giovedì 31 ottobre 2024

Vicina è la Parola 3 novembre 2024 – XXXI Domenica/B L’Amore basta alla vita

Vicina è la Parola
3 novembre 2024 – XXXI Domenica/B

Deuteronomio 6,2-6 / Salmo 17
Ebrei 7,23-28
Marco 12,28-34
L’Amore basta alla vita
Contestualizzazione evangelica di Marco 12,28-34
Il cammino dell’Amore
Seguito dal cieco che ora ci vede “di nuovo”, dopo essere riemerso dalle “viscere” della terra [Gerico circa -250 m s.l.m.], Gesù fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme [+754 m s.l.m.] (cf Marco 11,1-11).
Sarà una settimana molto intensa di insegnamenti e di scontri con le autorità religiose e politiche che metteranno in discussione l’autorevolezza del Nazareno nel suo operare messianico dimostrando così la loro cecità -“non lo sappiamo”- e la loro sterilità dovuta all’incredulità, ben rappresentata dalla “parabola del fico” (cf vv. 12-33).
Il culmine dello scontro avviene quando un’altra drammatica e cruenta parabola li riguarda direttamente: il figlio ucciso dai vignaioli omicidi (cf 12,1-12). In essa Gesù dà anche il significato più profondo e autentico del proprio rifiuto e dello scarto, come evento nel quale il Padre può finalmente e definitivamente operare a favore dell’umanità.
La calma che segue sarà solo apparente poiché farisei, erodiani, sadducei e scribi si faranno avanti per dirimere questioni riguardanti il tributo da pagare all’imperatore romano (cf vv. 13-17), la risurrezione dei morti (cf vv. 18-28), il comandamento principale della Toràh (cf 12, 28-34).
Non si tratta semplicemente di dispute dottrinali, ma contengono in sé elementi che riguardano direttamente Gesù, il suo destino messianico, la sequela dei suoi discepoli, la folla che ammirata lo ascolta volentieri, la nostra fede in Lui.
Nel suo consegnarsi Egli riporta così tutto al Padre, Dio della vita, e rivela il principio “primo” che muove anzitutto il suo essere e il suo agire: l’amore.
Tutto quello che Egli come Figlio (cf vv. 35-37) finora ha operato e insegnato, anche apparentemente contro la Toràh, in realtà ne compie il senso e il significato: amare!
Ciò che non riescono più a fare gli scribi, lo compirà la vedova che “nella sua miseria… ha gettato tutto quello che aveva per vivere” (cf vv. 38-44), vera immagine di Colui che dona/espone la sua vita per noi e per tutta l’umanità in un amore incommensurabile.
Mentre la mentalità legalista cerca una graduatoria di doveri, la logica divina è quella dell’amore che compie ogni norma, è “il senso di tutte le scelte, di qualsiasi responsabilità che ci investe, di ogni compito che assumiamo nell’esistenza… infatti giudica e relativizza ogni scelta umana dichiarandola incompiuta e contemporaneamente gravida di eternità” (CMdV).
La risposta di Gesù sta nel consegnare la propria esistenza di Figlio che manifesta la prossimità a noi del regno di Dio, attuando Egli stesso il “comandamento più grande” nell’amare il Padre con tutto sé stesso e noi come sé stesso.
Così Egli annuncia la speranza che la propria esistenza, e di tutti quelli che di umana non ne hanno più come la vedova [miseria], porta a compimento la storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo; nulla nell’umanità andrà più a vuoto, infatti sulla croce dirà: è compiuto.
Ambientazione liturgica
Quante volte anche da noi è andato fallito l’invito, “ascolta!”, da parte del Signore al suo popolo di osservare e di praticare, gravido di una promessa di felicità! [Deuteronomio 6 – I lettura].
Eppure niente di più bramiamo che questa, svincolati da ogni imposizione, convinti che essa stia proprio nella libertà di fare e non di essere [Salmo 17]. 
Chi ci salverà da questo radicale e drammatico fraintendimento? Solo Colui che ha offerto sé stesso una volta per tutte [èpafax] [Ebrei 7 – II lettura].
Questa Parola attua ciò che dice, ma nella nostra fiducia che sia possibile anche per noi far prevale l’amore con tutta la sua forza (cf 1Corinzi 2,4).
Non sperimentiamo ancora volta nei fragili segni del pane e del vino quest’amore che li trasforma in sorgente di vita?!
Preghiamo con la Parola
Padre,
tu sei il nostro unico Dio e Signore
fa’ che ti ascoltiamo,
perché i cuori, i sensi e le menti
si aprano alla logica dell'amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, 
tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, 
nell'unità dello Spirito santo,
nel tempo e nell’eternità.
Amen.


venerdì 25 ottobre 2024

Vicina è la Parola 27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B Una Luce che fa rinascere

Vicina è la Parola
27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B
Geremia 31,7-9 / Salmo 125
Ebrei 5,1-6
Marco 10,46-52
Una Luce che fa rinascere
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,46-52
Chi segue me avrà la Luce della Vita
Alcuni anfratti di noi stessi rimangono irraggiungibili tanto sono nascosti e oscuri, così bui che da lì in fondo non si vede nulla, nemmeno un raggio di luce penetra; e per di più non si è visti da nessuno.
Cecità assoluta!
Il cammino di Gesù tocca ora il suo punto più profondo, più in basso… fino a Gerico, la città ritenuta più antica a -276 m s.l.m. nella depressione del Mar Morto, quasi a voler raggiungere le viscere della terra, a voler incontrare “gli ultimi”, quelli più infimi (cf vv. 46-47).
È il regno di Dio che raggiunge davvero tutti e soprattutto coloro che rimangono ai margini della società per i loro limiti fisici, le loro incapacità a vedere con gli occhi e con la mente, avvolti da tenebre che impediscono di guardare la realtà e di riconoscere gli altri e di essere da loro notati, ma non di essere ascoltati -nel loro grido di aiuto- da Colui che a loro si fa vicino e presente (cf v. 48).
All’inizio pare solo una manifestazione della propria povertà ma, nell’incontro con Colui che porta luce e che è Egli stesso Luce, diventa un dialogo da cui nasce un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con la vita.
Dal buio della cecità al seguire colui che è la Luce del mondo (cf Giovanni 8,12).
Solo calandosi nelle tenebre più profonde il Signore ci fa riemerge e “venire alla luce”, rinascere (cf Gv 3,7.20).
Cosa vuoi che io faccia per te?
La stessa domanda che Gesù aveva fatto ai figli di Zebedeo si ripete qui, con risposte totalmente diverse (cf Mc 10,36). (Daniele Spatafora)
Tutto inizia con una chiamata che incoraggia: è il riconoscimento della propria identità, l’emergere dalla invisibilità a cui gli altri lo avevano condannato (cf v. 49).
E la risposta, più nei gesti che nelle parole, manifesta questa volontà e la sua libertà: “gettò via il suo mantello [riparo], balzò in piedi [risorge] e venne da Gesù [sequela]” (v. 50).
“La chiama di Dio è sorprendente… è un Dio sorprendente. Ci sorprende quando non siamo preparati… non è riconducibile ad un’edizione tascabile, ad un manuale.
Dio resiste ad essere addomesticato.
La fede non è un’opzione che si fa una volta per sempre; non è che, un giorno, noi decidiamo di diventare credenti. 
È un’opzione di ogni giorno di fronte a Dio che ci sorprende.
Egli giunge da una porta che non ci aspettavamo”. (J. Gonzales Ruiz)
Una domanda fa esprimere il bisogno, per altro abbastanza evidente a tutti che farebbe dire retorica la richiesta, ma nota soprattutto il desiderio autentico di potersi rialzare in piedi, di andare verso… la luce (cf v. 51, Gv 3,21).
Il chiedere di Gesù come per avere “il permesso” di agire, denota il suo rispetto e piuttosto l’appello alla libertà di volere. Per questo la guarigione dalla cecità è per il cieco una nuova chiama alla Vita, un processo di rinascita e di rigenerazione (c’è qui anche una traccia catecumenale nel racconto di Marco come in quello di Giovanni nel dialogo notturno con Nicodemo del capitolo 3).
Anche per i discepoli sempre perplessi, e anche per noi credenti sempre principianti (qui spettatori o protagonisti con Bartimèo), è una guarigione che ci chiarisce il modo di essere nella sequela di Gesù: come possiamo seguirlo ed entrare nel rischioso cammino del regno? (cf Gv 3,3); come è possibile? (cf Mc 10,23-27): possiamo in Chi ci fa rinascere! (cf v. 52).
Ambientazione liturgica
Per noi che ci raduniamo in Assemblea liturgica, la chiamata è risuonata inspiegabilmente già secoli prima per le parole di Geremia [31,7-9 – I lettura] ad un folto gruppo di deportati in Babilonia, menomati che tornano in patria, quelli che partiti in pianto adesso tornano con gioia [Salmo 125/6].
Non è solo la ricostruzione di una nazione, ma una rinascita interiore che riguarda tutti coloro che vanno liberati e anelano alla libertà, ad un rapporto di protezione, di cura filiale e paterno.
Con “il mandato finale”, il nostro metterci in cammino è parte dell’andare di ogni essere umano, di un flusso che accompagna la storia dell’umanità, un processo di rinascita: andare insieme verso la luce… Questo ci chiama a muoverci, alzarci, andare verso, convergere per la celebrazione e poi andare. Non sono atti banali, nella loro consuetudine rituale dicono la risposta ad una chiamata, la libertà di aderire, la volontà di dare una risposta.
È andare e convenire per ascoltare una Parola per noi che ci disseta, per entrare in un dialogo vitale con Colui che “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nel buio della non conoscenza e dell’errore, essendo anche Lui rivestito di debolezza” [Ebrei 5,2 – II lettura].
Nessuna “appropriazione”, ma piuttosto una totale espropriazione nel donare interamente se stesso, corpo e sangue da autentico sacerdote (cf v. 5) ancora oggi, per noi oggi e per tutti, nella mensa eucaristica.
Preghiamo con la Parola
Padre,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote compassionevole
verso i poveri e gli afflitti,
ascolta il grido cieco della nostra preghiera
e fa' che tutti possano vedere in Lui
il dono della tua misericordia.
Egli, servo e Signore nostro,
che vivere e regna con te
e in mezzo a noi
nel tempo e nell’eternità. Amen.










sabato 19 ottobre 2024

Vicina è la Parola 20 ottobre 2024 – XXIX Domenica/B Essere primi… nel servire!

Vicina è la Parola
20 ottobre 2024 – XXIX Domenica/B

Isaia 53,2.3.10-11 / Salmo 32
Ebrei 4,14-16
Marco 10,35-45
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,35-45
Abbiamo notato i discepoli sconcertati dalle parole che Gesù ha rivolto all’uomo “ricco”, demolendo così l’assioma giudaico “ricchezza = benedizione di Dio”, e quindi ancor più smarriti nel tentativo di mettersi al sicuro parandosi dietro alla loro scelta di aver lasciato tutto nell’averlo seguito (cf 10,24.26.28; 1,18.20).
Anzi, Egli li pone dinanzi alla possibilità che, pur essendo primi da Lui chiamati, possano ritrovarsi ultimi (cf v. 31).
Ora sono ancora più stupiti perché il Maestro, che stanno seguendo consapevoli o meno, volentieri o no nel suo cammino verso Gerusalemme, non indietreggia davanti al suo tragico destino di sofferenza e morte -vergognose e così crudamente descritte- anzi gli va incontro; è proprio questo che li terrorizza (cf vv. 32-34).
Ma il colmo è la loro totale incoscienza, che si manifesterà come cecità (cf vv. 46-52), nel chiedergli un posto di prestigio in un momento del genere, ponendosi completamente fuori dalla realtà e dalla volontà di Dio che invece Gesù vuole assumere come sua facendone il suo stile di vita (cf vv. 35-37 v. 40).
Tuttavia il Nazareno non si perde d’animo e con pazienza li riconduce all’interno di una visione capovolta del “potere divino” e quindi anche di rappresentarlo ed amministrarlo (cf vv. 41-44).

Essere primi… nel servire!
E servire non è né un atto né un atteggiamento servile, nell’evangelo di Gesù corrisponde a “dare la vita in riscatto per molti” come farà Lui stesso (v. 45).




Ambientazione liturgica

“Inesorabile – e volutamente sottolineata dall’evangelista Marco – l’incomprensione dei discepoli accompagna Gesù fino alle tappe ultime del suo cammino verso Gerusalemme: Egli cresce sulla nostra terra, davvero come “radice in terra arida” [Isaia 53I lettura] e così morirà sulla croce, completamente abbandonato dai suoi.

Tuttavia Egli ha saputo suggere dalla nostra umanità sgretolata dall’egoismo quel filo di vita che, ignorata, per pura grazia essa conservava.

Radice senza apparenza di vitalità, nel buio di un terreno incapace di accoglierla, proteggerla, custodirla, seme in ambiente infido (cf la parabola di Marco 4) Egli ha saputo evocare dalla nostra umanità una creazione nuova, un albero frondoso e carico di vita: il regno di Dio in mezzo a noi.

È questo l’inizio e l’effetto di quella annunciata risurrezione che rivelerà ciò che è rimasto nascosto per decenni a Nazareth e anonimamente per millenni, ma che già si preparava in un tracciato di macerazione, sempre e fedelmente sentiero di speranza”. (CMdV)

Per questo dimostra ostinata fiducia che i suoi capiscano, oltre ogni loro incomprensione e strumentalizzazione, che l’amore del Padre non verrà meno.

Nella nostra dinamica eucaristica, Parola “seminata nel terreno del nostro cuore” e Pane assimilato come cibo, tale nascosto flusso di Vita si innesta nella nostra umanità e mentre continua a succhiare dalla nostra terra di morte umori vitali sconosciuti, “giustifica le nostre ingiustizie, addossandosi le nostre iniquità, assumendo tutto in sé” comunicandosi a noi come Vita incorruttibile. [Ebrei 4,14-16 – II lettura]

Così riscatta quell’alito vitale originario facendone in se stesso emergere la grazia nascosta e inespressa in un’alba senza tramonto.


Preghiamo con la Parola

Padre, 

Signore della pace e del perdono,

che hai inviato il tuo Figlio nel mondo

per dare la sua vita in riscatto per tutti,

concedi alla tua Chiesa di servire l'umanità intera

a immagine di Cristo, servo e Signore nostro

che vive regna con te

e in mezzo a noi

nel tempo e nell’eternità.

Amen.


venerdì 11 ottobre 2024

Vicina è la Parola 13 ottobre 2024 – XXVIII Domenica/B Sapienza 7,7-11 / Salmo 89 Ebrei 4,12-13 Marco 10,17-30 Contestualizzazione evangelica di Marco 10,17-30 Uno sguardo che ama e che interpella

Vicina è la Parola
13 ottobre 2024 – XXVIII Domenica/B



Sapienza 7,7-11 / Salmo 89
Ebrei 4,12-13
Marco 10,17-30
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,17-30
Uno sguardo che ama e che interpella


   

Lo sguardo di Gesù, che molte volte ha cercato tra la folla l’esattore delle tasse per chiamarlo a vita nuova (Marco 2,14), i farisei per denunciarne l’ipocrisia e la durezza di cuore (3,5), i discepoli stessi per proclamarli a sé consanguinei secondo la vita nello Spirito (3,34), la donna per annunziarle la guarigione (5,32), la folla per averne compassione (6,34), questo sguardo scrutatore e creativo cerca ora il giovane assetato di vita per amarlo (10,17-30).

Amare per Gesù è dare la propria vita, vuol dire partecipare e condividere con altri l’amore del Padre, introdurre nella propria esistenza di Figlio obbediente, per primo amato, il Regno di Dio.

È l’offerta di un’esistenza piena, totale.

Troppo pervasivo?

È un coinvolgimento che l’essere umano spesso non tollera, che le molte ricchezze di quel giovane impediscono poiché, entrare nel regno, è abbandonarsi all’amore del Padre e richiede di svuotarsi del possesso della propria esistenza -come bambini- per avere una pienezza di vita eterna. 

Il suo è appello ad una povertà radicale, ad aprire le mani ai poveri, camminando dietro Lui, il Figlio Servo - Figlio dell’uomo che deve soffrire persecuzioni esterne e ancor più pressanti, interiori.

Non è solo inaccessibile per il ricco, ma per l’essere umano in quanto tale, entrare nel regno; esigente perché costituito da un amore radicale e totale, viscerale / misericordioso.

“Nuova tristezza dunque è venuta ad aggiungere Costui alla nostra esistenza già triste: un sogno irrealizzabile?

Amarezza per un’esclusione: Non fa per me!?

Di nuovo Gesù guarda i discepoli sbigottiti, come ogni persona tremante di fronte al dono di Dio, uno sguardo preannunzio di una parola creatrice, di un evangelo senza pentimenti che è liberazione completa dalle nostre incapacità umane: tutto è possibile presso Dio.

Questa potenza di Dio è così per noi assoluta libertà che si comunica e forma l’ambiente vitale adatto al nostro cammino di fiducia in Lui” (Comunità monastica di Viboldone).


Ambientazione liturgica

Una povertà che libera

La nostra Assemblea liturgica è orante nel chiedere e sperare di ricevere ciò che è per noi veramente essenziale, consapevoli dell’insufficienza ed inefficacia dei nostri mezzi umani?

Allora è proprio nel nostro corpo che si dona il corpo consegnato del Figlio, povero e nudo, e noi così lo riceviamo come parola, germe di pienezza eterna, e come pane di vita inarginabile. Nella nostra nudità, nelle nostre mani aperte per riceverlo e accoglierlo che poi non possono più chiudersi alla povertà altrui [Ebrei 4 – II lettura].

“Un nulla radicale raggiunto per pura grazia… su cui il presente si popola di infinite promesse, di realtà già tangibili, umanissime, rapporti nuovi, sigillati dalla fedeltà dell’amore di Dio, dal segno di una vita che non muore più” [Sapienza 7 – I lettura].

Maria è colei che in modo unico ha fatto questa esperienza nel suo stesso corpo, dalle sue mani al suo grembo accogliente, “vergine”. Prima di lei Abramo e il popolo in tutte le tappe della sua storia, liberato e nuovamente spogliato da ogni pretesa e possesso di ricchezza, fosse anche la sua terra, eppure gratificato dolcemente e gioiosamente saziato dall’amore del suo Signore [Salmo 89].


Preghiamo con la Parola

Padre,

che conosci i sentimenti

e i pensieri del cuore umano,

donaci di amare sopra ogni cosa

Gesù Cristo, tuo Figlio,

perché, valutando con sapienza i beni terreni,

diventiamo liberi e poveri per il tuo regno.

Egli vive e regna con te

e in mezzo a noi

ora e nell’eternità.

Amen.

Vicina è La PAROLA 30 Marzo 2025 IV Quaresima/c Ritornare a casa

Vicina è La PAROLA 30 Marzo 2025 IV Quaresima/c Giosuè 5,9a.10-12 / Salmo 33 Luca 15,1-3.11-32 2Corinzi 5,17-21 Ritornare a casa Se non è f...