VICINA È LA PAROLA 6 NOVEMBRE 2022
DOMENICA XXXII/C
2Maccabei 7,1-2.9-14
Salmo 16
2Tessalonicesi 2,15- 3,5
Luca 20,27-38
per sempre… la Vita!
Spesso la banalizzazione della domanda è peggio di una risposta insoddisfacente o contraria. Non è solo la sensazione di sentirci presi in giro, ma la percezione di essere stati idioti nel chiederci il come o il perché.
“Sarà mica questione di vita o di morte…!”.
In realtà sono sempre in questione la vita e la morte per noi “esseri viventi” che in ogni desiderio e scelta, pur inconsapevolmente, aspiriamo ad allontanare la morte e ad eternizzare la vita.
Non è proprio nell’esperienza dell’amore, come quella sponsale, che sperimentiamo il limite e l’impulso all’infinito suo superamento? Ogni legame stabilisce una sicurezza nella quale custodire, alimentare, perpetuare l’esistenza e nello stesso tempo si dimostra come incapace di rispondere all’ansia di infinito.
L’Amore che appaga e soddisfa, insieme manifesta la precarietà e la fragilità di esistere pur garantendone il suo valore eterno.
L’esistenza umana di Gesù nazareno ne è la prova più evidente eppure impossibile da recepire nelle nostre ricerche intellettuali.
Contestualizzazione evangelica di Luca 20,27-38
Salito da Gerico, il Messia Nazareno si avvicina sempre più a Gerusalemme dando adito ad una “manifestazione imminente del regno di Dio”. In effetti lo sarà, ma non come l’opinione pubblica se lo aspettava; la parabola “del signore e dei servi” lo chiarisce in modo inequivocabile, emblematico e drammatico (cf 19,11-27).
Quest’ultimo insegnamento “fuori” dalla Città Santa dà “la spinta” a Gesù per affrontare ciò che lo aspetta: vi entra acclamato dalla folla e dai discepoli come “l’Inviato dal Signore” (cf 2,14) e dal popolo che poi lo consegnerà alla crocifissione (cf vv. 28-44; 23,20).
Il suo ingresso nel Tempio è sconvolgente: ribadisce con forza il significato autentico di quella costruzione denunciandone la profanazione e ne ripristina il ruolo con il suo insegnamento al popolo a cui annunzia la Parola di Dio (cf vv. 43-48; 20,1).
Un’attività settimanale che sostituisce quella che competerebbe alle autorità religiose a questo proposte e accreditate come tali, le quali non accettano questa “usurpazione” e subito lo interrogano sulla sua “autorità” e lo attaccano per metterla in discussione e cercare un motivo per farlo morire (cf 19,47-48; 20,2-8).
La nuova parabola che Gesù rivolge al popolo, oltre alla formalizzazione del “rifiuto” nei suoi confronti, mette in evidenza la “nuova” tattica di Dio: scegliere “lo scarto” per rendersi presente nell’umanità e operarvi (cf vv. 9-19).
Fallito il primo attacco ci riprovano mandando avanti i loro “informatori… con lo scopo di consegnarlo all’autorità romana” che sola aveva il potere di condannarlo a morte, con il pretesto di sapere l’opinione di Gesù sull’obbligo per un ebreo di pagare la tassa imperiale (cf vv. 20-26).
Un terzo “fronte” che si avvicina al Maestro per interrogarlo è quello dei sadducei (una corrente di aristocratici osservanti della Torah che negava la risurrezione). Una parabola stavolta è
proposta da loro ed è palesemente paradossale, ma la risposta di Gesù, come sempre, spiazza tutti: l’esperienza della risurrezione sarà la pienezza della vita umana in quella di Dio e viceversa e la si sperimenta nel dono di Dio che rende capaci [“degni”] di vivere già ora come suoi figli e figlie, non da “sterili speculatori” come si dimostrano i sadducei (cf vv. 27-38).
Gli argomenti di queste “cinque dispute” hanno sicuramente la loro importanza dottrinale nello “scontro finale messianico” tra il Nazareno e le autorità del suo popolo che prelude alla sua condanna; ma lo avranno anche per la comunità lucana che in vari frangenti si troverà a doversi confrontare con altre dottrine religiose e correnti di pensiero, anche all’interno della comunità stessa. Altri commentatori le spiegheranno sicuramente più a fondo, io vorrei che venisse invece in primo piano lo sfondo sulle quali avvengono: una polemica non fine a se stessa, ma che tenda una “trappola” a Gesù per metterlo in difficoltà, in cattiva luce davanti al popolo, così da avere motivi per farlo condannare a morte, strumentalizzando l’insegnamento e l’annunzio della Parola di Dio.
La settimana che precede la Pasqua sarà per il Messia nazareno “la resa dei conti” con i suoi oppositori: la sua morte ultimo atto della manifestazione del Padre “misericordioso” (cf 23,32-49) e la sua risurrezione speranza per la vita di tutti (cf 24,1-9).
La realtà supererà la narrazione iperbolica, l’esperienza di donne e uomini rinnovati dalle “sue parole” sarà per loro l’inizio di una “vita eterna” vissuta da figlie e figli del Padre.
Ambientazione liturgica
+ Al centro della sinassi eucaristica l’assemblea celebrante acclama: “Annunciamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua risurrezione; nell’attesa della tua venuta”. Viene così messo in luce il senso più profondo dell’azione liturgica: celebrare la Pasqua del Signore Gesù e la nostra; in comunione con Lui inizia anche per noi un’esperienza di vita nuova che la morte non soltanto non può spezzare, ma permetterà di vivere in pienezza senza nessun limite fisico.
Per questa terzultima domenica dell’anno liturgico lo sguardo della chiesa, illuminato dalla Parola, si volge così alle esperienze “ultime… o penultime”: la morte e la risurrezione, “avvento” individuale di ciascuno.
- Per cui ogni casistica banalizzante, di scetticismo ed incredulità nei confronti della risurrezione (pur mascherati di ironia o di sincera volontà di conoscere), finiscono per privare l’essere umano delle risposte vere ai suoi più profondi drammi interiori, se non addirittura di annientarlo nella sua legittima e vitale ricerca di un futuro eterno [Evangelo]. Anche persone inermi e sprovvedute, minacciate però da una cruenta persecuzione, avevano già manifestato una forza sorprendente nell’attestare la presenza e il rapporto con Dio “fonte della vita e amante dei viventi” [2Maccabei – I lettura].
- Sono esempi anche per le comunità cristiane spesso fin dalle origini sottoposte alle persecuzioni e all’esperienza della morte violenta o innocente, per le quali l’apostolo Paolo invoca benedizione “ricordando” le promesse e che “Il Signore nostro Gesù Cristo ci ha gratuitamente amati e Dio, padre nostro, ci ha donato una consolazione eterna e una buona speranza”. Questa è la “parola” che deve “circolare con vigore” tra i credenti e deve sostenere i ministri messi alla prova come il Signore “da gente molesta e malvagia” [2Tessalonicesi – II lettura].
- La stessa preghiera dell’ebreo sofferente diventa la supplica liturgica della comunità cristiana in ogni circostanza anche personale [Salmo 16].
+ Facciamo anche noi l’esperienza del Dio “amante della vita, amico degli esseri umani” che si è manifestato tale nella storia dell’umanità e che in Gesù ha risposto ai nostri interrogativi vitali aprendoci alla speranza con il suo accondiscendere alle nostre curiosità e rifiutando i giochi umani di prestigio e di potere, di vano sapere. “Il nostro futuro, indisponibile a noi stessi, è il futuro di Dio. Il Dio della nostra vita ci dona la speranza immergendosi nella nostra stessa morte e sottraendole ogni potere con la forza unica e vittoriosa dell’Amore; con la sua risurrezione annunzia anche all’amore sponsale un futuro nuovo e indistruttibile” (COMUNITÀ DI VIBOLDONE).
Preghiamo con la Liturgia
Padre, che sei il Dio dei viventi,
e fai risorgere coloro che si addormentano in te, concedi che la parola della nuova alleanza, seminata nei nostri cuori,
germogli e porti frutti di opere buone per la vita eterna. Amen.
DOMENICA XXXII/C
2Maccabei 7,1-2.9-14
Salmo 16
2Tessalonicesi 2,15- 3,5
Luca 20,27-38
per sempre… la Vita!
Spesso la banalizzazione della domanda è peggio di una risposta insoddisfacente o contraria. Non è solo la sensazione di sentirci presi in giro, ma la percezione di essere stati idioti nel chiederci il come o il perché.
“Sarà mica questione di vita o di morte…!”.
In realtà sono sempre in questione la vita e la morte per noi “esseri viventi” che in ogni desiderio e scelta, pur inconsapevolmente, aspiriamo ad allontanare la morte e ad eternizzare la vita.
Non è proprio nell’esperienza dell’amore, come quella sponsale, che sperimentiamo il limite e l’impulso all’infinito suo superamento? Ogni legame stabilisce una sicurezza nella quale custodire, alimentare, perpetuare l’esistenza e nello stesso tempo si dimostra come incapace di rispondere all’ansia di infinito.
L’Amore che appaga e soddisfa, insieme manifesta la precarietà e la fragilità di esistere pur garantendone il suo valore eterno.
L’esistenza umana di Gesù nazareno ne è la prova più evidente eppure impossibile da recepire nelle nostre ricerche intellettuali.
Contestualizzazione evangelica di Luca 20,27-38
Salito da Gerico, il Messia Nazareno si avvicina sempre più a Gerusalemme dando adito ad una “manifestazione imminente del regno di Dio”. In effetti lo sarà, ma non come l’opinione pubblica se lo aspettava; la parabola “del signore e dei servi” lo chiarisce in modo inequivocabile, emblematico e drammatico (cf 19,11-27).
Quest’ultimo insegnamento “fuori” dalla Città Santa dà “la spinta” a Gesù per affrontare ciò che lo aspetta: vi entra acclamato dalla folla e dai discepoli come “l’Inviato dal Signore” (cf 2,14) e dal popolo che poi lo consegnerà alla crocifissione (cf vv. 28-44; 23,20).
Il suo ingresso nel Tempio è sconvolgente: ribadisce con forza il significato autentico di quella costruzione denunciandone la profanazione e ne ripristina il ruolo con il suo insegnamento al popolo a cui annunzia la Parola di Dio (cf vv. 43-48; 20,1).
Un’attività settimanale che sostituisce quella che competerebbe alle autorità religiose a questo proposte e accreditate come tali, le quali non accettano questa “usurpazione” e subito lo interrogano sulla sua “autorità” e lo attaccano per metterla in discussione e cercare un motivo per farlo morire (cf 19,47-48; 20,2-8).
La nuova parabola che Gesù rivolge al popolo, oltre alla formalizzazione del “rifiuto” nei suoi confronti, mette in evidenza la “nuova” tattica di Dio: scegliere “lo scarto” per rendersi presente nell’umanità e operarvi (cf vv. 9-19).
Fallito il primo attacco ci riprovano mandando avanti i loro “informatori… con lo scopo di consegnarlo all’autorità romana” che sola aveva il potere di condannarlo a morte, con il pretesto di sapere l’opinione di Gesù sull’obbligo per un ebreo di pagare la tassa imperiale (cf vv. 20-26).
Un terzo “fronte” che si avvicina al Maestro per interrogarlo è quello dei sadducei (una corrente di aristocratici osservanti della Torah che negava la risurrezione). Una parabola stavolta è
proposta da loro ed è palesemente paradossale, ma la risposta di Gesù, come sempre, spiazza tutti: l’esperienza della risurrezione sarà la pienezza della vita umana in quella di Dio e viceversa e la si sperimenta nel dono di Dio che rende capaci [“degni”] di vivere già ora come suoi figli e figlie, non da “sterili speculatori” come si dimostrano i sadducei (cf vv. 27-38).
Gli argomenti di queste “cinque dispute” hanno sicuramente la loro importanza dottrinale nello “scontro finale messianico” tra il Nazareno e le autorità del suo popolo che prelude alla sua condanna; ma lo avranno anche per la comunità lucana che in vari frangenti si troverà a doversi confrontare con altre dottrine religiose e correnti di pensiero, anche all’interno della comunità stessa. Altri commentatori le spiegheranno sicuramente più a fondo, io vorrei che venisse invece in primo piano lo sfondo sulle quali avvengono: una polemica non fine a se stessa, ma che tenda una “trappola” a Gesù per metterlo in difficoltà, in cattiva luce davanti al popolo, così da avere motivi per farlo condannare a morte, strumentalizzando l’insegnamento e l’annunzio della Parola di Dio.
La settimana che precede la Pasqua sarà per il Messia nazareno “la resa dei conti” con i suoi oppositori: la sua morte ultimo atto della manifestazione del Padre “misericordioso” (cf 23,32-49) e la sua risurrezione speranza per la vita di tutti (cf 24,1-9).
La realtà supererà la narrazione iperbolica, l’esperienza di donne e uomini rinnovati dalle “sue parole” sarà per loro l’inizio di una “vita eterna” vissuta da figlie e figli del Padre.
Ambientazione liturgica
+ Al centro della sinassi eucaristica l’assemblea celebrante acclama: “Annunciamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua risurrezione; nell’attesa della tua venuta”. Viene così messo in luce il senso più profondo dell’azione liturgica: celebrare la Pasqua del Signore Gesù e la nostra; in comunione con Lui inizia anche per noi un’esperienza di vita nuova che la morte non soltanto non può spezzare, ma permetterà di vivere in pienezza senza nessun limite fisico.
Per questa terzultima domenica dell’anno liturgico lo sguardo della chiesa, illuminato dalla Parola, si volge così alle esperienze “ultime… o penultime”: la morte e la risurrezione, “avvento” individuale di ciascuno.
- Per cui ogni casistica banalizzante, di scetticismo ed incredulità nei confronti della risurrezione (pur mascherati di ironia o di sincera volontà di conoscere), finiscono per privare l’essere umano delle risposte vere ai suoi più profondi drammi interiori, se non addirittura di annientarlo nella sua legittima e vitale ricerca di un futuro eterno [Evangelo]. Anche persone inermi e sprovvedute, minacciate però da una cruenta persecuzione, avevano già manifestato una forza sorprendente nell’attestare la presenza e il rapporto con Dio “fonte della vita e amante dei viventi” [2Maccabei – I lettura].
- Sono esempi anche per le comunità cristiane spesso fin dalle origini sottoposte alle persecuzioni e all’esperienza della morte violenta o innocente, per le quali l’apostolo Paolo invoca benedizione “ricordando” le promesse e che “Il Signore nostro Gesù Cristo ci ha gratuitamente amati e Dio, padre nostro, ci ha donato una consolazione eterna e una buona speranza”. Questa è la “parola” che deve “circolare con vigore” tra i credenti e deve sostenere i ministri messi alla prova come il Signore “da gente molesta e malvagia” [2Tessalonicesi – II lettura].
- La stessa preghiera dell’ebreo sofferente diventa la supplica liturgica della comunità cristiana in ogni circostanza anche personale [Salmo 16].
+ Facciamo anche noi l’esperienza del Dio “amante della vita, amico degli esseri umani” che si è manifestato tale nella storia dell’umanità e che in Gesù ha risposto ai nostri interrogativi vitali aprendoci alla speranza con il suo accondiscendere alle nostre curiosità e rifiutando i giochi umani di prestigio e di potere, di vano sapere. “Il nostro futuro, indisponibile a noi stessi, è il futuro di Dio. Il Dio della nostra vita ci dona la speranza immergendosi nella nostra stessa morte e sottraendole ogni potere con la forza unica e vittoriosa dell’Amore; con la sua risurrezione annunzia anche all’amore sponsale un futuro nuovo e indistruttibile” (COMUNITÀ DI VIBOLDONE).
Preghiamo con la Liturgia
Padre, che sei il Dio dei viventi,
e fai risorgere coloro che si addormentano in te, concedi che la parola della nuova alleanza, seminata nei nostri cuori,
germogli e porti frutti di opere buone per la vita eterna. Amen.
Dacci il Tuo Spirito Signore per vivere nel mondo manon del mondo
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