venerdì 23 dicembre 2022

VICINA È LA PAROLA 24 – 25 DICEMBRE 2022 IL NATALE DEL SIGNORE NELLA PAROLA PROCLAMATA

VICINA È LA PAROLA 
24 – 25 DICEMBRE 2022 
IL NATALE DEL SIGNORE NELLA PAROLA PROCLAMATA 
Isaia 62,1-5 Salmo 88 Atti 13,16…25 Matteo 1,1-25 
Isaia 9,1…6 Salmo 95 Tito 2,11-14 Luca 2,1-14 
Isaia 62,11-12 Salmo 96 Tito 3,4-7 Luca 2,15-20 
Isaia 52,7-10 Salmo 97 Ebrei 1,1-6 Giovanni 1,1-18 
“Dimmi, figlio,  
come sei stato seminato in me e come sei nato? 
Ti vedo, o mie viscere, e stupisco: 
il mio seno è gonfio di latte e non sono sposa. 
Ti vedo avvolto nelle fasce  
e scorgo ancora intatto il sigillo della mia verginità 
perché sei tu che l’hai serbata tale, 
quando ti sei degnato di nascere 
nuovo Bambino, Dio prima dei secoli”. 
[ROMANO IL MELODE
CONTESTUALIZZAZIONE LITURGICA 
Nessuna solennità durante l’anno conosce così tante celebrazioni come LA NATIVITÀ DEL  SIGNORE.Un’esuberanza straordinaria cominciando dalla VIGILIA allaNOTTE, dall’AURORA alGIORNO e poi  per una settimana intera l’OTTAVA DEL NATALE
Questo non per offrire a tutti, senza libi, la possibilità comunque di parteciparvi o perché il  Natale sia la festa più importante dell’anno, anche se la più sentita. Distribuendola così la chiesa  vuole dirci che il mistero dell’umanità di Cristo si insinua nella nostra esistenza e nella nostra storia  quotidiana, oltre che universale. 
La Parola proclamata e ascoltata ci conduce passo passo in questa esperienza vitale. La  ricchezza dei testi, ma anche la loro frammentazione ci può far perdere il senso di un unico annuncio  anche se così plurale ed avvincente. 
LA PAROLA NATALIZIA 
La nascita del Nazareno è ben raccontata nel vangelo di Luca 2,1-20 e proclamata nelle due  celebrazioni: NOTTE (vv. 1-14) e AURORA (vv. 15-20). Il suo racconto ha ispirato per secoli, fino ad oggi,  il nostro modo di celebrare il Natale, ed ha resistito anche nella nostra società secolarizzata e  consumistica, ad esempio con l’allestimento del presepe. 
Nel GIORNO del Natale viene invece proclamato “il prologo” del racconto evangelico di  Giovanni 1,1-18, un inno cristologico in cui di Gesù Cristo “non si dice tutto, ma apre su tutto”. Della precedente narrazione, apparentemente un po’ “romantica”, non rimane nulla, come  se durante il giorno si fosse dissolta la neve caduta nella notte. 
Effettivamente la composizione giovannea dista alcuni decenni dopo quelle dei vangeli  sinottici e più di 90 anni dopo i fatti narrati. Ormai le comunità cristiane sono presenti in quasi tutti  i paesi sul mediterraneo e oltre, l’originaria religiosità e cultura giudaico-palestinesi hanno  incontrato quella ellenistica e forse quelle orientali, hanno dovuto affrontare anche persecuzioni  molto violente e cruente. Comunque esse sono già molto ben organizzate e variamente articolate. 
Il centro della vita cristiana è il mistero della morte e risurrezione del Signore, e la  celebrazione eucaristica il nucleo fondamentale della sua vitalità. 
Ora si può parlare di Gesù anche in termini nuovi, finora inusuali, tipici dei filosofi, col rischio  di rimanere al livello di qualche astrazione teoretica senza abbandonare la forte valenza simbolica 
dei fatti e la redazione di Giovanni lo fa (sarà per questo che in alcune celebrazioni si preferisce  ‘legittimamente’ proclamare i brani lucani e non questo!). 
Tuttavia, per capire meglio il prologo, occorrerebbe aver letto prima tutto l’intero racconto  evangelico, infatti si sostiene che esso sia l’ultima parte scritta e posta all’inizio. Nell’inno ricorrono alcuni termini e temi che poi verranno ripresi, sviluppati, approfonditi:  parola, luce, vita, tenebre, gloria, grazia, verità… sono qui concentrati in modo quasi enigmatico. Ci sono commenti esaustivi su questo brano, io vorrei darne soltanto alcune chiavi  ermeneutiche, che possano anche aiutarci a celebrare il Natale in modo più completo. Anzitutto si parte dal principio (“In principio Dio…Genesi 1,1…). Nel “nostro inizio”,  comunque noi siamo in grado di spiegarlo ‘scientificamente’, non c’è il caos o il caso, e nemmeno la  necessità… c’è un dia-logo, una relazione e comunicazione: il Verbo - Parola. Ecco perché noi siamo esseri in relazione, e troviamo gusto e appagamento nella nostra  esistenza se riusciamo ad avere rapporti significativi e gioiosi. 
Se, quando ci interroghiamo sul senso dell’universo nel quale siamo immersi e sul significato  della nostra storia, personale e sociale, ci ponessimo in questa prospettiva, forse avremmo qualche  elemento in più di comprensione. 
Infatti Lui, il Verbo-Parola, non solo è rivolto verso Dio, ma è Dio stesso rivolto verso di noi! Alla fine Giovanni dirà in una sua lettera che Dio è Amore (1Giovanni 4,8), perché noi  sappiamo bene che l’amore è la relazione più forte che conosciamo e la più intensa forma di  comunione e quindi anche di conoscenza tra di noi. 
Se questa Parola che comunica con Dio, è Dio stesso come Amore, allora ci dice che noi siamo  amati e che siamo felici solo se e quando amiamo, e la lettera lo spiega diffusamente. Questa Parola è stata anche rivolta verso di noi, e la Scrittura lo testimonia in modo esaustivo  così da diventare, anzitutto per il popolo di Israele, ma anche per tutti gli esseri umani, vita e luce. Ancora di più, “tutto è stato fatto in questa modalità” e quindi si manifesta in relazione con  ed essa è l’unico modo che abbiamo di conoscere il mistero dell’esistenza e della vita, non solo sul  nostro pianeta. 
Tuttavia questa esperienza non è tutta luminosa, ci sono anche tenebre, nelle forme più  diverse, drammatiche e terribili, ma esse non avranno mai il sopravvento definitivo sulla luce e sulla  vita, e questo ci riempie di fiducia e di speranza nella nostra esistenza come genere umano. 
La presenza della luce sembra scontata, ma non lo è in una ambiente mondano che rifiuta la  relazione e cerca solo l’autosufficienza e il potere, anzi paradossalmente “non riconosce che è luce”,  quella di cui ha bisogno! 
Eppure la luce viene proprio in questo mondo, che dovrebbe essere la sua casa, ma non è  accolto se non da coloro che gli credono. 
Questo è l’atteggiamento nevralgico di tutto il racconto evangelico di fronte alla rivelazione  che Dio fa di sé stesso in Gesù: credere nel Figlio. Alla nostra pretesa di “vedere per credere” si  contrappone l’esperienza che “credendo si vede”. Questo è il percorso di tutto il vangelo dall’inizio  (cf 2,11) fino alla fine (cf 20,31). 
Così credere diventa un’esperienza, un “poter essere” e non più un dovere: diventare figli figlie, cioè amati e generati, da Dio stesso come il Figlio unigenito. 
È la possibilità unicamente data dal “farsi carne” del Figlio e del suo “dimorare tra noi”: un  conoscere assolutamente nuovo di noi stessi, ma anche di Dio, che scaturisce dalla sua rivelazione. Gli opposti per antonomasia, la parola e la carne, che convivono stabilmente in una nuova  umanità, quella Figlio e di noi figli e figlie. 
Si apre, non solo una nuova epoca, ma un nuovo percorso di vita, di conoscenza e di  comportamento normati dalla gratuità dell’amore e dalla verità che fa liberi. Non siamo più sottoposti ad un’etica, ma esprimiamo una nuova identità nata dalla  partecipazione alla vita stessa di Dio, di cui possiamo vedere il volto. Lo conosciamo per esperienza  e non per immaginazione; condividiamo la sua presenza tra noi, un noi che dà all’io la sua vera  dimensione (nel prologo tutto è al plurale).
Mi sembra che queste siano alcune caratteristiche della celebrazione “natalizia”. Vediamo perché crediamo, crediamo perché amati, amati ci amiamo.

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