venerdì 2 agosto 2024

Vicina è la Parola 4 agosto 2024 XVIII Domenica/B Il Figlio vi darà un cibo che rimane per la vita incorruttibile Io-Sono il pane della vita che il Padre dona.

Vicina è la Parola
4 agosto 2024
XVIII Domenica/B







Esodo 16,2-4.12-15 / Salmo 77

Efesini 4,17.20-24

Giovanni 6,24-35


Contestualizzazione evangelica

La proclamazione liturgica omette l’episodio di 6,16-21 (già letto da Marco 4,35-41 nella domenica XII/B anche se con intento teologico diverso e che si ripete in 6,45-52), infatti può sembrare un’interruzione nel mezzo del capitolo tutto incentrato sul “segno dei pani” e la sua spiegazione. In realtà esso mette in evidenza che i suoi primi destinatari sono i discepoli i quali, volendo andarsene da soli, si vengono a trovare nel buio della notte, in mezzo al mare agitato mentre Gesù non è con loro.

Il “segno” aveva suscitato nella folla aspettative religiose e politiche che poi Lui smaschererà (cf vv. 26-29) e forse aveva lasciato anche i discepoli tanto perplessi da scegliere di non rimanere con Gesù e da intraprendere soli la traversata verso Cafarnao; infatti, l’epilogo drammatico del lungo discorso che segue rivelerà la loro incredulità (cf vv. 60-71). Li ha forse delusi il suo rifiuto di cogliere al volo l’occasione di prendere il potere sul popolo? Si sono spaventati per il fatto che ha chiesto loro di mettersi a servire la folla affamata?

Comunque e non si sa come, la barchetta toccherà “subito la riva alla quale erano diretti” questo modo Giovanni vuole metterci di fronte all’arduo e faticoso cammino del credere in Gesù, che oscilla tra il desiderio di volerlo con loro sulla barca e la paura che Lui si avvicini troppo alla loro barchetta. Secondo F.J. Leenhardt e B. Maggioni, l’episodio anticiperebbe “il tempo della Chiesa”, nel quale l’assenza e la presenza di Cristo mettono a dura prova la nostra fede, ed in cui comunque la nostra barchetta, fragile ma unita, ci porta a destinazione (cf vv. 19-21b).

È proprio questo “distacco” tra Gesù e i discepoli che attira l’attenzione della folla e la mette sulle sue tracce, con un singolare andirivieni di barchette: quelli rimasti sulla riva di Bestaida e quelli sopraggiunti su altre barchette da Tiberiade richiamati e attratti dalla notizia del “segno prodigioso dei pani” compiuto da Gesù e forse già si sta formando un “comitato” a sostegno di Gesù per appoggiare la sua ascesa al potere regale (cf vv. 22-24).

Significativo che Giovanni sintetizzi ciò che era avvenuto il giorno prima con un riferimento post-pasquale: “presso il luogo dove il Signore aveva reso grazie”: è una delle tre volte, in tutto il lungo capitolo, in cui ricorre il termine “il Signore” (cf vv. 34 e 68 usato da Pietro) il che attribuisce al “segno” un significato quasi liturgico con il “rendere grazie” (v. 23b).


6,24-29: Il Figlio vi darà un cibo che rimane per la vita incorruttibile.

Ora l’attenzione dell’evangelista si sposta dai discepoli alla folla che sarà l’interlocutrice di tutto il discorso successivo; i discepoli ritorneranno in scena alla fine.

La folla esordisce con una domanda curiosa: “Rabbì, quando sei venuto qua?”.

La risposta di Gesù riparte invece dallo stato d’animo che li sta muovendo, precedentemente descritto, ed è espressa in modo da smascherare la vera motivazione della loro ricerca (cf vv. 25-26). 

Fare chiarezza è l’intenzione che l’evangelista mette sempre in evidenza quando Gesù ha da trattare con qualcuno in particolare e il dialogo dà il via ad una “manifestazione” da parte sua: richiede di “giocare a carte scoperte” per agire “nella luce e nella verità” (cf 3,21; 4,16-18).

Questo riguarda tutti i segni: Gesù li compie per manifestare che l’amore del Padre si comunica a ciascuno, senza differenze, per saziare quell’interiore bisogno di vita vera, piena che c’è in ogni persona. Come avviene che noi vi rispondiamo con cose materiali, che danno un appagamento fisico e mentale, ma che non rispondono veramente e interamente alle nostre esigenze di esseri umani, così nella sfera religiosa: possiamo cercare nel rapporto con Dio una soddisfazione immediata e non il dono di una relazione gratuita d‘amore, che ci responsabilizza liberamente a ricambiare e a condividere, cioè ad amare.

Hanno mangiato il pane senza aver compreso che era frutto del suo amore e della generosità dei discepoli. Questo era il segno che avrebbero dovuto vedere nei pani e che li avrebbe dovuti spingere a farsi pane per gli altri” (A. Maggi).

Nella nostra società consumistica questo meccanismo è molto presente e viene anche contestato all’esperienza religiosa. L’affermazione di Gesù contiene dunque un invito ad andare alla radice non solo dei nostri bisogni e a darvi la risposta adeguata, ma di ogni nostra ricerca (cf Gv 4).

La domanda “chi o cosa cercate?” ricorre nel racconto giovanneo, fin dall’inizio (cf 1,38; in 18,4-8 è ripetuto per ben tre volte!).

Qual è “il cibo che non si corrompe”, da ricercare e procurarsi, per cui vale la pena “operare”, e che “rimane” perché contiene “la vita incorruttibile”?

Quello che il Figlio”, con la sua umanità, ci “dona”, che è Lui stesso come dono voluto dal Padre stesso, Dio (cf v. 27).

Il “sigillo o il “compiacimento” del Padre è condividere il comportamento del Figlio secondo la sua volontà, che agisce coerentemente con chi Lui è ed opera. Nel vangelo di Giovanni, Gesù spesso lo ribadisce affermando addirittura che il suo “cibo” è proprio “fare ciò che Dio, il Padre, vuole da Lui”: Egli si sazia di un cibo che né la folla, né i discepoli ancora conoscono, che è la piena comunione con il Padre e che Lui parteciperà a loro con il totale dono di sé nella sua passione e morte (cf 4,32-34; 5,18ss.; 6,38.39.40; 17,20-23).

Sentirsi amati personalmente e gratuitamente dal Padre, come figli e figlie, è l’esperienza più appagante che una persona possa fare, questo è “il cibo” che il Figlio vuole donarci e di cui per primo egli si nutre.

Amare è dare la vita, questa è l’opera del Padre, che permette anche a noi di “fare le opere di Dio”, cioè di agire come Lui agisce nei nostri confronti: amando! (cf v. 28).

La questione, posta come domanda, trova da parte di Gesù una risposta chiara, ma non altrettanto immediatamente comprensibile finché non la si sperimenta: “credere in Colui che Dio ha mandato”, cioè fidarsi di Lui che non delude le nostre attese più autentiche anche se non risponde ai nostri bisogni più sentiti (v. 29).

Anche qui Giovanni collega il “credere” con il “vedere i segni” e non al soddisfare un bisogno (cf 2,11.23).


vv. 30-35: Io-Sono il pane della vita che il Padre dona.

Dal v. 26 il discorso ha una sua dinamicità interna data da alcuni elementi ricorrenti: “in verità in verità vi dico” (vv. 26.32.47); “Io-Sono” riferito al pane (vv. 35.41.48.51 come all’acqua, alla luce… cf 4,10.14; 8,12; 9,5; 10,7.9; 11.14; 11,25; 15,1-5); l’interferenza dei Giudei nel discorrere di Gesù (cf. vv. 28.30-31.34.41-42.52); la contrapposizione tra “la manna” e “il pane” dato da Gesù /dal Padre (cf vv. 31-33; 49-51; 58); gli interlocutori che dal v. 60 al v. 71 sono i discepoli increduli e i dodici che attraverso di Simon Pietro attestano la loro fiducia in Gesù.

All’interno di questo andamento emergono temi particolari e frequenti nel racconto di Giovanni: la Vita incorruttibile/indefettibile e il rapporto tra l’origine del pane dato dal Figlio e il pane che il Padre dà attraverso di Lui.

Fin dall’inizio, i vv. 30-35 contengono già i concetti essenziali che poi costituiscono il contenuto del discorso nella sinagoga di Cafarnao.

1. “I segni e le opere” compiuti da Gesù vanno riconosciuti come finalizzati al vedere per poter credere in Gesù (cf v. 30).

2. Anche nell’esodo di Israele, Dio ha utilizzato dei segni, come “la manna nel deserto”, per venire incontro ai suoi bisogni primari e soprattutto per indurlo a fidarsi di Lui (cf v. 31; Esodo 16,4.13ss.) e forse per questo i contemporanei di Gesù vedevano in Mosè il primo redentore, anticipo del Messia che venendo avrebbe rinnovato i segni messianici, come la manna (cf Apocalisse di Baruch 29,8).

3. La manna è qui definita, e poi lungo tutto il discorso, come “il pane dal cielo” e su questa definizione Gesù fa leva per contrapporre il suo “pane dal cielo [alto], da/di Dio, il Padre”, quello “vero” che è Lui stesso (cf vv. 32-33; 49.50-51; 58). 

In modo incalzante, Gesù sembra voler chiarire sempre meglio ed eliminare ogni ambigua interpretazione: si tratta di un pane che viene donato da Dio/Padre, esso è una persona da Dio Padre per dare Vita al mondo ed è vivo/vivente.

La risposta sorprendente degli interlocutori di Gesù è simile a quella della Samaritana nei confronti della proposta sconvolgente da parte sua di “un’acqua vivente che zampilla per una vita senza fine” (cf 4,13-15), ma sembra essere anche l’invocazione di una comunità credente che si rivolge al suo Signore: “Dacci sempre di questo pane” (v. 34).

Tuttavia, Gesù immediatamente chiarisce il rapporto tra se stesso e il pane che è Lui / e che il Padre dà attraverso il Figlio: fornisce la vita indefettibile se si viene a Lui e si crede in Lui e questo vale sia per i giudei sia per i discepoli che alla fine lo abbandoneranno (cf v. 35; vv. 37.40.44.47.65-66), quindi anche per noi.

Credere” è la condizione per “avere Vita” e anche il senso di “vedere i segni”, così Gesù risponde alla domanda iniziale da parte della folla, soprattutto con il suo modo di “operare”: fare la volontà del Padre (cf v. 35b).

Senza entrare nel rapporto tra “fede e sacramenti”, tuttavia è sempre presente, nei confronti dell’eucaristia, la nostra tendenza ad impossessarcene come fosse una “cosa sacra” e non comunione con una persona (cf Salmo 78,5), con il suo messaggio e stile di vita da assimilare affinché diventino nostri (cf la sapienza di cui nutrirsi: Proverbi 9,5; Siracide 24,19; Isaia 55,1-3).


Nell’OGGI della Liturgia

Il continuo riferimento all’esperienza della “manna” da parte del popolo peregrinante nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto, come “dono dall’alto, da Dio”, motiva la scelta liturgica di proclamare Esodo 16 [I lettura]. Non è solo il riferimento alla storia passata che fa da ponte con “il discorso” di Gesù, ma la dinamica di richiesta e fiducia che determina la comprensione degli avvenimenti e delle Scritture: i giudei pretendono di “misurare” Gesù e il suo comportamento sul passato, mentre per Lui anche quello è “segno” del compimento futuro in Lui stesso.

Io-sono” è l’avvenimento definitivo che “si incarna” come “pane di vita” per una vita che diventi pane per noi esseri umani affamati senza sapere neppure di che. 

È la sfida ad ogni pretesa religiosa di attestazioni confortanti, sempre però opprimenti la libertà e la responsabilità, non avere altro potere se non quello di “essere per”, di donare se stesso a noi carenti di vita.

Così ogni situazione esistenziale ed evento storico trova il Lui e nella sua “rivelazione” il suo senso ultimo e la sua piena comprensione, non più “secondo la carne” -la logica umana-, ma “attraverso la carne” di Cristo che fa sua la nostra, in una “nuova giustizia” nel compiere da Figlio la volontà del Padre [Efesini 4 – II lettura].


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