Vicina è la Parola
15 settembre 2024 - XXIV Domenica/B
Isaia 50,5-9 / Salmo 114
Giacomo 2,11-18
Marco 8,27-33
Contestualizzazione evangelica di Marco 8,27-33
È proprio vero che non ti basta una vita per conoscere a fondo una persona.
Eppure Gesù, fin dall’inizio della sua esistenza pubblica in Galilea e poi nelle altre regioni, anche all’estero, non si è accontentato di predicare l’evangelo di Dio o di operare guarigioni prodigiose, ha sempre cercato di stabilire tra sé ed i suoi interlocutori un rapporto di reciproca conoscenza.
Ha però diffidato delle definizioni facili o ufficiali, anzi ha imposto il silenzio su questi tentativi, da chiunque provenissero… quasi un “segreto messianico” (cf Marco 1,21-28.34; 3,11-12.23; 5,6-7.41; 7,24.36; 8,26.30; 9,9).
Ma ognuno di noi ha i suoi “segreti” ed è proprio il confidarli che stabilisce il grado di amicizia tra noi, una complicità che lega poi le persone.
Marco conduce il lettore ad una conoscenza di Gesù più libera e consapevole come fu per la folla e per i discepoli o ancora in via di iniziazione come i “catecumeni” e fa da “contrappunto” alla constatazione meravigliata e stupita da parte di Gesù della difficoltà che riscontra nel capirlo e nel fidarsi di Lui (cf 4,13; 6,6; 8,17.21); nonostante Egli faccia di tutto per farsi conoscere, paradossalmente, trova più accoglienza e fiducia dagli “estranei e stranieri” (cf 7,24-37; 15,39).
C’è una “chiusura di mente e di cuore” che Gesù fa fatica a vincere, ad “aprire”: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite” (8,18 citando i profeti Geremia ed Ezechiele).
Eppure non si arrende, la sua compassione per la folla che non ha di che saziarsi, lo spinge a compiere un altro segno oltre 6,30-44 che non è accolto dai farisei e nemmeno dai discepoli (cf 8,1…21).
Dopo un sordomuto gli conducono un cieco, Egli li tratta nello stesso modo e la guarigione percorre un progressivo recupero della vista: sono “segno” della necessità e crescente capacità dei discepoli di ascoltarlo, di riconoscerlo e di attestarlo (cf 7,31-37; 8,22-26).
Ora è il momento di affrontare di petto la situazione e di mettere i discepoli di fronte alla realtà, senza più tergiversare e a costo di scontrarsi con una prospettiva non solo imprevista ma addirittura scongiurata come esprimerà Pietro a nome degli altri.
Gesù incalza i suoi con interrogativi sulla sua identità, vuole portarli ad uscire da risposte “religiosamente corrette”, li spinge ad una loro personale affermazione che arriverà se non dopo la sua morte e risurrezione (cf 8,27-30; 9,9-10).
Infatti la risposta non giunge al termine di un processo intellettuale ma esperienziale e sapienziale effetto di un amore gratuito che viene dal Padre ma che si scontrerà con il dramma sconcertante della sua immensa sofferenza e uccisione (cf 8,31-32a).
Comprensibile la reazione di Pietro, come di chiunque altro difronte a tale scenario, un po’ di tutela e addirittura di rimprovero, che nasconde un rifiuto, fino a frapporsi ad ostacolare il compimento della strategia divina abbandonando e rinnegando il proprio ruolo di discepolo che segue il maestro (cf 8,32b-33; 14,50-52).
Gesù si farà conoscere pienamente sono alla fine e paradossalmente nella tragicità della umanità e nel nascondimento della sua divinità, mentre in croce grida l’abbandono del Padre (cf 15,33-39).
Nell’OGGI della Liturgia
È sempre Isaia il profeta che interpreta meglio di tutti l’atteggiamento del “Servo del Signore” (Geremia?), nel senso messianico e di discepolato come capacità di ascolto aperto e di parola sicura, interpretare la Parola ed esserle fedele. Nel passo odierno, “terzo canto” [50,5-9a – I lettura], emerge la decisione di affrontare la sofferenza senza cercare di scansarla tutelando la propria esistenza incolume.
Proprio nella sua estrema fragilità e debolezza il credente sperimenta però una forza dovuta alla vicinanza del Signore che lo fa rimanere in un costante dialogo con Lui [Salmo 114], capace di trasformare ciò che riteniamo inutile e dannoso, che gli consente di esprimere tutta la sua potenzialità racchiusa nell’amore.
Come può infatti l’Amore irrompere diversamente, in tutta la sua energia e concretezza, dando corpo, mani e gambe alla fede?! [Giacomo 2 – II lettura].
Siamo messi fronte un’opzione: riconoscere la signoria del Signore per accettare la logica del suo amore per ogni essere umano, la sua consegna nelle mani nostre e del Padre come estrema incarnazione della sua misericordia. “Incontrovertibile confutazione di ogni schizofrenia, di ogni falsa contrapposizione di amori”. (Comunità monastica di Viboldone)
Preghiamo con la Parola
O Padre,
conforto dei poveri e dei sofferenti
e ascolti i giusti che ti invocano,
accompagna la Chiesa nell’annuncio del Vangelo
affinché creda nella croce di Gesù,
e attesti con le opere che Egli è tuo Inviato
all’umanità in attesa.
Amen.