02 Marzo 2025
VIII Domenica anno/c
Siracide 27,4-7 / Salmo 91
Luca 6,39-45
1Corìnti 15,54-58
Da “amate i vostri nemici” al vederci bene così da poter “togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Luca 6,27.42) ci fa comprendere che spesso il nemico non sempre sta al di là della barricata, spesso è dentro di noi, come se un filtro deformasse il nostro sguardo così che vediamo l’altro o l’altra, come nostro nemico. Una “trave” posta proprio lì a distorcere o a occludere la visione, mentre pretendiamo di liberare chi in realtà ci è fratello, sorella dalla pagliuzza che invece riusciamo a vedere nel suo occhio, ma che così non potremo mai aiutare a togliere (cf v. 41).
Ma, se oltre ai difetti non vediamo chiaramente chi ci è fratello e sorella, allora siamo “ciechi” a tal punto da condurre anche gli altri fuori strada (cf v. 39).
È infatti interessante che Luca abbia trasferito questo ammonimento, rivolto inizialmente ai farisei e ai maestri della Torah definiti altrove da Gesù come “guide cieche” (cf Matteo 15,14; 23,16), ai fratelli e sorelle della stessa comunità, collegando tra loro un insieme di detti con tutta probabilità originariamente separati. La comunità è infatti il luogo dove, attraverso la “correzione fraterna”, dovrebbero aiutarsi reciprocamente ad essere persone libere dai propri limiti e difetti, perdonandosi e addirittura correggendosi (cf 18,15-18).
Può diventare un pericoloso alibi non aiutare gli altri a migliorarsi dato che non ci riusciamo con noi stessi. Anzi, nella nostra esperienza quotidiana, è proprio vero il contrario a patto che la “misericordia” sia reciproca come poco prima Gesù l’aveva proposta ai suoi discepoli a “regola” della propria vita personale e fraterna (cf Luca 6,36).
Ancora una volta la strada da percorrere è quella di discepoli del maestro “misericordioso” per essere “come” Lui (cf v. 40).
Ogni volta che mi trovo davanti a questo avverbio non posso non ricordarmi il “comandamento suo e nuovo” di Gesù: “Amatevi gli uni altri come io ho amato voi” (cf Giovanni 13,16.34; 15,12) e convincermi che “come” non indica solo un modo da imitare e una misura da raggiungere, ma una motivazione e una causa che ci spinge, effetto del suo amore per noi.
Allora non sono anzitutto io “l’albero che deve dare frutti buoni” (cf vv. 43-44) ma sarà il “rimanere in Lui come i tralci rimangono attaccati alla vite” a permettermi di amare “come il Padre ha amato il Figlio e come Lui ha amato noi” (cf Giovanni 15,4-5; 9-10; 12,24).
Non è frutto di un impegno etico, ma effetto di una relazione intima e profonda: come tra cuore e bocca… a patto che nel cuore ci sia però un tesoro (cf v. 45; cf Matteo 12,35; 13,45-46).
Ambientazione liturgica
Spesso ci sforziamo di trovare un messaggio unitario nella liturgia della Parola domenicale, mentre potrebbe già essere un dono che ciascuno di noi cogliesse ciò che può riguardare la propria esistenza, secondo varie sfaccettature.
Siracide 27 [I lettura] anticipa il contenuto degli ultimi versetti del vangelo: la parola dell’uomo come frutto, come test di prova del suo cuore [Luca 6,43-45 – Evangelo].
Ma la prima parte (cf vv. 39-42) riguarda la possibilità di giudizio tra fratelli e sorelle: è possibile unicamente a condizione che ci si riconosca sullo stesso piano, con lo stesso bisogno di misericordia di chi, col suo giudizio, vuole aiutare a camminare. È “buono” il cuore di chi fa verità sul proprio peccato e che si esprime in un giudizio di misericordia sugli altri”.
Una verità che scaturisce dall’esperienza della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte; così ogni fatica, anche della comunione fraterna, in Lui “non è vana”. Ma la comunità non deve presumere d’aver raggiunto l’incolumità, ognuno deve progredire costantemente perché l’esistenza continua ed è piena di insidie. [1Corinti 15 – II lettura]
Come “è bello annunziare l’amore del Signore fin dal mattino e di notte la sua fedeltà” dopo averla sperimentata per tutto il giorno! Questo assicura una “perenne giovinezza” e una stabilità ritrovata su “un equilibrio instabile”: sentirsi amati. [Salmo 91]
Così anche la notte anche peggiore prelude al sicuro sorgere del nuovo sole in un “al di qua” dove “Cristo afferra l’uomo al centro della sua vita” (D. Bonhöffer).
Preghiamo con la Liturgia
Dio nostro Padre,
hai inviato nel mondo il tuo Figlio Parola di verità
che con la sua morte e risurrezione
ha risanato i nostri cuori sterili,
fa’ che dalla nostra bocca non escano parole di giudizio
ma di misericordia e di vita nuova.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità del tuo Spirito,
ora e per l’eternità. Amen.