sabato 10 settembre 2022

VICINA È LA PAROLA 11 SETTEMBRE 2022 DOMENICA XXIV C IL DIO IN CUI VALGA LA PENA CREDERE

VICINA È LA PAROLA 

11 SETTEMBRE 2022 

DOMENICA XXIV C 

 Esodo 32,7-11.13-14 

 Salmo 50 

 1Timoteo 1,12-17 

 Luca 15,1-10* [11-32] 

IL DIO IN CUI VALGA LA PENA CREDERE 

Sì, credo in Dio. Ma in quale Dio credo? 

Non pensavo di arrivare a pormi questa domanda, alla mia età… dopo tante esperienze. Mi verrebbe da rispondere “nel Dio di Gesù Cristo”. Ma non è che così la cosa diventi più  semplice e le domande si dissolvano, anzi. 

Leggo il vangelo e so bene che lì trovo un riferimento, un’esperienza vissuta e narrata,  consegnata… un punto di partenza anche per me, ma non di arrivo. 

Mi si apre uno spiraglio nella mia esistenza e nella storia che anche io sto vivendo, da cui  filtra una luce sufficiente per non cercare al buio e nemmeno come conferma di una Presenza  davanti a me, ma per ascoltare dentro di me e non perdermi dietro a formule o immagini  stereotipate.  

Certo anche il vangelo ne usa di efficaci… le parabole sono affascinanti ma anche ingannevoli  se ci fermiamo a livello della narrazione come se si trattasse di una esemplificazione o di un lieto  fine. A volte mi sento risucchiato dal racconto, perdo il senso della vicenda e mi rimane insistente una parola attraverso la quale Qualcuno mi parla di sé, di me… della Vita che spesso l’esistenza non  accoglie o rifiuta addirittura. Percepisco che paradossalmente la Parola mi apre all’ascolto come  ricerca, accoglienza, cura e giudizio sul mio “mal vivere”. E nello stesso tempo mi fa sentire “amato” 

perché sono io (o perché “io sono”?), di nuovo generato e rilanciato nella trama delle innumerevoli  e a volte contorte relazioni di cui non posso fare a meno. 

Contestualizzazione evangelica di Luca 15,1-32 

Tutti si avvicinano a Gesù ma in modo particolare per ascoltarlo gli “esattori delle tasse”  (pubblicani) e “gli scomunicati” (pubblici peccatori).  

La cosa non è gradita ai farisei e agli esperti della Torah (scribi) ed un buon motivo per  accusarlo: “Li accoglie e mangia con loro” (Luca 15,1-2 cf 5,29-32; 19,5-9). 

Ora le parabole sono tre collegate tra loro come in un unico trittico [“questa parabola”] ed  hanno come soggetti gli “amici” di Gesù e i suoi “oppositori”, ma al centro un Dio finora sconosciuto.

“Un uomo che perde una pecora fuori dalla sua casa e ve la riporta; una donna che perde  una monetina in casa e la ritrova; un padre/madre che ha due figli: il minore “si perde” fuori casa e  vi ritorna, il maggiore “è perso” in casa e…” (E. BORGHI).  

Nell terza (cf vv. 11-32) “la svolta” è impressa dalla “prospettiva pasquale” che riguarda la  comunità di Luca e quindi anche noi: “era morto ed è tornato in vita” (cf vv. 24 e 32). L’esperienza del perdono ricevuto e donato è una morte [“perdere”] e risurrezione [“ritrovare”]: permette all’essere umano di riconoscere e di accogliere la presenza di Dio nella  propria esistenza come fonte di vita nuova. 

Gli elementi che caratterizzano la novità, fonte di “gioia incontenibile” sia da parte delle  persone che di Dio stesso (cf vv. 5-6 e 9-10), sono la sproporzione numerica che non meriterebbe  un intervento così paradossale (100 pecore: 1 e 99; 10 monetine e 1) e la constatazione che “non  tutto era perduto” come spesso invece sembra umanamente constatabile (cf v. 6c). 

Sorprendenti sono la totale assenza di ogni attribuzione di colpa è un’assunzione di  responsabilità sia da parte del pastore che della casalinga (“ne perde una” v. 4; “che avevo perduta”  v. 9b). 

Quale giudizio socio-ecclesiale nei confronti dei così detti “peccatori” (cf vv. 7 e 10)?! Soprattutto che “prassi” personale e comunitaria di ricerca, avvicinamento, cura e  condivisione emerge nei due racconti! Il tutto poi esploderà in drammatica e chiarezza nel “terzo  episodio” della parabola con un finale “eucaristico/sponsale” che non può non avere un riferimento  alle dinamiche interne della comunità cristiana (cf vv. 22-23; 25 ss.). 

Si doveva far festa ed essere pieni di gioia” (v. 32) mette in luce il contesto nel quale avviene  questo processo di salvezza e di risurrezione, l’amore viscerale e generativo di Dio (v. 20b) che è  necessario [“si doveva” – dêin più di 6 volte in Luca] all’esistenza umana e di tutto l’universo. 

Ambientazione liturgica 

+ In ogni celebrazione eucaristica ringraziamo il Padre per la vita sempre nuova che genera  in noi nella morte e risurrezione del suo Figlio, nostra Pasqua: una “fiducia” e una “chiamata” al  servizio di tutti. 

Si tratta di una festa da lui imbandita perché ancora ci ritrova e ci stringe a sé nella sua casa,  una gioia incontenibile che vuole condividere con tutti [Luca 15 – Evangelo]. - È vero che il capitolo 15 andrebbe proclamato tutto intero, è anche vero il rischio nella  predicazione di concentrarsi quasi esclusivamente sul terzo episodio che tuttavia abbiamo già  ascoltato e proclamato nella quaresima di quest’anno (IV domenica); certo più modesti ma non  meno efficaci i primi due episodi, forse anche più comprensibili per l’assemblea dei più piccoli. - Il “genere parabolico” dei Sinottici e di Luca in particolare è molto efficace. Abbiamo  imparato a conoscerlo e ad apprenderlo, forse non sempre correttamente fin da bambini al  catechismo, tuttavia l’esperienza diretta dell’esistenza personale, soprattutto se di un apostolo  come Paolo ha un altro impatto e una portata comunicativa e rivelativa diversa come quella al  discepolo Timoteo che ascoltiamo nella liturgia di oggi [1Timoteo 1.12-17]. - Ci meravigliano le ammissioni di colpa da parte sua (cf v.13)? Dovrebbero piuttosto stupirci  e coinvolgerci il suo rendimento di grazie e la sua capacità di guardare avanti, verso un orizzonte  universale: la sua vicenda è “di esempio a quelli credono in Cristo Gesù ed in Lui trovano la vita  incorruttibile” (v. 16). Ammette la sua non conoscenza [ignoranza] che è quella dell’essere umano  nella sua percezione del divino (cf Romani 1,14...) e nello stesso tempo l’esperienza di un amore  viscerale [misericordia] che accoglie, gestisce e genera nel suo caso ad una vita “nuova” “di fiducia  e di amore” (cf vv. 16 e 14). 

- Così l’autore di Esodo ha interpretato la storia di Israele, della sua uscita dall’Egitto e della  sua peregrinazione nel deserto non nascondendo perfino la sua perversione ed il suo  allontanamento dal Signore, denunciandone la “dura cervice”. Nello stesso tempo esprimendo la  sua percezione antropomorfica dell’ira divina come del suo pentimento e della promessa fatta ad 

Abramo di una discendenza e di una terra. Se qualcuno doveva cambiare atteggiamento era il  popolo, invece qui è Dio che cambia il suo! [Esodo 32,7…14

- In questo senso va la preghiera di Davide, divenuto consapevole del suo fallimento e  bisognoso di una nuova opportunità di vita offerta gratuitamente, generato dall’amore viscerale di  Dio [Salmo 50]. 

Preghiamo con la Liturgia 

Dio nostro Padre,  

la tua misericordia senza limiti, 

donaci di accogliere il tuo gratuito amore 

che sempre ci perdona, 

perché la Chiesa gioisca 

interra e nel paradiso 

per ogni essere umano 

che, peccatore, cambia stile di vita. 

Amen.

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