Vicina è la PAROLA
14 MAGGIO 2023
VI DOMENICA DI PASQUA/A
Atti 8,5-8.14-17 / Salmo 65
1Pietro 3,15-18
Giovanni 14,15-21
L’AMORE rimane… per sempre
Mi è piaciuto molto il libro di Gabriele Vecchione, prete cattolico, “Rimani o vai via?”. “Il nome Iosèf, in ebraico, significa ‘colui che aggiunge’. Giuseppe aggiunge il desiderio al discernimento. L'umiltà all'orgoglio ferito. L'amore alla crisi con Maria. Il coraggio alla paura di essere inadeguato a fare il padre. La libertà al possesso. La speranza alla morte… sogni alle notti di ogni uomo e di ogni donna”.
Il titolo mi ha fatto pensare alla domanda che la sua promessa sposa Maria gli avrebbe rivolto, dopo avergli comunicato la sua gravidanza “per opera del Soffio divino”. Il Soffio vitale ha fatto sì che il Verbo diventasse carne in lei ed ora agisce in noi nello stesso modo riguardo alle parole dell’unica Parola del Padre: altro non è che Amore. Il suo compito non è di aggiungere ma di rianimare, riattivare ciò che è stato seminato in noi e che spesso giace lì… inerme, ma vitalmente presente.
In Lui, con attraverso di Lui tutto rimane!
Gesù, la sua esistenza umana, le sue parole rimangono in noi come Lui rimane nel Padre ed Egli in noi. Ma siamo anche noi a rimanere in loro per sempre.
Cos’altro desidera l’amore se non di rimanere per sempre?!
Anche quando “finisce” tra due persone… dove va a finire? Da qualche parte ci deve essere un luogo dove tutti questi amori infranti, brandelli di sentimenti vissuti e di emozioni condivise rimangano.
Ne sono profondamente convinto, rimangono in Dio!
Contestualizzazione evangelica di Giovanni 14,15-21
È probabile che l’evangelista riporti queste parole di Gesù, collocate nei “discorsi d’addio” della cena pasquale (capitoli 14 – 17), come rivolte alla comunità dei credenti travolti da persecuzioni: il Maestro stesso invoca lo Spirito “avvocato difensore” [paràklètos] in un eventuale processo e “protettore/consolatore” nelle loro sofferenze interiori (cf v. 17). In ogni caso è Colui che li conferma: anche se privi della presenza fisica del loro Signore, essi però già vivono della vita di/in Cristo (cf v. 19) e “ricorda a loro le sue parole” affinché non si smarriscano, ma rimangano “nella via vera, che conduce alla vita” (v. 6). Gesù, consapevole della sua futura “assenza”, vuole
renderli consapevoli di una sua “nuova presenza”, attraverso appunto un altro “paràclito” (cf 15,26; 16,13).
“Dimorare/rimanere”, di Gesù nei discepoli e nei credenti attraverso la sua parola, è un’esperienza di amore che il Figlio conosce bene, poiché è il suo modo di essere “nel Padre” (vv. 10-11) e che ora Egli vuole condividere con loro.
L’ascolto / obbedienza alla parola non è quindi più un comando da eseguire, ma da assimilare affinché diventi modo di essere e di vivere, effetto di un rapporto d’amore. Per questo Egli chiede per noi al Padre il dono interiore e permanente dello “Spirito di verità” (vv. 15-17; cf 15,4-14).
Anche il linguaggio usato indica una progressione di percezione in base alla familiarità: aumentano la distanza con Gesù eppure la vicinanza dello Spirito che stabilisce una relazione più interiore. (J. DE LA POTTERIE)
È come se Gesù avesse lavorato in profondità (cf 6,59; 7,14; 8,20), ed ora tutto questa giacesse in loro, in attesa di essere “riattivato” dallo Spirito che lo “ricorderà”, rendendolo operativo nella loro esperienza di fede e rivelandone tutta la sua potenzialità nascosta.
Lo Spirito svolge un ruolo di “verità”, sia riguardo all’esperienza di vita nuova in Gesù, “un amore che si fa servizio”, sia di “guida” in percorsi esistenziali di smarrimento, pensando di essersi sbagliati e sentendosi “orfani” (v. 18).
L’assenza fisica di Gesù non priverà però i suoi dalla possibilità di “vederlo”, di sentirlo presente, infatti non si vede solo con gli occhi (questo è il peccato del mondo: cf 9,39); piuttosto è in virtù del rapporto con Lui, “perché io vivo e voi vivrete” (v. 19), che l’esperienza del credente non si esaurisce, anzi raggiunge la sua pienezza: “In quel giorno voi conoscerete me nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20).
Smarrimento e desolazione, solitudine e disperazione, amarezza, delusione e scoraggiamento… buio interiore e sofferenze attorno, sono “il giorno” di una nuova conoscenza/esperienza interiore di Gesù da figli “nel Padre”, anche nel travaglio, in attesa di una nuova aurora di risurrezione.
La “rivelazione/manifestazione del Padre” a Filippo (cf v. 9) si conclude riprendendo le parole del v. 15 e aggiungendo che cosa succede a chi per amore si fa obbediente: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.
Chi ha i miei comandamenti e li osserva è lui che mi ama;
e chi mi ama sarà amato dal Padre mio e io amerò lui e mi manifesterò a lui” (v. 21). Una bella chiusa, alla maniera di Giovanni, che apre ai credenti suggestive prospettive di continua crescita nella conoscenza/esperienza di Gesù, e per la comunità di affidarsi ad una norma di vita vincolante e liberante nello stesso tempo: l’amore.
“Questa sintonia con lo Spirito di verità rende ogni discepolo profeta per la comunità, aiutandola a tener vivo e vivificante il messaggio di Gesù e a saper discernere la Parola tra le parole” (A. MAGGI).
Ambientazione liturgica
Siamo un popolo radunato dalla comunione del Padre e del Figlio nello Spirito come conclude il Vaticano II citando CIPRIANO (cf LG 4) e come ci viene ricordato in ogni “saluto iniziale” delle nostre celebrazioni liturgiche.
Un’assemblea convocata per l’ascolto della Parola, qui come alle origini in Samaria, composta da battezzati sempre nuovamente immersi nello Spirito [Atti 8 – I lettura] che ci identica figlie e figli amati, non più orfani, e ci “consola” facendoci rivivere la sua fiducia nel Padre anche di fronte alle nostre esperienze di morte [1Pietro 3 – II lettura].
La celebrazione eucaristia non è dunque esperienza pasquale?!
“Gesù consegna a noi la sua stessa esperienza abbandono al Padre, come promessa fedele che al di là di ogni morte preannunzia la vittoria pasquale, come speranza della quale Egli sta
rendendo grazie con noi nella liturgia, con la scelta di donare la propria vita… fonte di fraternità e di gioia anche per la prima comunità cristiana” (COMUNITÀ MONASTICA DI VIBOLDONE) Nella Liturgia che celebriamo siamo liberati e uniti come corpo al Cristo glorioso, con tutti i santificati, in comunione con il Padre e con tutti fratelli e sorelle sparsi nel mondo insieme i quali innalziamo la nostra “lode cosmica” di liberazione [Isaia 48 – Ingresso].
“Oggi, qui” si realizzano le realtà divine che il Signore promette a chi Lo ama. La celebrazione è forza e sigillo dell’osservanza dei comandamenti del Signore che per questo “effonde” su di noi il suo Spirito ponendo nei credenti la sua dimora, attraverso il nutrimento della Parola ascoltata e del Pane mangiato [Comunione].
Preghiamo
O Padre, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio
messo a morte per i nostri peccati
e risuscitato alla vita immortale,
confermaci con il tuo Spirito di verità,
perché nella gioia che viene da te,
siamo pronti a rispondere
a chiunque ci domandi ragione
della speranza che è in noi.
Amen.
VI DOMENICA DI PASQUA/A
Atti 8,5-8.14-17 / Salmo 65
1Pietro 3,15-18
Giovanni 14,15-21
L’AMORE rimane… per sempre
Mi è piaciuto molto il libro di Gabriele Vecchione, prete cattolico, “Rimani o vai via?”. “Il nome Iosèf, in ebraico, significa ‘colui che aggiunge’. Giuseppe aggiunge il desiderio al discernimento. L'umiltà all'orgoglio ferito. L'amore alla crisi con Maria. Il coraggio alla paura di essere inadeguato a fare il padre. La libertà al possesso. La speranza alla morte… sogni alle notti di ogni uomo e di ogni donna”.
Il titolo mi ha fatto pensare alla domanda che la sua promessa sposa Maria gli avrebbe rivolto, dopo avergli comunicato la sua gravidanza “per opera del Soffio divino”. Il Soffio vitale ha fatto sì che il Verbo diventasse carne in lei ed ora agisce in noi nello stesso modo riguardo alle parole dell’unica Parola del Padre: altro non è che Amore. Il suo compito non è di aggiungere ma di rianimare, riattivare ciò che è stato seminato in noi e che spesso giace lì… inerme, ma vitalmente presente.
In Lui, con attraverso di Lui tutto rimane!
Gesù, la sua esistenza umana, le sue parole rimangono in noi come Lui rimane nel Padre ed Egli in noi. Ma siamo anche noi a rimanere in loro per sempre.
Cos’altro desidera l’amore se non di rimanere per sempre?!
Anche quando “finisce” tra due persone… dove va a finire? Da qualche parte ci deve essere un luogo dove tutti questi amori infranti, brandelli di sentimenti vissuti e di emozioni condivise rimangano.
Ne sono profondamente convinto, rimangono in Dio!
Contestualizzazione evangelica di Giovanni 14,15-21
È probabile che l’evangelista riporti queste parole di Gesù, collocate nei “discorsi d’addio” della cena pasquale (capitoli 14 – 17), come rivolte alla comunità dei credenti travolti da persecuzioni: il Maestro stesso invoca lo Spirito “avvocato difensore” [paràklètos] in un eventuale processo e “protettore/consolatore” nelle loro sofferenze interiori (cf v. 17). In ogni caso è Colui che li conferma: anche se privi della presenza fisica del loro Signore, essi però già vivono della vita di/in Cristo (cf v. 19) e “ricorda a loro le sue parole” affinché non si smarriscano, ma rimangano “nella via vera, che conduce alla vita” (v. 6). Gesù, consapevole della sua futura “assenza”, vuole
renderli consapevoli di una sua “nuova presenza”, attraverso appunto un altro “paràclito” (cf 15,26; 16,13).
“Dimorare/rimanere”, di Gesù nei discepoli e nei credenti attraverso la sua parola, è un’esperienza di amore che il Figlio conosce bene, poiché è il suo modo di essere “nel Padre” (vv. 10-11) e che ora Egli vuole condividere con loro.
L’ascolto / obbedienza alla parola non è quindi più un comando da eseguire, ma da assimilare affinché diventi modo di essere e di vivere, effetto di un rapporto d’amore. Per questo Egli chiede per noi al Padre il dono interiore e permanente dello “Spirito di verità” (vv. 15-17; cf 15,4-14).
Anche il linguaggio usato indica una progressione di percezione in base alla familiarità: aumentano la distanza con Gesù eppure la vicinanza dello Spirito che stabilisce una relazione più interiore. (J. DE LA POTTERIE)
È come se Gesù avesse lavorato in profondità (cf 6,59; 7,14; 8,20), ed ora tutto questa giacesse in loro, in attesa di essere “riattivato” dallo Spirito che lo “ricorderà”, rendendolo operativo nella loro esperienza di fede e rivelandone tutta la sua potenzialità nascosta.
Lo Spirito svolge un ruolo di “verità”, sia riguardo all’esperienza di vita nuova in Gesù, “un amore che si fa servizio”, sia di “guida” in percorsi esistenziali di smarrimento, pensando di essersi sbagliati e sentendosi “orfani” (v. 18).
L’assenza fisica di Gesù non priverà però i suoi dalla possibilità di “vederlo”, di sentirlo presente, infatti non si vede solo con gli occhi (questo è il peccato del mondo: cf 9,39); piuttosto è in virtù del rapporto con Lui, “perché io vivo e voi vivrete” (v. 19), che l’esperienza del credente non si esaurisce, anzi raggiunge la sua pienezza: “In quel giorno voi conoscerete me nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20).
Smarrimento e desolazione, solitudine e disperazione, amarezza, delusione e scoraggiamento… buio interiore e sofferenze attorno, sono “il giorno” di una nuova conoscenza/esperienza interiore di Gesù da figli “nel Padre”, anche nel travaglio, in attesa di una nuova aurora di risurrezione.
La “rivelazione/manifestazione del Padre” a Filippo (cf v. 9) si conclude riprendendo le parole del v. 15 e aggiungendo che cosa succede a chi per amore si fa obbediente: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.
Chi ha i miei comandamenti e li osserva è lui che mi ama;
e chi mi ama sarà amato dal Padre mio e io amerò lui e mi manifesterò a lui” (v. 21). Una bella chiusa, alla maniera di Giovanni, che apre ai credenti suggestive prospettive di continua crescita nella conoscenza/esperienza di Gesù, e per la comunità di affidarsi ad una norma di vita vincolante e liberante nello stesso tempo: l’amore.
“Questa sintonia con lo Spirito di verità rende ogni discepolo profeta per la comunità, aiutandola a tener vivo e vivificante il messaggio di Gesù e a saper discernere la Parola tra le parole” (A. MAGGI).
Ambientazione liturgica
Siamo un popolo radunato dalla comunione del Padre e del Figlio nello Spirito come conclude il Vaticano II citando CIPRIANO (cf LG 4) e come ci viene ricordato in ogni “saluto iniziale” delle nostre celebrazioni liturgiche.
Un’assemblea convocata per l’ascolto della Parola, qui come alle origini in Samaria, composta da battezzati sempre nuovamente immersi nello Spirito [Atti 8 – I lettura] che ci identica figlie e figli amati, non più orfani, e ci “consola” facendoci rivivere la sua fiducia nel Padre anche di fronte alle nostre esperienze di morte [1Pietro 3 – II lettura].
La celebrazione eucaristia non è dunque esperienza pasquale?!
“Gesù consegna a noi la sua stessa esperienza abbandono al Padre, come promessa fedele che al di là di ogni morte preannunzia la vittoria pasquale, come speranza della quale Egli sta
rendendo grazie con noi nella liturgia, con la scelta di donare la propria vita… fonte di fraternità e di gioia anche per la prima comunità cristiana” (COMUNITÀ MONASTICA DI VIBOLDONE) Nella Liturgia che celebriamo siamo liberati e uniti come corpo al Cristo glorioso, con tutti i santificati, in comunione con il Padre e con tutti fratelli e sorelle sparsi nel mondo insieme i quali innalziamo la nostra “lode cosmica” di liberazione [Isaia 48 – Ingresso].
“Oggi, qui” si realizzano le realtà divine che il Signore promette a chi Lo ama. La celebrazione è forza e sigillo dell’osservanza dei comandamenti del Signore che per questo “effonde” su di noi il suo Spirito ponendo nei credenti la sua dimora, attraverso il nutrimento della Parola ascoltata e del Pane mangiato [Comunione].
Preghiamo
O Padre, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio
messo a morte per i nostri peccati
e risuscitato alla vita immortale,
confermaci con il tuo Spirito di verità,
perché nella gioia che viene da te,
siamo pronti a rispondere
a chiunque ci domandi ragione
della speranza che è in noi.
Amen.
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