venerdì 6 maggio 2022

“LE PAROLE…LA PAROLA” 8 MAGGIO 2022 IV DOMENICA DI PASQUA Conosciuti, cioè AMATI

LE PAROLE…LA PAROLA” 
8 MAGGIO 2022 
IV DOMENICA DI PASQUA 
Atti 13,14.43-52 
Salmo 99 
Apocalisse 7,9.14b-17 
Giovanni 10,27-30 
Conosciuti, cioè AMATI 
Lasciarci guidare nella vita, a volta anche soltanto da un pensiero o da un’ispirazione, da un  ideale… ma bisogna crederci, e crederci fino in fondo! 
È questione di fiducia, sì.  
Seguendo il Nazareno quel gruppo così eterogeneo attorno a quattro pescatori, un  intellettuale e un biblista (cf Giovanni 1,35-51) -così diversi che non di più si può- sono diventati una  comunità. Chi li guidava allora era un Rabbi, adesso è il suo Soffio vitale che manco loro sanno da  dove viene e dove va ma che li fa sentire vivi come non mai, rinati con Lui risorto (cf Gv 3). 
Le sue parole ritornano alla memoria e lo Spirito li conduce alla Verità piena; (cf 14,25-26; 16,12-15) chi li guida li nutre di sé e li forma persone nuove, comunità inedita; fa loro assaporare un  modo di vivere che attraverso la morte giunge alla Vita; li con-duce camminando con loro, non  perdendo quella relazione essenziale di ascolto-conoscenza che costituisce ogni vero  apprendimento. 
Possiamo avere bravi istruttori, ma gli educatori si conoscono anche quando non si fanno  notare, soprattutto quando non compaiono e la loro presenza non si impone, ma la si sente. Seguire un maestro dipende dal non uscire dalla relazione con lui. 
Ascoltare per conoscersi ci consente di seguire per entrare nella Vita. 
Se perdiamo la relazione noi rischiamo di perdere la “connessione” con l’altro e con noi  stessi; ci ritroviamo smarriti perché soli senza più una direzione: inseguendo noi stessi perdiamo il  senso della nostra stessa esistenza, la possibilità di viverla in pienezza! 
Gesù per tenere viva la relazione con noi, per rimanere in noi e noi il Lui non perde la sua  relazione con il Padre, sua origine vitale, con il suo amore originario che continuamente lo genera  per noi perché noi rimaniamo vivi in loro (cf 10,29-30; 15,5-11). 
Contestualizzazione liturgica 
Nelle domeniche di Pasqua, dalla III alla VI, attraverso i brani evangelici tratti dal racconto  di Giovanni, anche noi siamo invitati a fare l’esperienza del Risorto che ridona a Pietro ed ai primi  discepoli la sorprendente scoperta di essere nuovamente chiamati a seguirlo con rinnovato amore  (cf Gv 21 - III domenica). 
Dopo la risurrezione la sua sequela cambia infatti di modalità: è Lui che ci raggiunge dove noi  siamo riuniti insieme “nel suo Nome” (cf Matteo 18,20) e ora, attraverso Lui porta e pastore (Gv 10  - IV domenica), “Via di Verità” (Gv 14 – V/VI domeniche A), siamo condotti nella pienezza della Vita.  Dimorare in Lui è il nostro nuovo rapporto personale con il Signore (Gv 15 – V/VI domeniche B), che  si esprime nell’amore reciproco tra fratelli e sorelle (Gv 13 – V domenica C) e attraverso la forza dello  Spirito donato dal Risorto stesso (Gv 14 - VI domenica C). Da qui nasce un’esperienza di piena unità con il Padre, attraverso Gesù, e tra tutti gli esseri umani (Gv 17 - VII domenica). 
Così ogni ciclo liturgico propone un suo itinerario nella celebrazione unica e continua “della  risurrezione di Cristo, e in lui della nuova vita donata all’umanità, sottolineando le sfaccettature e le  manifestazioni dell’unico volto glorioso del Risorto, l’Uomo Nuovo, che dopo aver sconfitto  definitivamente la morte abbandonandosi all’amore del Padre, comunica ad ogni vivente la gioiosa 
notizia della vittoria. La comunica ai discepoli sorpresi e impauriti come compimento delle promesse  dell’AT (COMUNITÀ DI VIBOLDONE)
In questo “anno c” viene proclamata la presenza del Risorto che riempie con il suo Amore  ogni vuoto umano (III domenica: Gv 21,1-19): Egli è fonte della Vita incorruttibile (IV domenica: Gv 10,27-30) che incominciamo a sperimentare nell’amore reciproco tra noi in Lui (V domenica: Gv  13,31…35). È una nuova relazione nello Spirito che ci permettere di conoscere pienamente Lui e il  Padre (VI domenica: Gv 14,23-29). 
Giovanni 10,27-30 è un frammento del discorso sul pastore bello e vero (10,11-31) che  ascoltiamo questa domenica.  
[Nell’anno A leggiamo 10,1-10 dove Gesù di autodefinisce porta del gregge; nel B i vv. 11-18 in cui si definisce  pastore vero; nel C la similitudine è ripresa nello sviluppo successivo dell’insegnamento di Gesù nel Tempio durante la  Festa della Dedicazione, sfidato dai Giudei fino alla lapidazione (vv. 27-30 con l’omissione del v. 31).  
Tenendo conto anche del lezionario feriale “pasquale”, la scansione liturgica dell’intero capitolo nel “tempo  pasquale” risulta però “mutilata”: sono infatti omessi completamente i vv. 19-21; i vv. 31 e 22-26 sono omessi da quella  festiva del ciclo C che sarebbe stato invece utile riprendere per una migliore comprensione della similitudine che segue  nei vv. 27-30. Inoltre sarebbe stato rispettoso includere il v. 31 che conclude parzialmente il capitolo 10 secondo  l’intenzione evangelica e non quella “bucolica” di un’interpretazione troppo “romantica” nell’ambito cattolico.

L’intera similitudine non è altro che la trasposizione allegorica del drammatico dialogo tra  Gesù e i farisei in seguito alla guarigione del nato cieco (cf 9,1-41) e dischiude una luce sul mistero  paradossale dell’Uomo-Dio. Siamo nel pieno della luce, nella Festa delle Luci e le tenebre, che  accecano le autorità religiose e politiche, cercano di soffocarla. Le tenebre continuano ad accecare  chi non si fida di Lui e invece di ricevere la vita in dono da Lui cercano invano di togliergliela (cf Gv  10,31-39; 8,58; 9,39-41). 
È lo stesso “dramma” che accompagna la predicazione di Paolo e Barnaba, anch’essi posti  come luce sono rifiutati, il che dà a loro l’opportunità di rivolgersi ai pagani destinati alla vita eterna (Atti 13,14 ss. – I lettura). Come il Figlio che “rifiutato” non smette di donarci la Vita! 
Egli è l’Agnello-Pastore ha condotto l’uomo nato cieco dal buio dell’ignoranza alla luce della  conoscenza dell’amore del Padre per lui e ancora continua a voler condurre l’umanità attraversata  dalla grande tribolazione con il dono di se stesso, della sua vita “deposta”, consegnata. 
Il senso della sua esistenza tra noi è proprio quella di far diventare il genere umano una  comunità riconciliata nel suo sangue e lo attua proprio condividendo il suo faticoso cammino di  umanizzazione; con la sua radicale debolezza, la morte per amore, non opera dal di fuori ma che  dall’interno genera la vita piena (Apocalisse 7,9 ss. – II lettura). 
Riconoscete che Dio è JHWH / Egli ci ha fatti: noi siamo suoi, / suo popolo e gregge del suo  pascolo” (Salmo 99). 
Preghiamo con la Liturgia 
O Padre, che sei la fonte della gioia e della pace, 
ed hai ci hai affidato al tuo Figlio 
nostro Agnello e Pastore 
sostienici con il tuo Spirito, 
perché nulla ci separi mai da Te 
che sei la sorgente della Vita. 
Amen.

4 commenti:

  1. "Facci pascolare, noi piccolissimi,
    come un gregge.
    Sì, Maestro, dacci con abbondanza il tuo cibo, che è la giustizia.
    Sì, Pedagogo, siii nostro pastore fino alla montagna santa,
    fino alla Chiesa che si innalza, che domina le nubi,
    che tocca il cielo" (Clemente d' Alessandria)

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  2. Animazione Liturgica8 maggio 2022 alle ore 09:58

    "O Pastore, servi il pasto per il quale,
    saziata la fame di questo mondo,
    le anime si nutrono dei pani dell'eternità. Amen!
    (Messale Gotico)

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  3. Animazione Liturgica8 maggio 2022 alle ore 10:01

    "Ho riconosciuto il Figlio come pastore
    e così ora sono giunto al pascolo del Padre.
    Le potenze terribili, le attraverserò senza patire danno.
    Grazie a te sfuggirò per buona sorte, guardandoti, ai malvagi.
    Intonerò canti in tuo onore e danzerò con i cori santi,
    O Parola del Padre indicibile,
    a te onore e potenza nell'eternità".
    (Inno su un papiro funerario)

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  4. "Io do loro la vita incorruttibile e non andranno mai più perdute
    e nessuno le strapperà dalla mia mano" (Gv 10,28)
    Che Vita è quella che Egli ci dà se non se stesso e il suo rapporto con il Padre. E' una Vita che ci viene donata ma non possediamo, piuttosto a cui noi apparteniamo. E' il senso di quella "mano"... di Gesù e poi del Padre che "ci tengo per mano" perché la nostra fragile e precaria esistenza sia sostenuta e non vada perduta, che è ciò di cui più abbiamo terrore.

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