Vicina è la PAROLA
22 giugno 2025
Corpo e Sangue del Signore/C
Spezzare per MOLTIPLICARE
Genesi 14,18-20 / Salmo 109
1Corinzi 11,23-26
Luca 9,11-17
Fame e sete… di cosa, di Chi?
Di cosa abbiamo davvero fame?
Si tratta solo di un istinto primario di sopravvivenza o piuttosto di una carenza che chiede qualcosa di più profondo? I disturbi alimentari diffusi nella nostra società “del benessere” ce lo attestano: non è questione di appetito o di gusto, nemmeno la consapevolezza che, in un contesto dove il superfluo sostituisce il necessario e il bisogno viene indotto dall’offerta di mercato, è più difficile capire cosa sia essenziale per vivere e da dove provenga la nostra fame o sete.
Un malessere può indicare una mancanza, ma la scelta della “alimentazione” parte dalla ricerca di cosa valga davvero la pena di avere, “il pane sostanziale” da chiedere ogni giorno (cf Matteo 6,11) a cui non si può rinunciare per vivere: l’amore!
Quando a tavola condividiamo il cibo nella festa e nella gioia non sono forse i nostri cuori ad essere saziati?!
Fame di vita e sete d’amore in diversi modi hanno a che fare col cibo e ci indicano la necessità di un “dono” che appaga (cf Giovanni 4,8.10.15,31-34). Quando riusciamo a riconoscerle e a dargli un nome; nel momento in cui ci accorgiamo che ci accomunano e che più ci separiamo crescono in modo insaziabile... allora un processo vitale inizia ad innescarsi interiormente.
La “beatitudine” di “chi avendo necessità -fame e sete- di un nuovo rapporto con Dio viene finalmente saziato” (Mt 5,6) è un altro segno che “non di solo pane vive l’essere umano” (cf 4,4)
Altro che “buco nello stomaco” da riempire… una voragine chiede di essere colmata! (cf Luca 3,5). Anche S. Madre Teresa, che di persone ne sfamò a migliaia, riconosceva che dopo aver saziato il corpo occorreva dare “un senso per vivere”.
Condividere la fame ci fa apprezzare il “dono” del pane, soprattutto quando Chi ce lo dona non lo paracaduta dall’alto, tipo “intervento umanitario”, facendoci sgomitare per accaparrarcelo, ma ce lo “offre” come dono d’amore per essere a sua volta compartito (cf Giovanni 6,32.39): per noi “lo/si” spezza donandoci una nuova identità unitaria e facendoci assaporare in anticipo il gusto della compagnia solidale, premessa profetica di quella divina.
Ermeneutica evangelica di Luca 9,11-17
La Parola del Regno è prossimità del Nazareno alle “folle bisognose di cure”: una persona che si muove tra loro e sta con loro dall’alba al tramonto (cf vv. 11-12).
Non vuole nemmeno farsi staccare da loro, anzi i loro bisogni vitali lo attraggono, li accomuna lo stesso “deserto” che lui ha dovuto frequentare anni prima, la stessa tentazione di una soluzione “scorciatoia” (cf 4,1.3-4) che egli rifiuta optando per la più ardua, non miracolistica e meno eclatante ma ugualmente prodigiosa: il prendersi cura con amore!
“Voi stessi date loro da mangiare/date loro voi stessi da mangiare” (cf 9,13).
È comunque una provocazione che chiede un coinvolgimento personale, il far ricorso a qualcosa di proprio e non di preconfezionato. Le risorse da mettere in campo sembrano sempre in questi casi inadeguate e insufficienti (cf vv. 12.13), fino a che Qualcuno, con la forza della sua Parola, non accende lo sguardo e scalda il cuore (cf Luca 24,30-32): 5x5000 è la proiezione all’infinito dell’amore che non ha limiti ma che inizia dal possibile 5x10: il prodigio è già in atto e inizia a dare frutto radunando e facendo stare insieme, in gruppo che è l’inizio della comunità (cf vv. 14-15).
Sarà poi, nel pieno del 50esimo giorno, la Pentecoste, a diventare Chiesa che “spezza il pane in letizia e semplicità di cuore… senza che più a nessuno manchi il necessario per vivere” (cf v. 17 e Atti 2,1.42.46; 4,35).
“Spezzare e condividere fa moltiplicare”: è il prodotto dell’amore che implica il dono di sé e che alla fine consente a ciascuno dei dodici di andar via con una cesta piena di avanzi, custodi della provvidente carità. In tale contesto le parole e gesti eucaristici, per lungo tempo considerati quasi “magici”, acquistano e sprigionano tutta la loro potenza, nella fragilità dei loro segni (cf v. 16).
Ambientazione liturgica
Gesti inediti e parole prima sconosciuti si erano già impressi nella memoria di un popolo, sono quelli di Melchisedek re di Salem incontrando Abramo: ringraziamento per una vittoria bellica sui propri nemici [Genesi 14 – I lettura], così che la successiva tradizione biblica vede in lui una profezia del re David e del Messia [Salmo 109].
Nella memoria dei discepoli di Gesù la “tradizione”, come consegnarsi, è andata oltre le sue parole, i suoi gesti col pane ed il vino della cena pasquale [1Corinzi 11 – II lettura] e mesi prima nello spezzare il pane per una folla affamata di vita, in una radura assolata, gente oppressa da malattie e mali. Ciò che Egli si era rifiutato di fare per sé (cf Luca 4,2-4), ancora nel deserto provvede pane in abbondanza per tutti e a partire dalla povertà di quello che viene portato, insufficiente a sfamare [Luca 9 – Evangelo].
“E’ un gesto profetico del dono di sé che solo l’amore può autenticare.
L’amore, che appaga e unisce, fa di noi un corpo solo come quella folla una comunità; la misericordia che parte dalla nostra povertà quotidiana e la sazia, la trasforma capace di saziare effetto della risurrezione, la vera vittoria per cui ringraziare sul potere del male e della morte che rende l’umanità capace di donarsi e offrirsi in quanto corpo del Cristo donato [Paolo ai Corinzi]. Questo il Padre riconoscerà: la sua misericordia fatta carne, storia quotidiana, vita nella gioia”.
(Comunità di Viboldone)
Preghiamo con la Liturgia
Padre, buono e provvidente,
che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
fa’ che nella partecipazione
all’unico pane e all’unico calice
impariamo a condividere con i fratelli e sorelle
i beni della terra e quelli eterni.
Per il nostro Signore Gesù,
Cristo tuo Figlio che è Dio,
e vive e regna con te,
nell’unità del tuo Spirito,
ora per l’eternità. Amen.
Parafrasi queer di Luca 9,11-17
RispondiEliminaGesù si trovava in mezzo a una folla numerosa,
fatta di persone spesso ignorate
dalla religione ufficiale: corpi considerati “non adatti”,
identità non riconosciute,
voci non ascoltate.
Eppure, proprio a loro parlava del Regno di Dio.
Un regno senza barriere di genere, senza ruoli imposti,
senza norme rigide su chi “può” o “non può” appartenere.
Un regno che si costruisce nella carne viva della differenza
e dell’amore condiviso.
Mentre guariva chi aveva bisogno -non solo da malattie fisiche,
ma dalle ferite profonde lasciate dal rifiuto e dallo stigma-
il giorno cominciava a finire.
Allora i discepoli gli dissero:
“Mandali via, non c’è spazio qui per tutta questa gente.
Che vadano altrove a cercare cibo e rifugio.
Questo è un luogo deserto.”
Era il linguaggio del mondo: escludere per paura della scarsità.
Ma Gesù rispose con fermezza:
“Date voi da mangiare a loro.”
I discepoli si giustificarono:
“Abbiamo solo cinque pani e due pesci.
È troppo poco per tutta questa moltitudine.”
E in quella risposta c’era la logica dell’insufficienza,
la stessa che dice:
“non siamo abbastanza”, “non c’è posto per tuttə”.
Gesù invece non accettò la narrazione della mancanza.
Disse ai discepoli di far sedere tuttə, in piccoli gruppi,
non secondo gerarchie,
ma in modo equo, orizzontale.
Tutte le identità avevano un posto. Nessun corpo veniva escluso.
Nessun nome era cancellato.
Poi prese quel poco che avevano, alzò lo sguardo verso il cielo
-il cielo che appartiene a chiunque-
e benedisse i pani e i pesci.
Li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero.
Il gesto del pane spezzato non era un atto di potere,
ma di condivisione, di fiducia:
una comunità che si nutre insieme è una comunità
che si libera insieme.
Tutte e tutti mangiarono. Non solo a sufficienza: a sazietà.
E rimasero dodici ceste di avanzi.
Non scarti, ma segni: la prova che l’amore condiviso
genera abbondanza,
che la cura non solo basta, ma moltiplica,
che nessun’identità è troppo piccola per nutrire una moltitudine.
Salmo Pop
RispondiEliminaBenedetto il poco che basta.
Beato sei Tu, Dio che non manda via nessuno,
Tu che non hai paura delle folle,
né delle identità complicate,
né delle mani vuote.
Quando il mondo dice:
“Non c’è spazio, non c’è tempo, non c’è abbastanza”,
Tu rispondi:
“Siediti. C’è un posto anche per te.”
Hai spezzato il pane come si spezza la norma,
Hai moltiplicato l’amore come si moltiplica il coraggio
quando qualcuno finalmente viene visto,
non per quello che dovrebbe essere,
ma per ciò che è.
Tu non chiedi uniformità,
ma comunione nella differenza.
Non pretendi perfezione,
ma disponibilità a condividere anche il poco che abbiamo.
Ci avevano insegnato che non eravamo abbastanza.
Che cinque pani e due pesci non bastavano.
Che le nostre vite erano “minoranza”,
i nostri corpi “problema”,
i nostri amori “errore”.
E invece, Signore,
Tu ci hai mostrato che proprio da quel poco
nasce l’abbondanza che libera.
Hai trasformato la scarsità in festa,
la fame in giustizia,
la marginalità in miracolo.
Perché il Tuo Regno non è altrove:
è in ogni tavola dove si condivide
senza chiedere i documenti dell’anima,
è in ogni cerchio che si allarga per fare spazio,
è in ogni pezzo di pane spezzato
con mani che tremano
—ma non si tirano mai indietro.
Sia benedetto e glorificato sempre
e in eterno il tuo nome Signore.
Amen, Amen, Amen. Alleluia!