: « L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca ».[182]
225. Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cfr Gv 16,12-13). La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.
lunedì 20 luglio 2020
Popolo Introduzione di Stella Morra (AVE 2015, pp. 3-14)
POPOLO Le parole di Francesco
Introduzione di Stella Morra (AVE 2015, pp. 3-14)
(file pdf, clicca sul link per aprirlo)
Essere chiesa per fare chiesa (Roberto Geroldi)Seminario comunitario 11 luglio 2020 – S. Anna di M. (OR)
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