Vicina è la PAROLA
18 MAGGIO 2025
V Domenica di Pasqua/C
Atti 14,21b-27 / Salmo 144
Apocalisse 21,1-5a
Giovanni 13,31…35
“amati amiamo e amando
meritiamo di essere ancora amati” Bernardo di Clairvaux
Basta la parola amore a farci luccicare gli occhi, dimenticando che si manifesta come un sentimento quell’energia che sta alla sorgente della nostra esistenza e della nostra identità; che a volte ha contorni drammatici, violenti… che conosce anche il tradimento.
Non dovrebbe stupirci quindi che l’evangelista Giovanni narri il tradimento di Giuda accogliendolo nel rapporto stesso che Gesù ha con il Padre, nella manifestazione d’amore che gli riserva-e che Lui stesso ricambia verso i “suoi” (cf 13,1.31).
Contestualizzazione evangelica di Giovanni 13
I capitoli 13 – 17 del suo racconto evangelico contengono quelli che sono definiti “i discorsi dell’addio” di Gesù ai suoi discepoli nella cena pasquale: la loro lunghezza e complessità tematica pongono diversi problemi di interpretazione. [Ci sono analogie nella Bibbia con questo genere di “discorsi testamentari” tenuti ai familiari o agli amici, prima della morte, “facendo le consegne” non solo della propria esistenza, ma anche dando gli “ultimi insegnamenti” (cf Genesi 49; Deuteronomio 33,1-29; Atti 20,17-38); non ci sono però paralleli sinottici che contengano questi insegnamenti così “intimi” nel suo ministero e nel contesto della cena pasquale].
Il capitolo 13 inizia con quanto Gesù aveva già annunciato riguardo alla sua “ora” (cf 2,4; 12,23) in cui Egli avrebbe manifestato la “gloria” del Padre, come sua “amorosa presenza”, nella stessa “glorificazione” che inizia già dall’innalzamento sulla croce (cf 12,27-32). È il momento in cui si compie il suo destino messianico “nell’attestazione di un amore senza limiti” (cf 13,1) (R. Chiarazzo).
“Ora” è possibile “vedere” la realtà profonda e significativa, la potenza del suo amore, contenuta nei “segni” e nelle “opere” compiute da Gesù, narrate nella prima parte del racconto [“libro dei segni”] che si conclude in 12,43 di cui i vv. 44-50 costituiscono una specie di proclamazione sintetica: “così finisce il giorno e la luce entra nelle tenebre” (cf 11,8-10) (S. Fausti).
Può sembrare che Gesù riservi “il suo amore” ai “suoi” (cf vv. 34-35; 15,12.17) quasi restringendo la prospettiva universale del “regno” nei sinottici, ma probabilmente le difficoltà interne ed esterne alla comunità dei credenti hanno indotto Giovanni a focalizzare il messaggio in questa direzione affinché esso sia decisamente ispirato dalle memorie e dalle riflessioni sulle “parole di Gesù” che qui trovano eco e accoglienza per dare vigore e fiducia al proprio cammino. Sono le parole del “Cristo esaltato alla gloria che consola la comunità oppressa, attraverso il suo Spirito” (Josef Ernst). Di Lui vuole che rimanga questo comandamento: “Amatevi come io ho amato voi” (v. 34).
Contestualizzazione liturgica
Anche noi oggi, nelle domeniche e settimane dopo Pasqua, ascoltiamo la proclamazione questi “discorsi” che sono diventate anche grandi catechesi “mistagogiche” per darci una piena consapevolezza del mistero pasquale celebrato e dei sacramenti ricevuti: “forma e figura di Cristo in noi è l’amore” (Cirillo d’Alessandria).
Oggi ci viene annunciato il Risorto che, con il suo amore, è fonte di Vita incorruttibile che possiamo sperimentare nell’amore reciproco tra noi in Lui. Egli, infatti, comunica anche a noi la stessa energia che l’ha mosso e motivato in tutta la sua esistenza umana fino al dono di se stesso nella sua morte in croce, l’amore / agape: ora ci rende capaci di viverlo a nostra volta, passando con Lui dalla morte alla vita.
“La proclamazione del vangelo di Giovanni, alcuni passi del quale sono tanto commoventi, ci conferma nella realtà di ciò che siamo, perché le parole di Gesù, rivolte un giorno ai discepoli oggi si rivolgono a noi” (A. Nocent) che abbiamo la necessità di sostenere e motivare la nostra fede, soprattutto di fronte alle sfide contemporanee, oltre che alle normali “prove” della nostra esistenza umana. Come possiamo farlo senza immergerci nella luce della parola evangelica?!
È sorprendente come la liturgia di questo “tempo” ci riporti nel contesto implicito di composizione di quei testi nati appunto dall’esperienza di fede post-pasquale dei discepoli e delle prime comunità, nella cui prospettiva essi rileggono le parole stesse di Gesù e i suoi gesti (B. Maggioni, S. Panimolle, H. V. den Bussche).
Il contesto della cena pasquale, oltre ad essere molto suggestivo, ci induce così a considerare il gesto di lavare i piedi dei discepoli da parte di Gesù (cf 13,1-20), oltre che un gesto esemplare, un’ermeneutica e un’indicazione di prassi fraterna e comunitaria per noi (Giovanni infatti sostituisce con esso la tradizione eucaristica cf 1Corinzi 11,23-24), ci viene presentato come concentrato di tutto il ministero filiale e fraterno di Gesù (cf Luca 22,27), profezia degli “avvenimenti futuri”, riferimento dei successivi discorsi (cf capitolo 16).
Anche l’attività apostolica narrata e testimoniata dagli Atti è segnata dalla stessa consapevolezza che “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio” [I lettura].
L’esperienza della Pasqua illumina così la visione del compimento futuro della storia e di ogni vicenda umana; la fine di ogni lutto, affanno, lamento, peccato e morte nella certezza che l’amore “fa nuove tutte le cose” [Apocalisse – II lettura].
L’amore manifestato dal Nazareno ci pone difronte all’altro non come a un limite ma “un’occasione di amore, di accoglienza e non di rigetto, di riconoscimento e non di negazione, di ospitalità e non di ostilità” (Comunità di Bose). Esso diventa un comandamento, non un ordine o un’ingiunzione, ma piuttosto un modo di camminare insieme [mandatum in latino e con un riferimento insolito: cum andare], così ciò che è intra-personale diventa relazionale e comunitario, ciò che reciprocamente unisce diviene forza di evangelizzazione.
Preghiamo con la Liturgia
O Padre,
che tutto rinnovi nel tuo Figlio glorificato,
fa’ che mettiamo in pratica il suo comandamento nuovo
e così, amandoci gli uni gli altri,
ci manifestiamo al mondo
come suoi veri discepoli.
Amen.
Il cuore del vangelo di oggi è l'Amore. Amore è una parola semplice a dire non tanto semplice da applicare. A volte, nel cuore giudichiamo chi ci è accanto, invece Gesù dice: Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati. Cioè donando tutto noi stessi. María ci e' d'esempio, chiediamo il suo aiuto per noi e per Sua Santità Papa Leone XIV che oggi inizia il suo cammino di guida e pastore di tutti. Santa giornata
RispondiEliminaChe cosa vuol dire allora amare? Gesù lo suggerisce
RispondiEliminacon un’aggiunta: amatevi come io ho amato voi.
La novità non è dunque nel verbo ma nell’avverbio:
come io ho amato voi. Il verbo utilizzato non è un futuro:
Gesù non parla della croce che pure già si staglia sul suo cammino, parla di fatti appena vissuti. Parla del suo inginocchiarsi
davanti ad ogni discepolo per lavare i loro piedi; parla dell’offerta del suo corpo e del suo sangue a tutti, persino a Giuda
che dopo essersene cibato è uscito, sprofondando nella notte. L’amore di Gesù non è un sentimento: è la decisione di abbracciare l’altro, di vedere in lei o lui l’immagine e somiglianza di Dio
che è chiamato a diventare. È l’amore che trasforma la vita
perché guarda con occhi diversi; è l’amore che proietta nel futuro perché dona sempre una possibilità nuova.
Chiediamoci: come siamo consapevoli dell’amore di Cristo per noi? Come lo esprimiamo in gesti concreti e quotidiani?
Signore Gesù rendici umili per amare tutto quello che il Padre ci fa incontrare sulla nostra strada in modo incondizionato. Antonietta
RispondiElimina