VICINA È LA PAROLA
ù24 LUGLIO 2022 – DOMENICA XVII C
Genesi 18,20-32 / Salmo 137
Colossesi 2,12-14
Luca 11,1-13
PADRE
Pregare perché
Come si faccia a pregare ed a che cosa serva sono interrogativi con cui hanno a che fare anche i cosiddetti “non credenti”; ma spesso i credenti stessi si arrendono perché “ho pregato tanto… ma il Signore non mi ha ascoltato”; oppure molto semplicemente constatano di non saper pregare o addirittura di non aver mai pregato veramente.
Se nella preghiera chiediamo, siamo sicuri che sia ciò di cui abbiamo veramente bisogno? Certo se abbiamo a che fare con una malattia che si prospetta inguaribile, con una situazione drammatica come la guerra…, con persone irrecuperabili, queste ci sembrano davvero “urgenze” per cui pregare, dato che non riusciamo a cavarcela con le nostre forze.
A rifletterci bene sotto o dietro c’è un‘idea di Dio un po’ “distratto” o troppo occupato in altro, comunque uno a cui piace appunto “farsi pregare” per intervenire.
Ma in realtà Dio non ha nessun altro di cui occuparsi se non noi che ritiene suoi figli e figlie, capaci di reggere le sorti del mondo.
È nel momento in cui ci mettiamo a pregare che emerge “chi è Dio per noi” e per chi o cosa noi viviamo e crediamo.
Evitiamo pertanto due estremi: ritenere che la preghiera risolva tutto o che sia totalmente inutile.
Essa, infatti, non agisce sugli avvenimenti e su Dio modificando la sua volontà nei nostri confronti, ma agisce su di noi: ci cambia, perché noi siamo responsabili di cambiare il mondo. Pregando ci mettiamo in contatto con le nostre risorse profonde più potenti: l’ispirazione creatrice dello Spirito capace di rigenerare continuamente la faccia della terra.
Pregando permettiamo a Dio di cambiare noi stessi, il nostro atteggiamento nei confronti dell’esistenza umana con le sue fragilità, contraddizioni, assurdità… e cominciamo a vederci un senso, un significato, un valore finora nascosti ma presenti: lasciamo che diventi Dio in noi e cominci sprigionare la sua unica vera potenza che è l’amore. La preghiera ci permette di lasciarlo agire liberamente, per il nostro vero bene e per quello degli altri… ciò per cui stiamo pregando.
La malattia non è una disgrazia ma una situazione in cui noi e gli altri possiamo diventare migliori, più umani, più sensibile e compassionevoli, in cui lasciarci amare ed amare vincendo la paura del dolore e della morte, credendo che la fiducia in Dio può farci risorgere… subito!
Sì perché e come se “morisse” la nostra pretesa di essere esauditi e nascesse in noi la disposizione a fare qualcosa, anche un piccolo semplice gesto d’amore.
Non basta pregare Dio per gli altri, occorre lasciarlo agire in me verso di loro. Sono riflessioni e considerazioni che mi ha suscitato l’ennesima lettura di “Ogni giorno è un’alba” (LUIS EVELY).
Ambientazione liturgica
+ Quale momento migliore della celebrazione eucaristica per sperimentare la bellezza, la varietà e l’efficacia della preghiera! Insieme noi lodiamo, ringraziamo, intercediamo, chiediamo il perdono e la misericordia… si tratta comunque e sempre di un dialogo “familiare” che la tradizione latina vuole sempre rivolto al Padre nel Figlio per lo Spirito. [DOSSOLOGIA EUCARISTICA]
- La comunità, riunita in Assemblea liturgica, pregare sempre per e a nome di tutti, è voce dell’umanità dispersa [PREGHIERA UNIVERSALE] e a volte, come Abramo, si spinge fino all’ultima trincea della misericordia e rimane in un dialogo “amichevole” di fiducia, che sa fin dove può osare a rischio anche della sua sicurezza finale [Genesi 18 – I lettura]. Questa fiduciosa speranza nella misericordia senza limiti del Signore è il motivo del “ringraziamento” per una vera “rinascita” nella ritrovata forza, tra “sventure” e nel compimento delle sue promesse [Salmo 137].
- Per il cristiano questa è l’immersione nella morte e risurrezione di Cristo fonte di piena libertà per il perdono ottenuto [Colossesi 2 – II lettura]: la sua preghiera scaturisce proprio da questa esperienza pasquale nella quale tutto allora diventa possibile perché tutto è già stato donato e ricevuto. Da qui prende vita anche il “rendimento di grazie”, cuore della celebrazione eucaristica.
+ Papa Gregorio magno aveva introdotto subito dopo la sinassi giorno la “Preghiera del Signore”, utilizzando il testo di Matteo. Così nella Liturgia, salmica ed eucaristica, la comunità cristiana assolve il mandato di ripeterla tre volte al giorno, con la richiesta quotidiana del “pane di ogni giorno / sostanziale” che qui assume un chiaro connotato “eucaristico” [Luca 11 – Evangelo].
Contestualizzazione evangelica di Luca 11,1-13
[Gesù di Nazaret annuncia la presenza di Dio in noi e in mezzo che è Lui stesso. Per questo invia discepoli e missionari a fare altrettanto. Un volto inedito di Dio viene rivelato e comunicato: il Padre. Questo cambia tutto, sia il modo di agire che di pregare, perché propone un modo nuovo di vivere: da figli e figlie, da fratelli e sorelle.
Propone di fare spazio ad un nuovo “centro di gravità” per la propria persona ed esistenza: l’amore. E questo è stato ben attestato dal racconto parabolico di Luca 10,25-37 e nell’episodio di Betania (cf vv. 38-42). Ora i discepoli, quotidianamente a contatto con Lui, condividendo le sue attività e ascoltando le sue parole, rimangono però impressionati dal suo modo di pregare.]
È ancora la comunità lucana che cerca nella sua origine il senso della preghiera, anche per i singoli credenti e recupera la “tradizione giudaica” di Matteo sulla “novità” [“invece tu…”] dell’insegnamento del Rabbi galileo che, anche a questo riguardo, insiste sul rapporto con il Padre “nell’intimo” (Mt 6,6) e sulla originalità dell’esperienza comunitaria nella “presenza” del Signore risorto (cf 18,19-20). Ritorna l’urgenza e la necessità di “imparare nuovamente” la novità che il Risorto porta anche al pregare (Luca 11,1), recuperando “l’essenziale” del suo insegnamento ai discepoli (è utile un confronto sinottico tra Mt e Lc nella tradizione del “Pater”).
Comunque anche le diversità attestano che non si tratta anzitutto di imparare “una nuova preghiera” ma di entrare in “un nuovo rapporto con Dio” quello filiale di Gesù nei confronti del Padre, “Abbà-Babbo” (cf v. 2). Questo lo porterà a conformarsi in pieno alla sua volontà proprio nell’angoscia e nella morte (cf 22,42; 23,46). Il Maestro insegna infatti solo quello che sperimenta come Figlio; così si esprime dal più profondo di se stesso “colto da incontenibile gioia” (cf 10,21-22).
Paolo ha sicuramente espresso efficacemente quella essenzialità e unicità cristiana dello “Spirito che prega in noi… Abbà, Padre” (cf Galati 4,6; Romani 8,15) ciò include quanto la “Traditio” sottolinea della “libertà” e della “fiducia”.
In Luca risulta così una versione più “familiare” e intima in cui la “santità di Dio” si esprime nella misericordia (cf 1,49-51) che spinge noi a manifestarla con il nostro stile di vita così che “Ciò che Tu vuoi nel Cielo possiamo noi, abitanti della terra, compierlo in modo irreprensibile” (TR. PT.).
La richiesta del “perdono dei peccati” (v. 4) sarà compiuta da Gesù stesso sulla croce: “Padre, perdona loro…” (cf 23,34).
La parabola che segue (cf vv. 5-13) è un’esortazione alla fiducia e alla perseveranza anche perché nel chiedere ciò che si ottiene è comunque sempre il dono dello Spirito sorgente e ambiente del rapporto filiale con il Padre e quindi della preghiera (cf v. 13b).
Preghiamo con la Liturgia
Padre santo e misericordioso,
Cristo tuo Figlio
ci ha insegnato a chiamarti Padre:
invia su di noi lo Spirito Santo, tuo dono,
così che ogni nostra preghiera sarà esaudita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,
tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te,
nell'unità dell’unico Spirito,
ora per l’eternità. Amen.
Genesi 18,20-32 / Salmo 137
Colossesi 2,12-14
Luca 11,1-13
PADRE
Pregare perché
Come si faccia a pregare ed a che cosa serva sono interrogativi con cui hanno a che fare anche i cosiddetti “non credenti”; ma spesso i credenti stessi si arrendono perché “ho pregato tanto… ma il Signore non mi ha ascoltato”; oppure molto semplicemente constatano di non saper pregare o addirittura di non aver mai pregato veramente.
Se nella preghiera chiediamo, siamo sicuri che sia ciò di cui abbiamo veramente bisogno? Certo se abbiamo a che fare con una malattia che si prospetta inguaribile, con una situazione drammatica come la guerra…, con persone irrecuperabili, queste ci sembrano davvero “urgenze” per cui pregare, dato che non riusciamo a cavarcela con le nostre forze.
A rifletterci bene sotto o dietro c’è un‘idea di Dio un po’ “distratto” o troppo occupato in altro, comunque uno a cui piace appunto “farsi pregare” per intervenire.
Ma in realtà Dio non ha nessun altro di cui occuparsi se non noi che ritiene suoi figli e figlie, capaci di reggere le sorti del mondo.
È nel momento in cui ci mettiamo a pregare che emerge “chi è Dio per noi” e per chi o cosa noi viviamo e crediamo.
Evitiamo pertanto due estremi: ritenere che la preghiera risolva tutto o che sia totalmente inutile.
Essa, infatti, non agisce sugli avvenimenti e su Dio modificando la sua volontà nei nostri confronti, ma agisce su di noi: ci cambia, perché noi siamo responsabili di cambiare il mondo. Pregando ci mettiamo in contatto con le nostre risorse profonde più potenti: l’ispirazione creatrice dello Spirito capace di rigenerare continuamente la faccia della terra.
Pregando permettiamo a Dio di cambiare noi stessi, il nostro atteggiamento nei confronti dell’esistenza umana con le sue fragilità, contraddizioni, assurdità… e cominciamo a vederci un senso, un significato, un valore finora nascosti ma presenti: lasciamo che diventi Dio in noi e cominci sprigionare la sua unica vera potenza che è l’amore. La preghiera ci permette di lasciarlo agire liberamente, per il nostro vero bene e per quello degli altri… ciò per cui stiamo pregando.
La malattia non è una disgrazia ma una situazione in cui noi e gli altri possiamo diventare migliori, più umani, più sensibile e compassionevoli, in cui lasciarci amare ed amare vincendo la paura del dolore e della morte, credendo che la fiducia in Dio può farci risorgere… subito!
Sì perché e come se “morisse” la nostra pretesa di essere esauditi e nascesse in noi la disposizione a fare qualcosa, anche un piccolo semplice gesto d’amore.
Non basta pregare Dio per gli altri, occorre lasciarlo agire in me verso di loro. Sono riflessioni e considerazioni che mi ha suscitato l’ennesima lettura di “Ogni giorno è un’alba” (LUIS EVELY).
Ambientazione liturgica
+ Quale momento migliore della celebrazione eucaristica per sperimentare la bellezza, la varietà e l’efficacia della preghiera! Insieme noi lodiamo, ringraziamo, intercediamo, chiediamo il perdono e la misericordia… si tratta comunque e sempre di un dialogo “familiare” che la tradizione latina vuole sempre rivolto al Padre nel Figlio per lo Spirito. [DOSSOLOGIA EUCARISTICA]
- La comunità, riunita in Assemblea liturgica, pregare sempre per e a nome di tutti, è voce dell’umanità dispersa [PREGHIERA UNIVERSALE] e a volte, come Abramo, si spinge fino all’ultima trincea della misericordia e rimane in un dialogo “amichevole” di fiducia, che sa fin dove può osare a rischio anche della sua sicurezza finale [Genesi 18 – I lettura]. Questa fiduciosa speranza nella misericordia senza limiti del Signore è il motivo del “ringraziamento” per una vera “rinascita” nella ritrovata forza, tra “sventure” e nel compimento delle sue promesse [Salmo 137].
- Per il cristiano questa è l’immersione nella morte e risurrezione di Cristo fonte di piena libertà per il perdono ottenuto [Colossesi 2 – II lettura]: la sua preghiera scaturisce proprio da questa esperienza pasquale nella quale tutto allora diventa possibile perché tutto è già stato donato e ricevuto. Da qui prende vita anche il “rendimento di grazie”, cuore della celebrazione eucaristica.
+ Papa Gregorio magno aveva introdotto subito dopo la sinassi giorno la “Preghiera del Signore”, utilizzando il testo di Matteo. Così nella Liturgia, salmica ed eucaristica, la comunità cristiana assolve il mandato di ripeterla tre volte al giorno, con la richiesta quotidiana del “pane di ogni giorno / sostanziale” che qui assume un chiaro connotato “eucaristico” [Luca 11 – Evangelo].
Contestualizzazione evangelica di Luca 11,1-13
[Gesù di Nazaret annuncia la presenza di Dio in noi e in mezzo che è Lui stesso. Per questo invia discepoli e missionari a fare altrettanto. Un volto inedito di Dio viene rivelato e comunicato: il Padre. Questo cambia tutto, sia il modo di agire che di pregare, perché propone un modo nuovo di vivere: da figli e figlie, da fratelli e sorelle.
Propone di fare spazio ad un nuovo “centro di gravità” per la propria persona ed esistenza: l’amore. E questo è stato ben attestato dal racconto parabolico di Luca 10,25-37 e nell’episodio di Betania (cf vv. 38-42). Ora i discepoli, quotidianamente a contatto con Lui, condividendo le sue attività e ascoltando le sue parole, rimangono però impressionati dal suo modo di pregare.]
È ancora la comunità lucana che cerca nella sua origine il senso della preghiera, anche per i singoli credenti e recupera la “tradizione giudaica” di Matteo sulla “novità” [“invece tu…”] dell’insegnamento del Rabbi galileo che, anche a questo riguardo, insiste sul rapporto con il Padre “nell’intimo” (Mt 6,6) e sulla originalità dell’esperienza comunitaria nella “presenza” del Signore risorto (cf 18,19-20). Ritorna l’urgenza e la necessità di “imparare nuovamente” la novità che il Risorto porta anche al pregare (Luca 11,1), recuperando “l’essenziale” del suo insegnamento ai discepoli (è utile un confronto sinottico tra Mt e Lc nella tradizione del “Pater”).
Comunque anche le diversità attestano che non si tratta anzitutto di imparare “una nuova preghiera” ma di entrare in “un nuovo rapporto con Dio” quello filiale di Gesù nei confronti del Padre, “Abbà-Babbo” (cf v. 2). Questo lo porterà a conformarsi in pieno alla sua volontà proprio nell’angoscia e nella morte (cf 22,42; 23,46). Il Maestro insegna infatti solo quello che sperimenta come Figlio; così si esprime dal più profondo di se stesso “colto da incontenibile gioia” (cf 10,21-22).
Paolo ha sicuramente espresso efficacemente quella essenzialità e unicità cristiana dello “Spirito che prega in noi… Abbà, Padre” (cf Galati 4,6; Romani 8,15) ciò include quanto la “Traditio” sottolinea della “libertà” e della “fiducia”.
In Luca risulta così una versione più “familiare” e intima in cui la “santità di Dio” si esprime nella misericordia (cf 1,49-51) che spinge noi a manifestarla con il nostro stile di vita così che “Ciò che Tu vuoi nel Cielo possiamo noi, abitanti della terra, compierlo in modo irreprensibile” (TR. PT.).
La richiesta del “perdono dei peccati” (v. 4) sarà compiuta da Gesù stesso sulla croce: “Padre, perdona loro…” (cf 23,34).
La parabola che segue (cf vv. 5-13) è un’esortazione alla fiducia e alla perseveranza anche perché nel chiedere ciò che si ottiene è comunque sempre il dono dello Spirito sorgente e ambiente del rapporto filiale con il Padre e quindi della preghiera (cf v. 13b).
Preghiamo con la Liturgia
Padre santo e misericordioso,
Cristo tuo Figlio
ci ha insegnato a chiamarti Padre:
invia su di noi lo Spirito Santo, tuo dono,
così che ogni nostra preghiera sarà esaudita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,
tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te,
nell'unità dell’unico Spirito,
ora per l’eternità. Amen.
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