domenica 25 settembre 2022

VICINA È LA PAROLA 25 SETTEMBRE 2022 DOMENICA XXVI/C L’abisso dell’Amore

VICINA È LA PAROLA 

25 SETTEMBRE 2022 

DOMENICA XXVI/

Amos 6,1a-7 

Salmo 146 

1Timoteo 6,11-16 

 Luca 16,19-31 

L’abisso dell’Amore 

Con tutti gli “abissi” nei quali l’umanità rischia di sprofondare, rischiamo di dimenticare  quello che è costituito dall’intimo di ogni persona. “L’anima umana è come un abisso che attira Dio,  e Dio vi si getta”. (JULIEN GREEN) 

Ci sono abissi scavati da noi soprattutto quelli sociali, creati dalle disuguaglianze economiche  e dall’ingiusta “distribuzione” delle ricchezze, come del suo libero accesso, di cui evito di citare le  statistiche facilmente reperibili in rete (https://asvis.it/notizie). Ma c’è anche l’abisso della  solitudine e del dolore dal quale non è facile uscire. 

“Davanti a questa prospettiva, che non mi è estranea, provo paura. Sento racconti di missili  che piovono sulla testa di tante persone, e continuo la mia strada, come se niente fosse. Davanti  all’irrigidimento del cuore, alla sua pietrificazione, non so che cosa fare. Cerco una parola nel  vangelo e trovo un nome, Lazzaro, “Dio aiuta”. Dio aiuta, facendomi prendere coscienza del rischio  che corro. Dio aiuta, mettendomi davanti esempi di persone che la distanza tra sé e gli altri la  percorrono, e offrono da mangiare, offrono un tetto e messaggi pieni di incoraggiamento. Non vi  lasceremo mai soli. Dio aiuta. Lasciamoci aiutare. Ma com’è difficile!”. (STEFANO CORTICELLI SJ) 

Contestualizzazione evangelica di Luca 16,19-31 

Il racconto evangelico di Luca ci testimonia il cammino di fede di una comunità che non è  solo impegnata a vivere nel suo “oggi” l’evangelo del Nazareno, ma che vuole attuarlo e  contestualizzarlo nelle dinamiche sociali del suo tempo. 

L’ultimo “detto” del brano proclamato nella XXV domenica: “Non potete servire Dio  e la ricchezza” (16,13b) pone proprio il dilemma tra un’esistenza asservita alla logica  dell’avere e del possedere, trascurando chi ha meno e nemmeno il necessario per una vita  dignitosa, e quella della giusta ripartizione dei beni materiali. 

Oggi come allora questo suscita la “derisione” dei “farisei di ogni tempo” e per il  credente è una provocazione su quale scelta di vita sia più “giusta” e coerente non solo con  “l’evangelo del Regno di Dio”, ma anche con la perenne validità della Torah a cui si è “legati”  non per dovere ma in “patto sponsale” (cf vv. 14-18). 

Ecco dunque una nuova parabola che apparentemente si presenta come di “consolazione”  per i poveri e di “avvertimento” inesorabile per i ricchi guardando al futuro di un’altra vita su cui  incide il presente che può essere capovolto in vista dell’eternità (cf 16,19-31). 

Ma la conclusione della stessa parabola ci rivela che nemmeno questa prospettiva sortisce  l’effetto risolutivo desiderato, addirittura nel presentarsi vivo di uno che ha superato la morte e  sperimentato come stanno veramente le cose “davanti a Dio” (cf v. 31!). 

C’è forse qui “la delusione” dei cristiani nel non vedere realizzata la portata “rivoluzionaria  dell’evangelo? Oppure “il fallimento” dei suoi tentativi di un’umanità più giusta e solidale già  all’indomani della risurrezione del Nazareno nella città di Gerusalemme? (cf Atti 2,44-45; 4,32-37;  5,1-11)?

In che modo “Dio soccorre” [Lazzaro]? Solo nell’al di là? I ricchi continueranno a godersi la  vita mentre la maggioranza dell’umanità vive sotto la soglia della sopravvivenza, nutrendosi delle  briciole che cadono dalla tavola degli epuloni? 

L’abisso scavato che divide è stato messo in cantiere lungo tutta la storia di ingiustizie  perpetrate ai danni di ogni povero e non finirà, nonostante che “l’uomo Gesù” in quell’abisso si sia  calato con tutta la sua portata di amore realizzando in se stesso anzitutto le condizioni della  “beatitudine” proclamata e da lui attuata (cf Lc 6,20 ss.).  

La morte, come condivisione radicale del destino di ogni essere umano, manifesta lo  svelamento di quanto è già sotto gli occhi di tutti, ma che non vuole essere visto perché non si vuole  guardare in faccia alla realtà.  

Solo il capovolgimento della risurrezione, non come resa dei conti o ristabilimento di un  equilibrio compromesso, ma vittoria definita della vita nella sua piena dignità, sarà per tutti  possibilità di gustarla in base alla propria capacità maturata nell’esercizio quotidiano dell’amore. 

Nessuno avrà più fame o sete fino al punto di morirne o di gozzovigliare per placarla, tutti  comprenderemo chi siamo come “esseri umani” e chi possiamo diventare nell’uomo Gesù Cristo  che l’Amore fa vivere per sempre. (COMUNITÀ DI VIBOLDONE

Ambientazione liturgica 

+ Il compito prioritario della Parola è di metterci anzitutto davanti a Dio nella nostra  situazione personale, comunitaria e sociale. In particolare quella profetica ci richiama alle nostre  responsabilità denunciando le nostre “false sicurezze” e la nostra incapacità di vedere i segni di una  crisi incipiente, allora culminata con l’esilio e oggi con esiti ancora ignoti ma purtroppo prevedibili [Amos 6 – I lettura]. 

- Proprio nella Liturgia la comunità si riconosce interpellata in prima persona verso le  situazioni dei più deboli e svantaggiati, e non cede facilmente alla tentazione di “scaricare” sul  Signore la “fedeltà” ad un patto a cui è tenuto anche il suo popolo che solo così può elevare a Lui la  sua lode [Salmo 146]. 

- La mensa eucaristica non può essere una caricatura della realtà, se alla mensa del benessere  non vogliamo invitati intrusi o “irregolari” ma solo ospiti scelti e selezionati. Essa è per tutti noi  soccorsi dall’Amore -Lazzaro- che tutti ci nutre [Luca 16 - Evangelo]. 

- Così tutti possiamo riconoscerci “uomini di Dio” e stare “al suo cospetto” come ha  testimoniato Gesù davanti a chi -Pilato- lo stava condannando: paradosso dell’Amore che non teme  di essere misconosciuto per essere alla fine riconosciuto e accolto, “il solo che possiede  l’immortalità” [1Timoteo 6 – II lettura]. 

Preghiamo con la Liturgia 

Dio nostro Padre, 

che conosci le necessità dei poveri 

e non abbandoni il debole nella sua solitudine, 

liberaci dalla schiavitù del nostro egoismo 

affinché non siamo sordi alla voce di chi invoca aiuto, 

e siamo così testimoni credibili del Cristo risorto. 

Amen.

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