Vicina è la Parola
27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B
Geremia 31,7-9 / Salmo 125
Ebrei 5,1-6
Marco 10,46-52
Una Luce che fa rinascere
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,46-52
Chi segue me avrà la Luce della Vita
Alcuni anfratti di noi stessi rimangono irraggiungibili tanto sono nascosti e oscuri, così bui che da lì in fondo non si vede nulla, nemmeno un raggio di luce penetra; e per di più non si è visti da nessuno.
Cecità assoluta!
Il cammino di Gesù tocca ora il suo punto più profondo, più in basso… fino a Gerico, la città ritenuta più antica a -276 m s.l.m. nella depressione del Mar Morto, quasi a voler raggiungere le viscere della terra, a voler incontrare “gli ultimi”, quelli più infimi (cf vv. 46-47).
È il regno di Dio che raggiunge davvero tutti e soprattutto coloro che rimangono ai margini della società per i loro limiti fisici, le loro incapacità a vedere con gli occhi e con la mente, avvolti da tenebre che impediscono di guardare la realtà e di riconoscere gli altri e di essere da loro notati, ma non di essere ascoltati -nel loro grido di aiuto- da Colui che a loro si fa vicino e presente (cf v. 48).
All’inizio pare solo una manifestazione della propria povertà ma, nell’incontro con Colui che porta luce e che è Egli stesso Luce, diventa un dialogo da cui nasce un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con la vita.
Dal buio della cecità al seguire colui che è la Luce del mondo (cf Giovanni 8,12).
Solo calandosi nelle tenebre più profonde il Signore ci fa riemerge e “venire alla luce”, rinascere (cf Gv 3,7.20).
Cosa vuoi che io faccia per te?
La stessa domanda che Gesù aveva fatto ai figli di Zebedeo si ripete qui, con risposte totalmente diverse (cf Mc 10,36). (Daniele Spatafora)
Tutto inizia con una chiamata che incoraggia: è il riconoscimento della propria identità, l’emergere dalla invisibilità a cui gli altri lo avevano condannato (cf v. 49).
E la risposta, più nei gesti che nelle parole, manifesta questa volontà e la sua libertà: “gettò via il suo mantello [riparo], balzò in piedi [risorge] e venne da Gesù [sequela]” (v. 50).
“La chiama di Dio è sorprendente… è un Dio sorprendente. Ci sorprende quando non siamo preparati… non è riconducibile ad un’edizione tascabile, ad un manuale.
Dio resiste ad essere addomesticato.
La fede non è un’opzione che si fa una volta per sempre; non è che, un giorno, noi decidiamo di diventare credenti.
È un’opzione di ogni giorno di fronte a Dio che ci sorprende.
Egli giunge da una porta che non ci aspettavamo”. (J. Gonzales Ruiz)
Una domanda fa esprimere il bisogno, per altro abbastanza evidente a tutti che farebbe dire retorica la richiesta, ma nota soprattutto il desiderio autentico di potersi rialzare in piedi, di andare verso… la luce (cf v. 51, Gv 3,21).
Il chiedere di Gesù come per avere “il permesso” di agire, denota il suo rispetto e piuttosto l’appello alla libertà di volere. Per questo la guarigione dalla cecità è per il cieco una nuova chiama alla Vita, un processo di rinascita e di rigenerazione (c’è qui anche una traccia catecumenale nel racconto di Marco come in quello di Giovanni nel dialogo notturno con Nicodemo del capitolo 3).
Anche per i discepoli sempre perplessi, e anche per noi credenti sempre principianti (qui spettatori o protagonisti con Bartimèo), è una guarigione che ci chiarisce il modo di essere nella sequela di Gesù: come possiamo seguirlo ed entrare nel rischioso cammino del regno? (cf Gv 3,3); come è possibile? (cf Mc 10,23-27): possiamo in Chi ci fa rinascere! (cf v. 52).
Ambientazione liturgica
Per noi che ci raduniamo in Assemblea liturgica, la chiamata è risuonata inspiegabilmente già secoli prima per le parole di Geremia [31,7-9 – I lettura] ad un folto gruppo di deportati in Babilonia, menomati che tornano in patria, quelli che partiti in pianto adesso tornano con gioia [Salmo 125/6].
Non è solo la ricostruzione di una nazione, ma una rinascita interiore che riguarda tutti coloro che vanno liberati e anelano alla libertà, ad un rapporto di protezione, di cura filiale e paterno.
Con “il mandato finale”, il nostro metterci in cammino è parte dell’andare di ogni essere umano, di un flusso che accompagna la storia dell’umanità, un processo di rinascita: andare insieme verso la luce… Questo ci chiama a muoverci, alzarci, andare verso, convergere per la celebrazione e poi andare. Non sono atti banali, nella loro consuetudine rituale dicono la risposta ad una chiamata, la libertà di aderire, la volontà di dare una risposta.
È andare e convenire per ascoltare una Parola per noi che ci disseta, per entrare in un dialogo vitale con Colui che “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nel buio della non conoscenza e dell’errore, essendo anche Lui rivestito di debolezza” [Ebrei 5,2 – II lettura].
Nessuna “appropriazione”, ma piuttosto una totale espropriazione nel donare interamente se stesso, corpo e sangue da autentico sacerdote (cf v. 5) ancora oggi, per noi oggi e per tutti, nella mensa eucaristica.
Preghiamo con la Parola
Padre,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote compassionevole
verso i poveri e gli afflitti,
ascolta il grido cieco della nostra preghiera
e fa' che tutti possano vedere in Lui
il dono della tua misericordia.
Egli, servo e Signore nostro,
che vivere e regna con te
e in mezzo a noi
nel tempo e nell’eternità. Amen.
27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B
Geremia 31,7-9 / Salmo 125
Ebrei 5,1-6
Marco 10,46-52
Una Luce che fa rinascere
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,46-52
Chi segue me avrà la Luce della Vita
Alcuni anfratti di noi stessi rimangono irraggiungibili tanto sono nascosti e oscuri, così bui che da lì in fondo non si vede nulla, nemmeno un raggio di luce penetra; e per di più non si è visti da nessuno.
Cecità assoluta!
Il cammino di Gesù tocca ora il suo punto più profondo, più in basso… fino a Gerico, la città ritenuta più antica a -276 m s.l.m. nella depressione del Mar Morto, quasi a voler raggiungere le viscere della terra, a voler incontrare “gli ultimi”, quelli più infimi (cf vv. 46-47).
È il regno di Dio che raggiunge davvero tutti e soprattutto coloro che rimangono ai margini della società per i loro limiti fisici, le loro incapacità a vedere con gli occhi e con la mente, avvolti da tenebre che impediscono di guardare la realtà e di riconoscere gli altri e di essere da loro notati, ma non di essere ascoltati -nel loro grido di aiuto- da Colui che a loro si fa vicino e presente (cf v. 48).
All’inizio pare solo una manifestazione della propria povertà ma, nell’incontro con Colui che porta luce e che è Egli stesso Luce, diventa un dialogo da cui nasce un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con la vita.
Dal buio della cecità al seguire colui che è la Luce del mondo (cf Giovanni 8,12).
Solo calandosi nelle tenebre più profonde il Signore ci fa riemerge e “venire alla luce”, rinascere (cf Gv 3,7.20).
Cosa vuoi che io faccia per te?
La stessa domanda che Gesù aveva fatto ai figli di Zebedeo si ripete qui, con risposte totalmente diverse (cf Mc 10,36). (Daniele Spatafora)
Tutto inizia con una chiamata che incoraggia: è il riconoscimento della propria identità, l’emergere dalla invisibilità a cui gli altri lo avevano condannato (cf v. 49).
E la risposta, più nei gesti che nelle parole, manifesta questa volontà e la sua libertà: “gettò via il suo mantello [riparo], balzò in piedi [risorge] e venne da Gesù [sequela]” (v. 50).
“La chiama di Dio è sorprendente… è un Dio sorprendente. Ci sorprende quando non siamo preparati… non è riconducibile ad un’edizione tascabile, ad un manuale.
Dio resiste ad essere addomesticato.
La fede non è un’opzione che si fa una volta per sempre; non è che, un giorno, noi decidiamo di diventare credenti.
È un’opzione di ogni giorno di fronte a Dio che ci sorprende.
Egli giunge da una porta che non ci aspettavamo”. (J. Gonzales Ruiz)
Una domanda fa esprimere il bisogno, per altro abbastanza evidente a tutti che farebbe dire retorica la richiesta, ma nota soprattutto il desiderio autentico di potersi rialzare in piedi, di andare verso… la luce (cf v. 51, Gv 3,21).
Il chiedere di Gesù come per avere “il permesso” di agire, denota il suo rispetto e piuttosto l’appello alla libertà di volere. Per questo la guarigione dalla cecità è per il cieco una nuova chiama alla Vita, un processo di rinascita e di rigenerazione (c’è qui anche una traccia catecumenale nel racconto di Marco come in quello di Giovanni nel dialogo notturno con Nicodemo del capitolo 3).
Anche per i discepoli sempre perplessi, e anche per noi credenti sempre principianti (qui spettatori o protagonisti con Bartimèo), è una guarigione che ci chiarisce il modo di essere nella sequela di Gesù: come possiamo seguirlo ed entrare nel rischioso cammino del regno? (cf Gv 3,3); come è possibile? (cf Mc 10,23-27): possiamo in Chi ci fa rinascere! (cf v. 52).
Ambientazione liturgica
Per noi che ci raduniamo in Assemblea liturgica, la chiamata è risuonata inspiegabilmente già secoli prima per le parole di Geremia [31,7-9 – I lettura] ad un folto gruppo di deportati in Babilonia, menomati che tornano in patria, quelli che partiti in pianto adesso tornano con gioia [Salmo 125/6].
Non è solo la ricostruzione di una nazione, ma una rinascita interiore che riguarda tutti coloro che vanno liberati e anelano alla libertà, ad un rapporto di protezione, di cura filiale e paterno.
Con “il mandato finale”, il nostro metterci in cammino è parte dell’andare di ogni essere umano, di un flusso che accompagna la storia dell’umanità, un processo di rinascita: andare insieme verso la luce… Questo ci chiama a muoverci, alzarci, andare verso, convergere per la celebrazione e poi andare. Non sono atti banali, nella loro consuetudine rituale dicono la risposta ad una chiamata, la libertà di aderire, la volontà di dare una risposta.
È andare e convenire per ascoltare una Parola per noi che ci disseta, per entrare in un dialogo vitale con Colui che “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nel buio della non conoscenza e dell’errore, essendo anche Lui rivestito di debolezza” [Ebrei 5,2 – II lettura].
Nessuna “appropriazione”, ma piuttosto una totale espropriazione nel donare interamente se stesso, corpo e sangue da autentico sacerdote (cf v. 5) ancora oggi, per noi oggi e per tutti, nella mensa eucaristica.
Preghiamo con la Parola
Padre,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote compassionevole
verso i poveri e gli afflitti,
ascolta il grido cieco della nostra preghiera
e fa' che tutti possano vedere in Lui
il dono della tua misericordia.
Egli, servo e Signore nostro,
che vivere e regna con te
e in mezzo a noi
nel tempo e nell’eternità. Amen.
«Che cosa vuoi che io faccia per te?».
RispondiEliminaLa stessa domanda che Gesù aveva fatto ai figli di Zebedeo si ripete qui, con risposte totalmente diverse (cf Mc 10,36). I primi, coloro che seguono Gesù da vicino, i suoi apostoli, sono quelli che avevano chiesto potere, di stare alla destra e alla sinistra di Gesù. Apparentemente hanno lasciato tutto, ma dentro le cose vanno diversamente, perché l’intenzione è quella di ottenere più di quanto avevano all'inizio.
Credono di aver già compreso il maestro, ma seguono piuttosto le idee che si sono fatti di lui. Lo seguono per la strada, anche se non sembra che vadano da nessuna parte, perché sono ancora bloccati nella loro visione ristretta. Bartimeo, invece, è consapevole della sua cecità e, sebbene sia seduto e fuori dal cammino, vuole cambiare la sua situazione. È in movimento, anche se il suo corpo non lo mostra.
Chi è, allora, il vero cieco? Bartimeo, i discepoli che cercano il potere o quella gente che vuole far tacere il cieco?
file:///C:/Users/Proprietario/Downloads/DALL'INVOCAZIONE%20ALLA%20LIBERAZIONE%20-%20XXX%20DOMENICA%20TO%20-%20ANNO%20B.pdf
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