venerdì 31 luglio 2020

Foto di Padre Andrea Marongiu

Da qualche mese  Padre Andrea Marongiu (nato in Sardegna, ora è  rettore del Collegio dei Padri Somaschi a Genova-Nervi) ha  iniziato a commentare la parola quotidiana e soprattutto domenicale, scegliendo una parola come "chiave di lettura" e una immagine, tra quelle scattate da lui stesso oramai in decenni. 
L'effetto è molto semplice: l'immagine e la parola scelta -il più delle volte parole più "periferiche" rispetto a quelle che balzano subito agli occhi- possono offrire uno spunto per far entrare la Parola nel cuore e nella mente, o per aprire la strada alla riflessione personale. (cit. Andrea Marongiu)
 Le condivido con voi anche in questo blog.








“LE PAROLE DELLA DOMENICA” 12>26 Luglio 2020 Il Regno che cresce

LE PAROLE DELLA DOMENICA” 12>26 Luglio 2020 Il Regno che cresce 

La REALTA’ è più importante dell’idea”. (EVANGELII GAUDIUM, 231-233) 

Credo che la Parola sia un dono, non solo per il messaggio che porta in sé, ma perché prosegue in noi e tra noi quel processo vitale del Figlio, Parola del Padre, nella nostra esistenza umana e nella storia dell’umanità. 

Il mio punto di riferimento è la Parola domenicale, al cui ascolto cerco di prepararmi e della cui proclamazione amo nutrirmi nei giorni successivi. 

Inaspettatamente, nei momenti di “distrazione” dalle attività, alcune parole riaffiorano e incominciano ad “aprirsi”, ma anche ad “aprirmi” e nelle mie fessure entra una luce che mi permette di “vedere” ciò che già lì stava ma di “guardare" in modo nuovo. 

Allora quella Parola “mi parla ancora” di quello che sto vivendo dentro e che mi capita attorno. Certo, perché “vivo” e questo è il dono della “Parola di vita”. 

1. In queste domeniche il dono è il capitolo 13 di Matteo, “il discorso in parabole” di Gesù. Sono parabole, non favolette, frammenti di esistenza di “un seminatore” che sparge ovunque e comunque il suo seme (vv. 3-9), di un minuscolo granellino di senape (vv. 31-32), del lievito che fermenta tutta la farina (v. 33), ma anche di “un nemico” che sparge zizzanie (vv. 24-30). 

Tutto è “vitale” ed anche “prezioso” perché nel campo c’è anche un tesoro (v. 44), come al mercato ci sono perle preziose e una più di tutte (vv. 45-46). 

2. Mi chiedo anch’io perché una parola in parabole (v. 10) e quali siano le parabole con cui Lui ci parla oggi, che continua ad usare e perché voglia continuare a parlare così (cf vv. 11-17; 34). 

Ecco dunque il valore della realtà che comunque va interpretata, come le parabole necessitano di una spiegazione ed è Gesù stesso a fornirla ai suoi discepoli (vv. 18-23); ma non basta affinché essi la applichino alla loro situazione (vv. 16-18) ed ai nuovi ascoltatori, alle loro comunità (vv. 36-43; 49-50; 51-52). 

Già questo è il primo effetto del dono contenuto nella Parola: far parlare i fatti, le esperienze, quello che ci capita e che spesso, in prima battuta, ci resta incomprensibile (v. 35). 

3. Le parabole, queste parabole, ci dicono che Dio è già presente nella realtà, abita il mondo, il reale... e qui va scoperto: è il Regno; ma lo è a modo suo: “vitale”, come seme nella terra, lievito nella farina; soprattutto non ha paura di ostacoli, di fallimenti e alla fine ci sorprende sempre per la sua “forza inclusiva” (la rete gettata nel mare, vv. 47-48), la sua vitalità, la sua capacità di fruttificare (vv. 23) 

Ci dicono della sua pazienza con noi che invece pretendiamo tutto e subito (vv. 28-30). 

4. E’ sempre Lui che per primo “prende l’iniziativa” con noi e si coinvolge nella nostra vicenda umana (vv. 1-2). 

A noi, “comunità evangelizzatrice”, come ci definisce Francesco, il compito di accompagnare” questo processo vitale, capaci di fruttificare e di festeggiare” (cf Evangelii gaudium 24), consapevoli che “il tesoro” non sarà mai nostro se non “compriamo il campo” nel quale è nascosto il suo tesoro (13,44), se non vediamo tutto il resto per possedere “la perla di grande valore” (13,46). 

Roberto


martedì 28 luglio 2020

La conversione pastorale 3


Castel Frentano, 27 luglio 2020



La Conversione pastorale”. / 3



Continuo la lettura dell’Istruzione “La conversione pastorale” e mi inoltro nella lunga sezione (II > VI, nn. 6 – 41) dedicata alla “comunità parrocchiale”.

1. Credo se ne parli così a lungo perché è sicuramente la “struttura pastorale” (termine qui molto ricorrente) che necessita di una “conversione… in senso missionario” (n. 42).

Non si dice mai espressamente che essa è ormai “in crisi” da diversi decenni (riconosciuta anche da diversi episcopati…), anche se si riconosce chiaramente che essa “non riesce a corrispondere più alle tante aspettative dei fedeli” e che “la mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto con indifferenza generale… corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario…” (nn. 16-17).

Beh, non si usa la parola “crisi” ma la descrizione ne rende benissimo l’idea e la realtà.

Tutto questo supportato da sapienti citazioni illustri e santi pontefici: s. Paolo VI, s. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Francesco. Eppure, tanto per essere concreti, senza nessuna citazione nemmeno di un episcopato nazionale, che forse di parrocchie ne hanno di tutte le tipologie ed esperienze!

2. Eppure la parrocchia, nonostante necessiti di un “processo di rinnovamento e di ristrutturazione” (n. 34) e di “conversione delle sue strutture” (n. 35) è qui riconosciuta nella sua fedeltà all’esperienza originaria delle prime comunità cristiane (nn. 6-7).

Sono le condizioni “del mondo contemporaneo” ad esigere “un nuovo discernimento comunitario” (nn. 8-10), soprattutto perché non solo così percepite, ma sono già un’esperienza ineludibile e quindi “è necessario generare segni nuovitrovare nuove modalità… una sfida da accogliere con entusiasmo”(n. 14). 

3. I punti fermi sono la “vicinanza” e la “prossimità”, “segno vivo della vicinanza di Cristo” (n. 19), come allora “rinnovare le strutture parrocchialitradizionaliin chiave missionaria” ? (n. 20).

Ma soprattutto mi chiedo quali siano queste “strutture” (n. 35), dato che di esse qui si parla in modalità diverse: ora sono le parrocchie stesse, oppure quelle che le fanno funzionare, o quelle che dovrebbero essere “innovative” (n. 42)?

Non mi sembra che siano solo queste a non funzionare, ma soprattutto lo stile di vita parrocchiale ormai logoro e ripetitivo, che proprio le situazioni socio culturali attuali rendono instabile.

Ecco perché “richiede a monte un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità di guida pastorale” (n. 35).

4. La “conversione pastorale deve toccare l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, ovvero gli ambiti essenziali nei quali la parrocchia cresce e si conforma al Mistero in cui crede” (n. 20).

E qui siamo al cuore, non solo della parrocchia, ma di ogni comunità cristiana e della vita cristiana stessa (nn. 21-26; 32-33).

Sono convinto che ogni rinnovamento deve essere finalizzato a dare significato pieno e vero a quelli che sono stati identificati, dal Vaticano II in poi, come i capisaldi della vita parrocchiale.

E qui “la conversione” o “rinnovamento” sono davvero impegnativi, perché finché si tratta delle “strutture” (n. 42ss.) già non è facile, ma qui sono in gioco dimensioni costitutive proprie dell’essere chiesa.



Roberto


domenica 26 luglio 2020

La conversione pastorale 2



Castel Frentano, 25 luglio 2020 


LA CONVERSIONE PASTORALE”. / 2

Dalla lettura che sto facendo della nuova Istruzione da parte della Congregazione per il Clero “La conversione pastorale della comunità parrocchiale” condivido con voi alcune riflessioni. 

1. Da quanto si dice nell’Introduzione ci propone di “riorganizzare la forma di affidamento della cura pastorale delle comunità parrocchiali... valorizzando la dimensione di comunione”. Mi sembra di capire che la koinonìa è il criterio in base al quale non solo ordinare la vita parrocchiale, ma soprattutto “gestire” la sua stessa ministerialità: ogni compito e mansione vanno orientati armoniosamente alla reciprocità, gli uni al servizio degli altri, per l’edificazione comune (e questo già ce lo ricorda Paolo nella prima ai Corinzi). Subito si puntualizza che il ministero ordinato, anch’esso a servizio della comunità, si esprime nel ruolo di garantire una “sintesi armoniosa di carismi e vocazioni a servizio del Vangelo”. Aver cura di una comunità, come pastori, assume il senso di “tessere relazioni” all’interno di essa, il che presume già una certa vivacità che non darei per scontata. 


2. Questo però è solo il primo “passo” di una “conversione pastorale in senso missionario”. Si tratta infatti di mettere in atto “una riforma” che parta dall’ “uscire da se stesse”. Siamo sulla scia della “chiesa in uscita” di papa Francesco (vedi EG 24. 27 e soprattutto 49!). A questo proposito può essere utile 


leggere il saggio di DUILIO ALBARELLO Cattolici in diaspora. Tre variazioni pandemiche sul tema dell’uscire1

Devo dire che fin da giovane studente la sola parola “riforma” mi faceva vibrare e ritrovarla in un testo ufficiale mi fa anche ben sperare. Le strutture pastorali / parrocchiali, ma soprattutto lo stile (comunione – collaborazione) dovrebbero tradursi in incontro - vicinanza – misericordia, una fraternità vissuta nelle comunità, vera e propria “sollecitudine per l’annuncio del Vangelo” che la fa essere “centri propulsori dell’incontro con Cristo” 


3. Quest’ultima espressione non mi piace molto, ma rende bene l’idea che il centro, sia della vita di comunione sia della missione, sia Cristo e che la comunità cristiana sia al servizio della Parola che come lievito fa crescere l’umanità, come sale fa gustare ogni realizzazione di bene, come luce permette di metterlo in evidenza e di contemplarlo. 

STELLA MORRA ha già fatto notare la novità dell’espressione usata da Francesco che “la grazia suppone la cultura” (cf EG 115) e lo ha illustrato molto bene2


4. La prospettiva si arricchisce notevolmente se in questa “nuova tappa dell’evangelizzazione”, che inizia nelle e dalle comunità si parte da uno stile evangelico che costituisce “la prima riforma... quella dell’atteggiamento3

In quel dialogo Francesco auspicava “una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e di andare verso chi non la frequenta... ma occorre audacia e coraggio”. 


5. Per quanto riguarda la vita nella comunità, papa Francesco ci ricorda che “La santificazione è un cammino comunitario, da fare due a due”. “...la mistica della presenza del 

1 In “Non è una parentesi”, Torino 2020, pp. 97-120. 2 Popolo. Le parole di Francesco”, AVE 2015, pp. 8-11. 3 Vedi l’intervista di papa Francesco a p. A Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, il 19/08/2013. 

Signore nella comunità... Questo dà luogo ad autentiche esperienze mistiche nelle comunità” (Gaudete et exultate 141 – 142. 145) 

Francesco ci ha parlato di una “mistica comunitaria”, “dell’ascolto... dell’incontro”; “è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (GE 91-92). 

Forse è da qui che occorre partire per realizzare quello che l’Istruzione propone, ma sono rimasto solo all’Introduzione (nn. 1-5), dipende però dalla sua ricchezza. 


Roberto








venerdì 24 luglio 2020

“La conversione pastorale 1 (La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa)

Castel Frentano, 23 luglio 2020 

“LA CONVERSIONE PASTORALE” 

Il 20 luglio u.s. la Congregazione per il Clero ha pubblicato un documento “
La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (29 giugno u. s.). Devo dire che la sto leggendo, dopo una prima scorsa sommaria, quindi queste annotazioni hanno questo sapore e valore. In seguito scriverò qualcosa di più.
1.  Anzitutto ci voleva proprio, dopo questo periodo così drammatico ed ora problematico, un intervento “ufficiale” della Chiesa cattolica ma forse non ci aspettavamo questo!

 2. La valutazione di un documento come questo dipende sempre dalle aspettative di chi legge e comunque occorre sempre un approccio molto aperto e libero. “critico” per accogliere tutto il positivo che c’è e così cogliere, al di là di quanto esplicitato anche quello che “non si dice”, e intuire le prospettive su cui si apre e i passi possibili da intraprendere.

 3. Il titolo con cui si presenta “La conversione pastorale…” forse è un po’ pretenzioso, infatti ad un primo sguardo si articola più come “indicazioni giuridiche” o un “prontuario parrocchiale” su ruoli e mansioni, di carattere organizzativo… Sarà una sfida capire quale “inversione di direzione” (dal latino), di tendenza” propone, quale cambio di percorso (per rimanere all’origine ebraica del termine) o di mentalità (riferita a quella greca).

 4. In questa “epoca francescana” si parla spesso di “cambio epocale”, di “paradigma”… vedremo un po’ meglio se questo testo ci aiuterà in questa “conversione”.

5. Un primo sguardo l’ho dato alle note a piè di pagina  (deformazione dagli studi svolti con maestri illuminati, anche se  p. Calcaterra o.p. soleva dire che la prima cosa da guardare di un libro fosse il prezzo!).  Per 39 volte si cita il magistero di papa Francesco, quasi  sempre Evangelii Gaudium (gli altri papi come Paolo VI, Giovanni  Paolo II, Benedetto XVI rarissime volte); i documenti del Vaticano
II 8 volte (!); il CJC 86 volte, a conferma del carattere normativo.

6. Per i lettori “scaltri” l’indice o il sommario sono una buna scorciatoia, ma pericolosa… però l’Introduzione è composta di soli 5 numeri (1-5), al tema della parrocchia si dedicano 36 numeri (6-41) anche se con titolature e angolature diverse (missione – evangelizzazione e poveri – strutture) e così arriviamo a 42, su  124 nn., parlando delle “ripartizioni interne alla diocesi”.
Si tratta di una denominazione insolita (io la vedo qui per la  prima volta, ma posso anche non fare testo!) forse sarebbe stato  meglio usare “articolazioni interne” o “articolazioni intermedie”?
Ci vorrebbe qualche pastoralista che si esprimesse.
Comunque di queste “ripartizioni” si parla, a dire il vero in  modo un po’ confuso, per 20 numeri (42 – 61) per poi dare il via   per ben 39 numeri alle Forme ordinarie e straordinarie di
affidamento della cura pastorale della comunità parrocchiale (62-100).
Il documento si chiude con 16 numeri dedicati agli organismi  di corresponsabilità ecclesiale (101- 117), con 4 alle oblazioni per  sacramenti e altro (118-121) e gli ultimi 3 alla conclusione (122- 123), che come il solito si collega all’ introduzione e affida il tutto  all’intercessione di Maria, in questo caso “Madre   dell’Evangelizzazione” (124).

7. Non è difficile individuare le diverse “mani” che ci hanno  lavorato, e forse anche “l’approvazione di papa Francesco” (il 27  giugno u.s.).

8. Adesso mi inoltrerò nella lettura più dettagliata, ma sinceramente credo che due parole sulla “comunità cristiana”, la sua vita interna e la sua presenza esterna, ci sarebbero state utili. Sembra che nonostante la sua crisi “conclamata” la parrocchia continui ad essere ufficialmente riconosciuta come unico luogo nel quale fare “esperienza di chiesa”, ma giustamente alla parrocchia è dedicato il documento fin dal titolo e meno male che si è dato questo limite! 

Roberto

mercoledì 22 luglio 2020

Il tempo è superiore allo spazio (Evangelii Gaudium 222-225)

Il tempo è superiore allo spazio

222. Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio.

223. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.

224. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: « L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca ».[182]

225. Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cfr Gv 16,12-13). La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.

lunedì 20 luglio 2020

Popolo Introduzione di Stella Morra (AVE 2015, pp. 3-14)


POPOLO Le parole di Francesco

Introduzione di Stella Morra (AVE 2015, pp. 3-14) 

(file pdf, clicca sul link per aprirlo)



https://drive.google.com/file/d/1G4O5dokVqMyZsh4tKd5INAQyR7StOVeH/view?usp=sharing

Essere chiesa per fare chiesa (Roberto Geroldi)Seminario comunitario 11 luglio 2020 – S. Anna di M. (OR)

“ESSERE CHIESA PER FARE CHIESA”. 
Seminario comunitario 11 luglio 2020 – S. Anna di M. (OR)
 “Il tempo è superiore allo spazio. Un primo principio nella costruzione di un popolo”.
 (EVANGELII GAUDIUM, 222-225)
 Castel Frentano, 19 luglio 2020 

Cari amici, care amiche. Questi “appunti” che faremo circolare tra noi (...e non solo) saranno spero utili a proseguire la riflessione iniziata sabato 11 luglio u.s., a S. Anna di Marrubiu e a dar vita ad un laboratorio comunitario di pratiche e di idee finalizzato ad attuare “l’essere chiesa per fare chiesa”. 
Il nostro intento sarebbe anzitutto quello di rispondere all’invito di papa Francesco rivolto alla chiesa italiana riunita a Firenze nel Novembre 2015: “…permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. (Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze Martedì, 10 novembre 2015) 
 
Non possiamo poi trascurare l’esperienza recentemente vissuta a livello di umanità intera e di chiesa, a causa del Covid19 e ancora presente, che ci pone profondi interrogativi che non possiamo eludere e trascurare: «Come cambieranno le cose? Come saremo? Il futuro sarà scandito ancora da abitudini reiterate? Come sarà la coscienza personale e collettiva? Cosa ci chiede il Signore in questo tempo? Perché un Dio buono permette tutto ciò ai suoi figli? Nelle domande dei vescovi è emersa la necessità di una lettura spirituale e biblica di ciò che sta accadendo». (Consiglio Permanente della CEI – Roma, 16 aprile 2020) Infine sarà utile a “saldare” tutto quanto vissuto negli anni giovanili con l’essere oggi “adulti”, non solo perché coniugi e genitori o professionisti, ma anche per quanto riguarda una “fede adulta” che non può non essere anche ricca di consapevolezza e di responsabilità (cf EG 24: “la comunità dei discepoli missionari”). 
Come ci ha scritto Andrea M. “Il tempo fa anche da setaccio e quello che rimane è la bellezza del vangelo”. Il progetto di “ridare vita” alla comunità di S. Anna e delle sue strutture, di fronte alla sua inattuabilità presente e prossima, è stato lo “spunto”, come alcuni di voi hanno scritto, per sperimentare “un’ondata di progettualità e di giovinezza; riaccendere la speranza in tutti noi (non che si fosse spenta… ma solo leggermente assopita); uniti nel costruire la base dell’essere chiesa; una condivisione profonda tra tutti; per riflettere sul nostro modo di essere chiesa… si è acceso in me il desiderio di sentirmi parte più attiva nella Chiesa; per metterlo in discussione; abbiamo avviato dei “processi” che dovranno poi concretizzarsi; ora sento che faccio parte pure io di questo “ospedale da campo”. 

 Ma non si tratta solo di un imput, ma di “avviare processi, più che di occupare spazi” come ci indica Francesco in EG 223: “Si tratta di privilegiare azioni che generano nuovi dinamismi nella società, che coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci”, (l’ha anche ripetuto 8 volte a Milano il 25 marzo 2017 e alla Curia romana il 21 dicembre 2019). Ecco perché, come ho detto nell’introduzione di sabato 11, non eravamo lì per un “raduno di reduci nostalgici”, ma come “credenti inquieti” (Matteo Truffelli, presidente dell’AC). In questi processi di avviare, sicuramente la riflessione personale e la condivisione comunitaria fanno parte di quel discernimento ecclesiale assolutamente indispensabile oggi “di non dare nulla per scontato” (+ Gigi Tiana, abate di Sorres) che parte però da alcune convinzioni di fondo: “La risurrezione [di Gesù] non è una cosa del passato, contiene una forza che ha penetrato il mondo; produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo… ha già penetrato la trama nascosta di questa storia… Non rimaniamo ai margini di questo cammino della speranza viva!” (EG 276 - 278). “Partire da uno sguardo contemplativo… di fede che scopra Dio presente nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze” (EG 71; 51). 
“L’unico modo è il discernimento… un dono che bisogna chiedere; … per educarsi alla pazienza di Dio” (Leggi GAUDETE ET EXULTATE i nn. 166-175). “Il discernimento è la capacità di stare nel presente con gli occhi nella direzione giusta, in modo da sintonizzarci sull’azione dello Spirito, che ha sempre una falcata di vantaggio su di noi. 
Una frase di papa Francesco è illuminante: ‘Oggi non viviamo in  un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca’ 1 . …è chiaro che la ‘forma’ di presenza che la Chiesa ha assunto in un’epoca che non c’è più, rende inefficaci le ‘forme’ pastorali con cui essa ha onorato il suo compito di comunicazione della fede”. (Enzo Biemmi, Milano 3 marzo 2019) 
Oltre al discernimento, un altro processo da avviare (per altro già avanti…) è quello che Francesco chiama la “mistica di vivere insieme”: “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire trasmettere la ‘mistica’ del vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (EG 87). Questa prospettiva apre la strada ad un “processo di popolo”, che soprattutto un Papa latino-americano ha ben presente. Per entrare in questa dimensione (di cui già facciamo parte!) vi allego il testo della teologa italiana Stella Morra che abbiamo parzialmente letto, a introduzione del libro “Popolo". Le parole di Francesco”, AVE 2015, pp. 3-14. In seguito metterò a disposizione una raccolta di testi sul camminare insieme come popolo. 
Vi auguro ogni bene. 
Roberto 
 1 A Firenze il 10 novembre 2015.

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