Vicina è la PAROLA
30 APRILE 2023
IV DOMENICA DI PASQUA
Atti 2,14.36-41 / Salmo 22
1Pietro 2,20-25
Giovanni 10,1-10
FUORI da ogni recinto
Di “recinti” nella società odierna ce ne sono anche di subdoli come la stessa “rete” digitale che ci unisce e poi ci imbriglia; o le varie “influenze” ed omologazioni di pensiero anche “politicamente o ecclesiasticamente corrette”. Non è sempre necessario stare “fuori dal coro”… ma farsi qualche domanda sì.
Ci sono però recinti che molto spesso siamo noi stessi a farci.
Ci stiamo stretti ma sono “confortevoli" e ci servono anche per distinguerci, difenderci, tenere gli altri lontani… e magari rinchiuderli nel loro ghetto.
Temiamo il momento in cui qualcuno, qualcosa, venga a spingerci fuori, a mischiarci con gli altri… a farci “prendere il largo”.
E lì siamo finalmente liberi, ma non più al sicuro.
La libertà non è per chi cerca sicurezze!
Gesù ci “spinge fuori” da una religiosità rassicurante dove trovare rifugio quando siamo oppressi da problemi e preoccupazioni di ogni tipo; “ci conduce verso” un nuovo rapporto con la nostra esistenza umana fatto di responsabilità personale e di fiducia, una relazione vitale col il Padre nella quale riconoscerci figli e figlie, fratelli e sorelle… con tutti.
Non ci sono più steccati, barriere, ostacoli… ma solo “trampolini di lancio” sui quali avventurarci vincendo le nostre innate paure, verso un’inedita esperienza di vita.
Contestualizzazione evangelica e biblica di Giovanni 10,1-10
“Io-Sono la porta per le pecore”.
Una similitudine per spiegare il “segno” del capitolo 9.
La prima similitudine, che costituisce l’insegnamento originario di Gesù [B. MAGGIONI], non è capita (cf v. 6)… ma da chi? Gli ultimi interlocutori di Gesù, non menzionati subito, sono i farisei con i quali Gesù aveva avuto una forte discussione a riguardo della guarigione dell’uomo nato cieco (cf 9,40-41) che loro avevano espulso fuori dal Tempio, “il sacro recinto” (cf v. 34b) e per questo Gesù, saputa la cosa, lo ha incontrato e gli ha chiesto un’attestazione di fede in Lui (cf vv. 35-39).
“Amen, amen vi dico” (v. 1). Così Gesù inizia bruscamente un nuovo insegnamento, spiegazione parabolica di ciò che era avvenuto nel Tempio. È attestato dalla reazione degli ascoltatori che di nuovo
si ritroveranno divisi, i capi giudei: “Ha un demonio e delira”; “Può forse un demonio aprire gli occhi a dei ciechi?!” (vv. 19-21 omessi nella proclamazione liturgica).
La similitudine è abbastanza lineare (vv. 1-5): il recinto custodisce le pecore; chi entra per la porta è il pastore; chi invece scavalca per entrare è un ladro o un brigante; il custode apre al pastore; le pecore ascoltano la sua voce; il pastore, chiamando le pecore per nome, le fa uscire; le spinge fuori e poi cammina davanti a loro; le pecore lo seguono riconoscendo la sua voce; non così con un estraneo di cui non conoscono la voce.
Che cosa non capiscono o “fanno finta” di non capire gli ascoltatori? Che stia parlando proprio di loro identificandoli come ladri e briganti![M.MAGGI]
L’ ermeneutica della similitudine è dettata da Gesù.
Anzitutto Egli si “auto-rivela divinamente”: “Io-sono la porta” attraverso la quale si può uscire ed entrare liberamente per pascolare (cf vv. 7 e 9); questo costituisce il motivo e il senso della sua venuta messianica: “dare Vita in abbondanza” (cf v. 10b).
Se “il recinto”, e non l’ovile, è il “luogo sacro” (cf Esodo 40) nel quale Dio “custodisce/guida” da Pastore il suo gregge / popolo con la sua gloriosa presenza, Gesù, identificandosi come “la porta”, si sostituisce anche alla funzione esercitata dalla “Porta delle pecore” nel Tempio di Gerusalemme.
Eglisi pone come passaggio unico e obbligato per la salvezza, sia a favore del popolo sia di chi lo guida: Lui è il solo che può “entrare nel recinto” (cf Ebrei9 e 10)per “condurre fuori” da esso, “spingendo fuori”poiché è un compito faticoso quello di convincere ad uscire fuori da un luogo che costringe sì ma che anche protegge, garantendo il “minimo vitale assicurato” per intraprendere un cammino di libertà e di autonomia. Ricorda la fatica di Mosè nel condurre “fuori dall’Egitto” il popolo (cf Esodo 15. 16. 17).
Per contro i suoi interlocutori, venuti prima di lui, “sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati” perché vengono “per rubare, uccidere e distruggere” (cf vv. 8 e 10a).
Il ruolo delle “guide di Israele” era di continuare la “cura” di Dio per il suo popolo e di avvicinare a Lui le persone che hanno bisogno della sua presenza e della sua misericordia.
Già Ezechiele, con le sue profezie, inveiva sui cattivi pastori che diventavano “lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (cf 22,27) pronunciando “Guai ai pastori di Israele” (34,1-34; cf 1Enoch 89,41-50).
Gesù, nella sua ermeneutica della similitudine, presenta se stesso come l’atteso Messia “re pastore” [Davide] e identifica gli altri come “ladri e briganti” nel senso di Ezechiele.
Così si capisce meglio la reazione successiva dei capi (cf vv. 19-21 e 31) che, smascherati e denunciati da Gesù, si rendono perfettamente conto di essere ubbiditi dalla gente ma “non ascoltati” gente che li considera “estranei” alle loro necessità di vita (cf v. 8 e 10b): loro non attendono la venuta messianica del “vero pastore”, anzi la temono (cf Isaia 29,13).
Attraverso Gesù “la porta”, il popolo è finalmente libero di “entrare e di uscire”, che non è solo libertà di movimento, ma di chi vive oramai in una piena comunione di vita e di fiducia [S.PANIMOLLE]. Libertà nel nutrirsidella vita di Dio che è amore e non più una norma come la Legge (cf v. 9dove si gioca sui termini nomē = pascolo e nòmos = legge); Vitadonata gratuitamente e “in abbondanza”, cioè totalmente e pienamente (cf 2,6-10; 6,11ss.).
Ambientazione liturgica
N. B. Il capitolo 10 del racconto evangelico di Giovanni, viene letto nella IV domenica del “tempo pasquale” (nel ciclo A: vv. 1-10; nel ciclo B: vv. 11-18; nel ciclo C: vv. 27-30); la domenica è denominata comunemente del “Buon Pastore” con un’intenzione “vocazionale”.
Conveniamo per la celebrazione liturgica pensando di “entrare in un luogo sacro” mentre Gesù vuole sì incontrarci ma per “condurci fuori”.
La sua Parola ci conduce dalla “conversione” all’amore, come fece la predicazione di Pietro ai suoi concittadini [Atti – I lettura]. Egli, “il Signore” può farlo poiché ha condiviso con noi, integralmente, il nostro umano cammino che conduce anche Lui alla morte ma per amore di noi umani [1Pietro – II lettura], suoi fratelli e suo gregge, di Lui che è con noi “agnello” e per noi “pastore” che ci guida da dentro della nostra precaria condizione umana ma per non rimanerne per sempre condizionati [Giovanni – Evangelo].
È un cammino di liberazione, iniziato nell’immersione pasquale, che alla fine della celebrazione eucaristica ci “spinge fuori” verso gli altri, tutti, a condividere la stessa esperienza vitale che il Risorto ha fatto scaturire in noi dal suo amore.
Preghiamo
Apre il guardiano al pastore,
la sua voce le pecore ascoltano,
perché le chiama una per una
e fuori dal recinto le conduce.
Il pastore esperto le guida
e le pecore tutte lo seguono,
la sua voce conoscono bene,
tutte insieme le ha convocate.
Vanno errando le pecore mie
come pecore senza pastore,
nel paese nessuno le cerca
e non c'è chi si cura di loro.
Preda è ormai il mio gregge,
il suo pascolo è calpestato,
la sua acqua intorbidata,
mercenari sono venuti.
Gesù dice alla folla raccolta:
Sono io il buon pastore,
vengo a prendere il mio gregge
e chiunque ascolta la mia voce.
Do la vita per le mie pecore,
sono deboli, inferme, perdute,
in un solo ovile raccolte,
saran gregge di un solo pastore.
[Inno – Comunità di Sant’Egidio]
30 APRILE 2023
IV DOMENICA DI PASQUA
Atti 2,14.36-41 / Salmo 22
1Pietro 2,20-25
Giovanni 10,1-10
FUORI da ogni recinto
Di “recinti” nella società odierna ce ne sono anche di subdoli come la stessa “rete” digitale che ci unisce e poi ci imbriglia; o le varie “influenze” ed omologazioni di pensiero anche “politicamente o ecclesiasticamente corrette”. Non è sempre necessario stare “fuori dal coro”… ma farsi qualche domanda sì.
Ci sono però recinti che molto spesso siamo noi stessi a farci.
Ci stiamo stretti ma sono “confortevoli" e ci servono anche per distinguerci, difenderci, tenere gli altri lontani… e magari rinchiuderli nel loro ghetto.
Temiamo il momento in cui qualcuno, qualcosa, venga a spingerci fuori, a mischiarci con gli altri… a farci “prendere il largo”.
E lì siamo finalmente liberi, ma non più al sicuro.
La libertà non è per chi cerca sicurezze!
Gesù ci “spinge fuori” da una religiosità rassicurante dove trovare rifugio quando siamo oppressi da problemi e preoccupazioni di ogni tipo; “ci conduce verso” un nuovo rapporto con la nostra esistenza umana fatto di responsabilità personale e di fiducia, una relazione vitale col il Padre nella quale riconoscerci figli e figlie, fratelli e sorelle… con tutti.
Non ci sono più steccati, barriere, ostacoli… ma solo “trampolini di lancio” sui quali avventurarci vincendo le nostre innate paure, verso un’inedita esperienza di vita.
Contestualizzazione evangelica e biblica di Giovanni 10,1-10
“Io-Sono la porta per le pecore”.
Una similitudine per spiegare il “segno” del capitolo 9.
La prima similitudine, che costituisce l’insegnamento originario di Gesù [B. MAGGIONI], non è capita (cf v. 6)… ma da chi? Gli ultimi interlocutori di Gesù, non menzionati subito, sono i farisei con i quali Gesù aveva avuto una forte discussione a riguardo della guarigione dell’uomo nato cieco (cf 9,40-41) che loro avevano espulso fuori dal Tempio, “il sacro recinto” (cf v. 34b) e per questo Gesù, saputa la cosa, lo ha incontrato e gli ha chiesto un’attestazione di fede in Lui (cf vv. 35-39).
“Amen, amen vi dico” (v. 1). Così Gesù inizia bruscamente un nuovo insegnamento, spiegazione parabolica di ciò che era avvenuto nel Tempio. È attestato dalla reazione degli ascoltatori che di nuovo
si ritroveranno divisi, i capi giudei: “Ha un demonio e delira”; “Può forse un demonio aprire gli occhi a dei ciechi?!” (vv. 19-21 omessi nella proclamazione liturgica).
La similitudine è abbastanza lineare (vv. 1-5): il recinto custodisce le pecore; chi entra per la porta è il pastore; chi invece scavalca per entrare è un ladro o un brigante; il custode apre al pastore; le pecore ascoltano la sua voce; il pastore, chiamando le pecore per nome, le fa uscire; le spinge fuori e poi cammina davanti a loro; le pecore lo seguono riconoscendo la sua voce; non così con un estraneo di cui non conoscono la voce.
Che cosa non capiscono o “fanno finta” di non capire gli ascoltatori? Che stia parlando proprio di loro identificandoli come ladri e briganti![M.MAGGI]
L’ ermeneutica della similitudine è dettata da Gesù.
Anzitutto Egli si “auto-rivela divinamente”: “Io-sono la porta” attraverso la quale si può uscire ed entrare liberamente per pascolare (cf vv. 7 e 9); questo costituisce il motivo e il senso della sua venuta messianica: “dare Vita in abbondanza” (cf v. 10b).
Se “il recinto”, e non l’ovile, è il “luogo sacro” (cf Esodo 40) nel quale Dio “custodisce/guida” da Pastore il suo gregge / popolo con la sua gloriosa presenza, Gesù, identificandosi come “la porta”, si sostituisce anche alla funzione esercitata dalla “Porta delle pecore” nel Tempio di Gerusalemme.
Eglisi pone come passaggio unico e obbligato per la salvezza, sia a favore del popolo sia di chi lo guida: Lui è il solo che può “entrare nel recinto” (cf Ebrei9 e 10)per “condurre fuori” da esso, “spingendo fuori”poiché è un compito faticoso quello di convincere ad uscire fuori da un luogo che costringe sì ma che anche protegge, garantendo il “minimo vitale assicurato” per intraprendere un cammino di libertà e di autonomia. Ricorda la fatica di Mosè nel condurre “fuori dall’Egitto” il popolo (cf Esodo 15. 16. 17).
Per contro i suoi interlocutori, venuti prima di lui, “sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati” perché vengono “per rubare, uccidere e distruggere” (cf vv. 8 e 10a).
Il ruolo delle “guide di Israele” era di continuare la “cura” di Dio per il suo popolo e di avvicinare a Lui le persone che hanno bisogno della sua presenza e della sua misericordia.
Già Ezechiele, con le sue profezie, inveiva sui cattivi pastori che diventavano “lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (cf 22,27) pronunciando “Guai ai pastori di Israele” (34,1-34; cf 1Enoch 89,41-50).
Gesù, nella sua ermeneutica della similitudine, presenta se stesso come l’atteso Messia “re pastore” [Davide] e identifica gli altri come “ladri e briganti” nel senso di Ezechiele.
Così si capisce meglio la reazione successiva dei capi (cf vv. 19-21 e 31) che, smascherati e denunciati da Gesù, si rendono perfettamente conto di essere ubbiditi dalla gente ma “non ascoltati” gente che li considera “estranei” alle loro necessità di vita (cf v. 8 e 10b): loro non attendono la venuta messianica del “vero pastore”, anzi la temono (cf Isaia 29,13).
Attraverso Gesù “la porta”, il popolo è finalmente libero di “entrare e di uscire”, che non è solo libertà di movimento, ma di chi vive oramai in una piena comunione di vita e di fiducia [S.PANIMOLLE]. Libertà nel nutrirsidella vita di Dio che è amore e non più una norma come la Legge (cf v. 9dove si gioca sui termini nomē = pascolo e nòmos = legge); Vitadonata gratuitamente e “in abbondanza”, cioè totalmente e pienamente (cf 2,6-10; 6,11ss.).
Ambientazione liturgica
N. B. Il capitolo 10 del racconto evangelico di Giovanni, viene letto nella IV domenica del “tempo pasquale” (nel ciclo A: vv. 1-10; nel ciclo B: vv. 11-18; nel ciclo C: vv. 27-30); la domenica è denominata comunemente del “Buon Pastore” con un’intenzione “vocazionale”.
Conveniamo per la celebrazione liturgica pensando di “entrare in un luogo sacro” mentre Gesù vuole sì incontrarci ma per “condurci fuori”.
La sua Parola ci conduce dalla “conversione” all’amore, come fece la predicazione di Pietro ai suoi concittadini [Atti – I lettura]. Egli, “il Signore” può farlo poiché ha condiviso con noi, integralmente, il nostro umano cammino che conduce anche Lui alla morte ma per amore di noi umani [1Pietro – II lettura], suoi fratelli e suo gregge, di Lui che è con noi “agnello” e per noi “pastore” che ci guida da dentro della nostra precaria condizione umana ma per non rimanerne per sempre condizionati [Giovanni – Evangelo].
È un cammino di liberazione, iniziato nell’immersione pasquale, che alla fine della celebrazione eucaristica ci “spinge fuori” verso gli altri, tutti, a condividere la stessa esperienza vitale che il Risorto ha fatto scaturire in noi dal suo amore.
Preghiamo
Apre il guardiano al pastore,
la sua voce le pecore ascoltano,
perché le chiama una per una
e fuori dal recinto le conduce.
Il pastore esperto le guida
e le pecore tutte lo seguono,
la sua voce conoscono bene,
tutte insieme le ha convocate.
Vanno errando le pecore mie
come pecore senza pastore,
nel paese nessuno le cerca
e non c'è chi si cura di loro.
Preda è ormai il mio gregge,
il suo pascolo è calpestato,
la sua acqua intorbidata,
mercenari sono venuti.
Gesù dice alla folla raccolta:
Sono io il buon pastore,
vengo a prendere il mio gregge
e chiunque ascolta la mia voce.
Do la vita per le mie pecore,
sono deboli, inferme, perdute,
in un solo ovile raccolte,
saran gregge di un solo pastore.
[Inno – Comunità di Sant’Egidio]
Gesù fa che apriamo il nostro cuore per sentire la Tua voce che ci chiama per condurci verso la vera libertà.
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