venerdì 19 aprile 2024

Vicina è la PAROLA 21aprile 2024: IV Domenica di Pasqua- Farsi guidare è lasciarsi amare

Vicina è la PAROLA



21aprile 2024: IV Domenica di Pasqua
Atti 4,8-12 / Salmo 117
1Giovanni 3,1-2
Giovanni 10,11-18

Farsi guidare è lasciarsi amare
A volte basta anche soltanto un pensiero o un’ispirazione per dare un orientamento alla nostra esistenza; un ideale richiede crederci e fino in fondo… affidarsi! 
Soprattutto l’unicità di una relazione ha la capacità di far vivere pienamente, e se questo vale per i rapporti tra noi, a maggior ragione in un’esperienza di “fede”.
Il bisogno di avere una guida attenta e costruttiva, un punto di riferimento dinamico e affidabile è soddisfatto nel momento in cui siamo attivati responsabilmente a percorrere con fiducia e realismo la nostra esistenza. Vale il detto popolare “Attento a chi vuole il tuo bene perché forse sta cercando di portartelo via” e può succedere in famiglia, in un’amicizia, in coppia ma anche nelle istituzioni di ogni genere.
L’effetto di un buon accompagnamento è di aiutarci a riconoscere cosa e dove sia la porta per un percorso vitale “alto”, a non aver paura di inoltrarci in percorsi che potrebbero rilevarsi pericolosi; a discernere tra generosità e disponibilità fidandoci di chi, come Gesù che si è affidato al Padre; a ritrovarci in un circuito di amore e di comunione che stimola la reciprocità e che più unisce più libera (E. Borghi).
Possiamo avere bravi istruttori… ma gli educatori si riconoscono anche quando non si fanno notare, non compaiono e la loro presenza non si impone, ma la si sente.
Perdere una relazione rischia di farci perdere ogni “connessione”, ci ritroviamo smarriti e soli, senza più un orientamento: inseguendo noi stessi perdiamo il senso del nostro percorso e la possibilità di vivere in pienezza!
Ermeneutica evangelica di Giovanni 10,11-18
I vv. 1-10 riportano la prima similitudine usata da Gesù come “porta delle pecore” e la sua interpretazione dato che non è capìta dai farisei (cf vv. 6-7) con i quali aveva già avuto una forte discussione a riguardo della guarigione dell’uomo nato cieco (cf 9,40-41). Così, senza discontinuità, Egli inizia un nuovo insegnamento come spiegazione parabolica di quanto è precedentemente avvenuto nel Tempio, provocando alla fine un’ulteriore discussione ed opposizione da parte dalle autorità giudaiche che Gesù identifica come ladri, briganti ed estranei al gregge (cf v. 10; vv. 19-21).
Col v. 7 Gesù si presenta con il termine divino “Io-sono” per dichiararsi la porta” attraverso la quale le pecore possono liberamente uscire ed entrare dal “sacro recinto , il Tempio, per pascolare cioè nutrirsi della Vita che solo Lui può donare e non le “guide” del popolo (cf vv. 7.9,10; Ezechiele 34,1-34; Isaia e Geremia). 
Entrare ed uscire” non è solo libertà di movimento, ma di poter vivere in una piena comunione di vita e di fiducia: libertà nel nutrirsi della vita di Dio che è amore gratuito e abbondante (cf Gv 2,6-10; 6,11ss.) e non più di una norma come la Legge [da notare in greco nome = pascolo e nòmos = legge]. (A. Maggi)
Dal v. 11 Gesù ora si dichiara “il pastore” del suo popolo e ne dimostra tutte le migliori qualità: bontà e bellezza, autenticità e unicità, affidabilità ed esperienza… riconosciute dalle pecore stesse per il suo comportamento nei loro confronti e che lo distinguono dagli altri “pagati” per questo compito.
Egli è “il vero pastore”, quello “bello/buono” (cf 7,12), il legittimo anzitutto perché “rischia la sua vita a favore delle pecore” (v. 11) a differenza del “mercenario che… scorge il lupo, abbandona le pecore e fugge” non essendo sue “non gli importa” e non metterebbe certo a rischio la sua vita per difenderle (vv. 12-13).
Invece “il vero pastore” ha un rapporto personale con le sue pecore, di “reciproca conoscenza”, lo stesso rapporto che Lui da Figlio ha con il Padre (vv. 14-15a) e per questo “mette la sua vita a disposizione delle pecore”, cioè la espone, la depone a loro favore (v. 15b).
Il suo compito di pastore è di condurre “le sue pecore”, non sono solo il popolo di Israele [recinto] ma tutti i popoli che, “ascoltando anch’esse la sua voce, diventeranno un unico gregge con un solo pastore” (vv. 16-17; cf 18,37), in piena libertà e non più dentro un recinto pur sacro!
Gesù “rischia la vita a favore delle pecore” quando esse sono nel pericolo di essere assalite e sbranate dai lupi e anticipatamente “la offre”, lo fa liberamente e non perché qualcuno glie la prende con la forza: ha questo potere “di offrila e di riprenderla di nuovo” (cf vv. 17b.18a) e lo può fare perché il Padre glie lo comanda e per questo lo ama (cf vv. 18b.17a; 13,49-50; vedi anche i cc. 6 e 11).
La Vita delle pecore che nasce dalla morte del pastore è la sua stessa “risurrezione/restituzione” (cf vv. 17.18). (E. Borghi)
Ambientazione liturgica: Celebrare il Risorto
Il percorso liturgico del “tempo pasquale”, fino alla Pentecoste, costituisce l’ambito in cui la comunità ed il credente hanno la possibilità di ascoltare l’annuncio pasquale, di celebrarlo e di accoglierlo come luce e forza per la vita familiare e lavorativa, per il dono e l’impegno di testimoniare Gesù, il Crocifisso-Risorto, a tutti. “Un cammino con il Risorto” per “vivere da risorti” nella chiesa e nel mondo, che motiva la nostra partecipazione “attiva e fruttuosa” ai misteri celebrati ed il nostro impegno sociale. 
Tranne alcune eccezioni i brani proclamati sono tutti del vangelo secondo Giovanni, compensando che a questo racconto non sia stato riservato un ciclo liturgico come ai tre sinottici.
È un “tempo” concepito nel senso dell’antica “mistagogia”, cioè di approfondimento delle catechesi ricevute nell’iniziazione cristiana e di crescita nella grazia donata dai sacramenti ricevuti.
Siamo così anche noi invitati a fare l’esperienza del Risorto che ridona a Pietro ed ai primi discepoli la sorprendente scoperta di essere nuovamente chiamati a seguirlo con rinnovato amore (Gv 21). Dopo la risurrezione la sua sequela cambia modalità: Egli ci raggiunge dove noi siamo riuniti insieme (Gv 20; cf Mt 18,20;) e attraverso di Lui porta e pastore (Gv 10) “Via di Verità” (Gv 14), siamo condotti nella pienezza della Vita. Dimorare in Lui è la nostra nuovo relazione, come lo è stato per i discepoli (Gv 15), e che si esprime nell’amore reciproco tra fratelli e sorelle (Gv 13) attraverso la forza dello Spirito donato dal Risorto stesso (Gv 14). Da qui nasce un’esperienza di piena unità con il Padre attraverso Gesù e tra tutti gli esseri umani (Gv 17).
Ogni ciclo liturgico A/B/C propone un itinerario nella celebrazione unica e continua della risurrezione di Cristo, e in Lui della nuova vita donata all’umanità, sottolineando le sfaccettature e le manifestazioni dell’unico volto glorioso del Risorto, “l’uomo nuovo”, che dopo aver sconfitto definitivamente la morte abbandonandosi all’amore del Padre, comunica ad ogni vivente la gioiosa notizia della vittoria. La comunica ai discepoli sorpresi e impauriti nel compimento delle promesse dell’AT.
Al centro è il Signore che si dona 
nella Pace al discepolo incredulo, 
offendo la sua carne trasfigurata dall’amore, ma ancora ferita
da toccare e adorare in quanto umanità stessa di Dio (II domenica A/B/C: Gv 20,19-31).
È una presenza che compie le promesse (III/B: Lc 24,35-48).
Il Risorto si propone come pastore 
che conduce alla comunione feconda con il Padre (IV/B: Gv 10,11-18)
in cui possiamo dimorare (V/B: Gv 15,1-8)
dalla sua vita data per noi suoi amici (VI/B: Gv 15,9-17).
In questa IV domenica di Pasqua, nel suo ciclo liturgico triennale, ascoltiamo il capitolo 10 di Giovanni (A: vv. 1-10 similitudine della “porta”; B: vv. 11-18 similitudine del “pastore”; C: vv. 27-30 conclusione alla controversia finale con i capi); è denominata comunemente del “Buon Pastore” con un’intenzione “vocazionale”.
Abbiamo noi lo stesso coraggio di Pietro “pieno dello Spirito di Dio”, nell’annunciare da fragili persone a chi deteneva il potere, la forza della risurrezione di “Gesù Cristo il Nazareno” in un infermo “sano a salvo”, denunciando la responsabilità nei confronti di entrambi “scartati”, ma soprattutto la sua attuale azione salvifica in questa umanità irresponsabile del suo destino, impedendogli di precipitare nel baratro? [Atti 4 - I lettura]
Confidare nel Signore” non sia un rifugiarsi alienante ma un’assunzione di responsabilità perché “l’opera del Signore” continui nella storia di oggi [Salmo 117]
È questo l’annuncio dell’amore immenso che ancora il Padre ha realmente per i suoi figli e figlie e che il mondo ancora non riconosce! [1Giovanni 3 -II lettura].
Lo conosce” però chi si sente amato in profondità da Chi “lo conduce” in un’esperienza d’amore che Egli per primo fa come figlio amato e per questo capace di offrire liberamente la sua vita salvando dalla morte dell’egoismo con la sua stessa morte. Un “mercenario” non conosce questo sapore dell’amore! [Evangelo]
Preghiamo
Apre il guardiano al pastore,
la sua voce le pecore ascoltano,
perché le chiama una per una 
e fuori dal recinto le conduce.
Il pastore esperto le guida 
e le pecore tutte lo seguono, 
la sua voce conoscono bene, 
tutte insieme le ha convocate. 
Vanno errando le pecore mie 
come pecore senza pastore, 
nel paese nessuno le cerca
e non c'è chi si cura di loro.
Preda è ormai il mio gregge,
il suo pascolo è calpestato,
la sua acqua intorbidata,
mercenari sono venuti.
Gesù dice alla folla raccolta:
Sono io il buon pastore,
vengo a prendere il mio gregge
e chiunque ascolta la mia voce.
Do la vita per le mie pecore,
sono deboli, inferme, perdute,
in un solo ovile raccolte,
saran gregge di un solo pastore.
[Inno – Comunità di Sant’Egidio]


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