Vicina è la PAROLA
11 GIUGNO 2023
CORPO&SANGUE DEL SIGNORE/A
Deuteronomio 8,2-3.14-16 / Salmo 147
1Corinzi 10,16-17
Giovanni 6,51-58
Carne da mangiare come PANE
Contestualizzazione evangelica
di Giovanni 6,51-58
Siamo al finale del lungo capitolo VI nel racconto evangelico Giovanni che ha in esso un posto centrale, sia per la comprensione della messianicità di Gesù che vuole dare ai suoi lettori, sia per il profondo contenuto catechetico non tanto in riferimento all’Eucaristia, ma all’intera esistenza cristiana che ha in Cristo colui che dà se stesso a noi come pane/nutrimento di Vita incorruttibile per un’esistenza autentica e piena.
La sua ambientazione cronologica e narrativa è all’interno dei capitoli 5 - 12 ed il suo contesto “teologico” nel significato di “segno”.
È utile premettere una domanda che dovrebbe essere una conclusione: il “segno dei pani” compiuto da Gesù e soprattutto il lungo discorso che ne segue, hanno un significato ed un valore eucaristico? L’evangelista vuole così esplicitamente sviluppare una “teologia eucaristica”?
1. Le comunità cristiane, già da decenni, celebravano la Cena del Signore, ritrovandosi a ripetere i gesti di Gesù trasmessi anche da Paolo: “prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzo e disse: ‘Prendete e mangiatene tutti’…” (1Corinzi 11,23-24); li ritroviamo anche, secondo diverse tradizioni, nei Sinottici (Marco 14,22ss.; Matteo 26,26ss.; Luca 22,19ss.) e sono gli stessi gesti che Gesù compie anche in Giovanni (cf v. 11).
2. Questi erano gesti abituali da parte di Gesù, che poi diventeranno “simbolici” nella cena pasquale, ma che Giovanni omette nel suo racconto (cf 13,4) pur avendoli visti compiere nella cena pasquale. Il redattore invece li inserisce qui lasciando poi al lettore e alla comunità di attribuirvi il valore che si ritiene più opportuno, alla luce di tutto il suo racconto evangelico ricco di allusioni variamente eucaristiche sin dall’inizio, dove il sovrabbondante agire divino non può essere vincolato e costretto in termini oggettivi. (E. BORGHI)
3. Dai vv. 35-58 il “tenore eucaristico” aumenta man mano che il discorso procede, dove “nutrirsi di Lui” significa per i suoi ascoltatori e interlocutori fare propri i suoi atteggiamenti di Figlio nei confronti della volontà del Padre (cf 4,34), accogliendo il suo dono vitale e vivificante (cf vv. 53- 57): proprio questo è il contenuto del “gesto eucaristico”! (S. PANIMOLLE).
4. Il realismo dei verbi ricorrenti: mangiare, bere, masticare suppone un’esperienza in atto dell’eucaristia di essere in comunione fisica e vitale con il Figlio e come lui con il Padre: “Chi mangia Gesù, partecipa al dinamismo vitale che deriva dal Padre e che, attraverso il Figlio, si trasmette ad ogni credente in Lui”.
Comunque la finalità di tutta questa “catechesi” è di “accendere in noi la voglia di vivere come Lui; risvegliare la nostra vita. Senza cristiani che si nutrano di Gesù, la Chiesa languisce senza rimedio”. (J. A. PAGOLA)
“Io-Sono il pane della Vita” (v. 48) è la nuova affermazione che chiude quella del v. 41 e apre il ragionamento successivo giungendo ad uno sviluppo che abbina “pane vivente” (v. 51) a “carne” da mangiare (v. 51c): Gesù è per noi colui che ci dona Vita e che la alimenta costantemente.
Ora il nuovo dono di Dio all’umanità passa attraverso la “carne” del Figlio (cf 1,14; “bisrà” in aramaico e “sarx” in greco) che dà Vita nel deporre la sua vita (cf 10,17): questo è il vero “pane” che nutre infinitamente e in modo definitivo. Come Dio si fa incontrare e conoscere attraverso l’umanità del Figlio (cf 1,18; 14,9), così ora ogni essere umano, nella debolezza della sua condizione, addirittura “si nutre” di Lui. L’originaria fragilità umana che Gesù recupera con il dono di se stesso, trova la sua compiutezza nella capacità di donarsi.
Questo è uno scandalo intollerabile non solo per i Giudei, ma per ogni proposta religiosa che voglia “spiritualizzare” l’avvicinarsi alla divinità: in Gesù, il Figlio “parola fatta carne”, Dio e l’essere umano si incontrano, viceversa si allontanano e si pèrdono per sempre.
Se già risultava inaccettabile da parte dei Giudei che Gesù si definisse “vero pane da Dio”, comprensibile è allora la loro furibonda reazione nel rifiutare la proposta di Gesù di dare “la [sua] carne da mangiare” (v. 52). Ma Lui insiste che per avere Vita in noi stessi non possiamo rifiutarci di “mangiare la sua carne e bere il suo sangue”, nutrendoci di Lui che ha preso la nostra carne umana (dal v. 54 subentra il verbo mangiare ma masticare, cioè ruminare).
È questo il senso globale dei vv. 53-55, dove l’evangelista sembra spingere sul realismo del “nutrirsi masticando” la carne e il sangue umani del Figlio, perché sono “realmente cibo e bevanda”. Probabilmente questa crudezza motiva la reazione degli uditori per l’infrangersi del tabù del cannibalismo: “come mai può [dirci di] fare questo!” (cf Levitico 17,10-14).
La circolarità del discorso imprime una ripetizione che marca molto il cibarsi come via di accesso alla Vita di Dio! Quindi i motivi di scandalo e di protesta sono due, uno ancestrale, antropologico e l’altro religioso: nutrirsi della carne umana del Figlio del Padre per diventare figli e figlie suoi!
Questo nutrimento dà origine ad una relazione stabile tra noi e Gesù: “rimanere/dimorare” (costanti dal capitolo 15 in poi), che ci permette di vivere attraverso di Lui nello stesso modo in cui Egli vive grazie al Padre che lo ha inviato a noi: una relazione d’amore filiale (vv. 56-57).
Notiamo il crescendo del “simbolismo eucaristico” in quest’ultima parte del discorso, in parallelo con il “realismo di nutrirsi”: mangiando il pane e bevendo il vino nel banchetto eucaristico noi ci nutriamo di Cristo nel suo corpo e sangue, di tutta la sua persona di Figlio del Padre mandato a noi, Egli in noi è Vita piena, indefettibile e incorruttibile, fino alla nostra risurrezione finale.
L’efficacia del sacramento eucaristico ha la sua origine nel dono della Vita da parte del Padre attraverso il suo Figlio, quella sua carne umana assunta da noi fin dall’inizio (cf 1,14). I vv. 58-59 chiudono l’insegnamento di Gesù nella sinagoga a Cafarnao ricollegandosi all’esperienza degli antenati nel deserto con cui il discorso è iniziato (cf vv. 49 e 31).
CORPO&SANGUE DEL SIGNORE/A
Deuteronomio 8,2-3.14-16 / Salmo 147
1Corinzi 10,16-17
Giovanni 6,51-58
Carne da mangiare come PANE
Contestualizzazione evangelica
di Giovanni 6,51-58
Siamo al finale del lungo capitolo VI nel racconto evangelico Giovanni che ha in esso un posto centrale, sia per la comprensione della messianicità di Gesù che vuole dare ai suoi lettori, sia per il profondo contenuto catechetico non tanto in riferimento all’Eucaristia, ma all’intera esistenza cristiana che ha in Cristo colui che dà se stesso a noi come pane/nutrimento di Vita incorruttibile per un’esistenza autentica e piena.
La sua ambientazione cronologica e narrativa è all’interno dei capitoli 5 - 12 ed il suo contesto “teologico” nel significato di “segno”.
È utile premettere una domanda che dovrebbe essere una conclusione: il “segno dei pani” compiuto da Gesù e soprattutto il lungo discorso che ne segue, hanno un significato ed un valore eucaristico? L’evangelista vuole così esplicitamente sviluppare una “teologia eucaristica”?
1. Le comunità cristiane, già da decenni, celebravano la Cena del Signore, ritrovandosi a ripetere i gesti di Gesù trasmessi anche da Paolo: “prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzo e disse: ‘Prendete e mangiatene tutti’…” (1Corinzi 11,23-24); li ritroviamo anche, secondo diverse tradizioni, nei Sinottici (Marco 14,22ss.; Matteo 26,26ss.; Luca 22,19ss.) e sono gli stessi gesti che Gesù compie anche in Giovanni (cf v. 11).
2. Questi erano gesti abituali da parte di Gesù, che poi diventeranno “simbolici” nella cena pasquale, ma che Giovanni omette nel suo racconto (cf 13,4) pur avendoli visti compiere nella cena pasquale. Il redattore invece li inserisce qui lasciando poi al lettore e alla comunità di attribuirvi il valore che si ritiene più opportuno, alla luce di tutto il suo racconto evangelico ricco di allusioni variamente eucaristiche sin dall’inizio, dove il sovrabbondante agire divino non può essere vincolato e costretto in termini oggettivi. (E. BORGHI)
3. Dai vv. 35-58 il “tenore eucaristico” aumenta man mano che il discorso procede, dove “nutrirsi di Lui” significa per i suoi ascoltatori e interlocutori fare propri i suoi atteggiamenti di Figlio nei confronti della volontà del Padre (cf 4,34), accogliendo il suo dono vitale e vivificante (cf vv. 53- 57): proprio questo è il contenuto del “gesto eucaristico”! (S. PANIMOLLE).
4. Il realismo dei verbi ricorrenti: mangiare, bere, masticare suppone un’esperienza in atto dell’eucaristia di essere in comunione fisica e vitale con il Figlio e come lui con il Padre: “Chi mangia Gesù, partecipa al dinamismo vitale che deriva dal Padre e che, attraverso il Figlio, si trasmette ad ogni credente in Lui”.
Comunque la finalità di tutta questa “catechesi” è di “accendere in noi la voglia di vivere come Lui; risvegliare la nostra vita. Senza cristiani che si nutrano di Gesù, la Chiesa languisce senza rimedio”. (J. A. PAGOLA)
“Io-Sono il pane della Vita” (v. 48) è la nuova affermazione che chiude quella del v. 41 e apre il ragionamento successivo giungendo ad uno sviluppo che abbina “pane vivente” (v. 51) a “carne” da mangiare (v. 51c): Gesù è per noi colui che ci dona Vita e che la alimenta costantemente.
Ora il nuovo dono di Dio all’umanità passa attraverso la “carne” del Figlio (cf 1,14; “bisrà” in aramaico e “sarx” in greco) che dà Vita nel deporre la sua vita (cf 10,17): questo è il vero “pane” che nutre infinitamente e in modo definitivo. Come Dio si fa incontrare e conoscere attraverso l’umanità del Figlio (cf 1,18; 14,9), così ora ogni essere umano, nella debolezza della sua condizione, addirittura “si nutre” di Lui. L’originaria fragilità umana che Gesù recupera con il dono di se stesso, trova la sua compiutezza nella capacità di donarsi.
Questo è uno scandalo intollerabile non solo per i Giudei, ma per ogni proposta religiosa che voglia “spiritualizzare” l’avvicinarsi alla divinità: in Gesù, il Figlio “parola fatta carne”, Dio e l’essere umano si incontrano, viceversa si allontanano e si pèrdono per sempre.
Se già risultava inaccettabile da parte dei Giudei che Gesù si definisse “vero pane da Dio”, comprensibile è allora la loro furibonda reazione nel rifiutare la proposta di Gesù di dare “la [sua] carne da mangiare” (v. 52). Ma Lui insiste che per avere Vita in noi stessi non possiamo rifiutarci di “mangiare la sua carne e bere il suo sangue”, nutrendoci di Lui che ha preso la nostra carne umana (dal v. 54 subentra il verbo mangiare ma masticare, cioè ruminare).
È questo il senso globale dei vv. 53-55, dove l’evangelista sembra spingere sul realismo del “nutrirsi masticando” la carne e il sangue umani del Figlio, perché sono “realmente cibo e bevanda”. Probabilmente questa crudezza motiva la reazione degli uditori per l’infrangersi del tabù del cannibalismo: “come mai può [dirci di] fare questo!” (cf Levitico 17,10-14).
La circolarità del discorso imprime una ripetizione che marca molto il cibarsi come via di accesso alla Vita di Dio! Quindi i motivi di scandalo e di protesta sono due, uno ancestrale, antropologico e l’altro religioso: nutrirsi della carne umana del Figlio del Padre per diventare figli e figlie suoi!
Questo nutrimento dà origine ad una relazione stabile tra noi e Gesù: “rimanere/dimorare” (costanti dal capitolo 15 in poi), che ci permette di vivere attraverso di Lui nello stesso modo in cui Egli vive grazie al Padre che lo ha inviato a noi: una relazione d’amore filiale (vv. 56-57).
Notiamo il crescendo del “simbolismo eucaristico” in quest’ultima parte del discorso, in parallelo con il “realismo di nutrirsi”: mangiando il pane e bevendo il vino nel banchetto eucaristico noi ci nutriamo di Cristo nel suo corpo e sangue, di tutta la sua persona di Figlio del Padre mandato a noi, Egli in noi è Vita piena, indefettibile e incorruttibile, fino alla nostra risurrezione finale.
L’efficacia del sacramento eucaristico ha la sua origine nel dono della Vita da parte del Padre attraverso il suo Figlio, quella sua carne umana assunta da noi fin dall’inizio (cf 1,14). I vv. 58-59 chiudono l’insegnamento di Gesù nella sinagoga a Cafarnao ricollegandosi all’esperienza degli antenati nel deserto con cui il discorso è iniziato (cf vv. 49 e 31).
Belle queste righe.
RispondiEliminaINCORPORARSI ha scritto Antonio Ruccia. Cristo è pane vivente che ci nutre se noi lo "mastichiamo", lo assimiliamo e Lui ci assimila a sè. Tommaso d'Aquino insegnava che si tratta di cibo che ci trasforma in Colui che mangiamo, diversamente dal cibo naturale che il nostro corpo assimila e trasforma. Come scrive l'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto è un pane che ci incorpora "insieme" non individualmente o intimisticamente ma "personalmente": ogno è in Lui e tutti, molti, siamo "uno" in Lui! Il sacramento dell'Eucaristia non è una "cosa scara" ma un'sperienza vitale e fisica, è comunione piena.
RispondiEliminaINCORPORARSI ha scritto Antonio Ruccia. Cristo è pane vivente che ci nutre se noi lo "mastichiamo", lo assimiliamo e Lui ci assimila a sé. Tommaso d'Aquino insegnava che si tratta di cibo che ci trasforma in Colui che mangiamo, diversamente dal cibo naturale che il nostro corpo assimila e trasforma. Come scriveva l'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto è un pane che ci incorpora "insieme", non individualmente o intimisticamente ma "personalmente": ognuno è in Lui e tutti, molti, siamo "uno" in Lui! Il sacramento dell'Eucaristia non è una "cosa sacra" ma un'esperienza vitale e fisica, è comunione piena. [testo corretto]
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