“LE PAROLE…LA PAROLA”
22 MAGGIO 2022
VI DOMENICA DI PASQUA
Atti 15,1-2.22-29
Salmo 66
Apocalisse 21,10-14.22-23
Giovanni 14,23-29
TUTTO inizia da DENTRO
Un faticoso cammino sinodale
Grazie all’azione dello Spirito, le diverse componenti del cristianesimo primitivo riunite a Gerusalemme risolvevano uno spinoso problema (che peraltro si protraeva da decenni come ci testimonia il racconto evangelico di Matteo): l’integrazione piena e diretta dei pagani nell’esperienza cristiana e quindi nella chiesa, senza la previa sottomissione alla “fede giudaica” con tutti i suoi precetti e consuetudini.
Il brano è stato studiato attentamente da diversi biblisti, tuttavia la sua attualità sta nel “metodo”, in quanto si parla di “Concilio di Gerusalemme”… l’evento in se stesso ha conosciuto un faticoso “cammino sinodale” che ha molto da dire a quello che in questi anni vedrà impegnate le nostre chiese italiane.
Può esserci utile notare che da Atti 15 vengono in evidenza: “il dibattito su punti divergenti, la ricerca di consenso, il ricorso alla Scrittura quale testo fondamentale, il bene dei fedeli come preoccupazione pastorale” (C. CALDELARI).
Il tutto riguardo ad un conflitto di “portata teologica che poteva compromettere la missione della chiesa nel mondo pagano, e che invece è stato felicemente risolto” (C. L’EPLATTENIER). Non prevale un atteggiamento irenico ma emerge una “scelta di libertà, temperata dall’amore, [che] può ingenerare la consolazione, la gioia e la pace… nei vv. 30-33” (E. BORGHI). “Ogni novità porta in sé la possibilità di creare disagio e conflitto, e questo avviene anche nel costituirsi del cristianesimo all’interno del giudaismo: rimane comunque il fatto che, nonostante le difficoltà di rapporto e le tensioni… non è mai esistita una ‘scomunica’ “(E. LEA B. DE ANGELI). Nell’ispirarci alla piena libertà dello Spirito (cf Giovanni 3,8; 2Corinzi 3,17) in noi deve prevalere una sincera e fattiva volontà di comunione come bene prioritario e irrinunciabile, non come “strategia pastorale o sinodale”, ma come fedeltà al nostro essere chiesa, “corpo” del Risorto che continua il dono di sé ed effonde la sua pace del suo Spirito su tutta l’umanità. Perderemo così ogni atteggiamento di sicurezza e di orgoglio, continuando il Suo servizio d’amore e lasciando che Egli illumini il percorso di ogni essere umano e dell’intera umanità verso la pienezza della Vita: “Dio tutto in tutti” (1Corinzi 15,28).
Contestualizzazione evangelica
Lo stesso Spirito “maestro interiore” è promesso da Gesù -nel testo del racconto evangelico di Giovanni proclamato nella liturgia di questa domenica- sia a suoi discepoli sia ai futuri credenti che si troveranno a vivere il rapporto con lui in una dialettica di presenza/assenza (cf 16,17-22).
Il suo compito sarà quello di non interrompere “il flusso” di amore dal Padre a Gesù e a noi, anzi di renderlo “stabile”, un reciproco dimorare in forza della Parola ascoltata/osservata [Giovanni 14,23-29].
[È l’epilogo del secondo dei cinque “discorsi” ambientati nella cena pasquale (Giovanni 13 – 17) in cui vi sono 5 promesse dello Spirito, che stanno sotto il simbolo della pienezza e della totalità della “Pentecoste”: 5 = 50 (ovvero 5 x 10). Gv 14,15-21, contiene la prima dove si mette in evidenza la presenza dello Spirito “della verità, presso di noi e in noi”; e la seconda v. 26: «vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»; 15,26-27: «egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza»; 16,7-12: «convincerà il mondo del suo fallimento esistenzale, della sua incredulità, del suo riscatto»; vv. 13-15: «vi condurrà nella completa Verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà ciò che sta avvenendo. Egli mi glorificherà, perché prenderà dal mio e ve lo annuncerà. Tutto quanto è il Padre è mio». Si può dire che ogni promessa sia completa e simile alle altre, tuttavia non identica e con significanti variazioni: ad esempio, solo nella seconda promessa si dice farà l’anamnesi liturgica. Per cogliere pienamente e al meglio la portata delle singole promesse è sempre opportuno non isolarle dal contesto dei discorsi della Cena e collegarle alle domande che i discepoli pongono a Gesù in relazione alla loro sequela, al mistero della sua persona, alle modalità della rivelazione divina che si attua in Lui. I discepoli proprio grazie al dono dello Spirito potranno superare la loro incomprensione del mistero di Cristo e vivere la loro sequela nel mondo, anche se a loro ostile].
Non ci sembra strano che questo avvenga nella nostra Liturgia della Parola?!
Contestualizzazione liturgica
Nelle nostre celebrazioni eucaristiche, a dispetto della nostra consapevolezza, lo Spirito del Risorto [N.B. non il suo “fantasma”, ma la vitalità divina che ha animato e sostenuto tutta la sua attività messianica in Gesù di Nazareth e che ora il Risorto dona ai suoi e a tutti i credenti] riporta alla mente ed al cuore [ricorderà], anima e invera tutti i nostri “gesti e parole” liturgici in modo che in essi agisca il Signore stesso.
Tale azione è il continuo “rendimento grazie” al Padre per il dono della Vita che il suo Figlio ci offre ancora, in comunione con Lui e tra di noi [Giovanni 14,26].
Essa costituisce -nella comunione eucaristica- il rassicurante “rimanere” di Cristo in ciascuno di noi come sua stabile dimora, al di là dell’esperienza spesso disorientante della sua presenza/assenza [v. 25] ci pone nella sua pace [v. 27]
Nello stesso modo la “Citta nuova del futuro” [“la Gerusalemme nuova”] conosce la dimora di Dio in se stessa attraverso l’Agnello che attesta una Presenza d’amore stabile e duratura. Colmata gratuitamente della Pace essa ne è messaggera a tutti gli esseri umani [Apocalisse 21 – II lettura].
“Chi non sogna una città felice, una vera città, bella come il volto di una sposa. L’umanità non ha desiderato altro di meglio che piantare, costruire e sposare. Un giorno essa diventerà ciò che avrà voluto essere: così a lungo andate, di verrà città di seduzione per i suoi abitanti; così spesso prostituita a tanti ideali, si darà infine a Dio, il solo degno di esserle sposo” (EMANUELA GHINI).
“La Gerusalemme nuova” si costruisce tutti insieme mentre si cammina fianco a fianco, incontrando nuovi volti, ascoltando voci inedite ed a volte alternative. Tuttavia non si tratta di una manifestazione eclatante, ma in coerenza con tutta la riflessione giovannea, di una progressiva rivelazione più interiore che coinvolge personalmente ciascuno in una relazione interpersonale dove agisce lo Spirito di Dio, la sua energia vitale che attrae e lega a lui.
Senza l’azione dello Spirito in ciascuno di noi la chiesa rischia di essere una ONG, come spesso mette in guardia papa Francesco, e non una comunione di discepoli. Le stesse decisioni fondamentali devono essere fatte in base alla libertà di Dio che agisce in forza del suo Pneuma [cf Atti 15 – I lettura].
Preghiamo con la Liturgia
O Padre,
che hai promesso di stabilire la tua dimora in coloro che ascoltano la tua parola e la mettono in pratica,
manda il tuo santo Spirito,
perché ravvivi in noi la memoria
di tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato. Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità del tuo Spirito santo,
ora e per sempre.
Amen.
22 MAGGIO 2022
VI DOMENICA DI PASQUA
Atti 15,1-2.22-29
Salmo 66
Apocalisse 21,10-14.22-23
Giovanni 14,23-29
TUTTO inizia da DENTRO
Un faticoso cammino sinodale
Grazie all’azione dello Spirito, le diverse componenti del cristianesimo primitivo riunite a Gerusalemme risolvevano uno spinoso problema (che peraltro si protraeva da decenni come ci testimonia il racconto evangelico di Matteo): l’integrazione piena e diretta dei pagani nell’esperienza cristiana e quindi nella chiesa, senza la previa sottomissione alla “fede giudaica” con tutti i suoi precetti e consuetudini.
Il brano è stato studiato attentamente da diversi biblisti, tuttavia la sua attualità sta nel “metodo”, in quanto si parla di “Concilio di Gerusalemme”… l’evento in se stesso ha conosciuto un faticoso “cammino sinodale” che ha molto da dire a quello che in questi anni vedrà impegnate le nostre chiese italiane.
Può esserci utile notare che da Atti 15 vengono in evidenza: “il dibattito su punti divergenti, la ricerca di consenso, il ricorso alla Scrittura quale testo fondamentale, il bene dei fedeli come preoccupazione pastorale” (C. CALDELARI).
Il tutto riguardo ad un conflitto di “portata teologica che poteva compromettere la missione della chiesa nel mondo pagano, e che invece è stato felicemente risolto” (C. L’EPLATTENIER). Non prevale un atteggiamento irenico ma emerge una “scelta di libertà, temperata dall’amore, [che] può ingenerare la consolazione, la gioia e la pace… nei vv. 30-33” (E. BORGHI). “Ogni novità porta in sé la possibilità di creare disagio e conflitto, e questo avviene anche nel costituirsi del cristianesimo all’interno del giudaismo: rimane comunque il fatto che, nonostante le difficoltà di rapporto e le tensioni… non è mai esistita una ‘scomunica’ “(E. LEA B. DE ANGELI). Nell’ispirarci alla piena libertà dello Spirito (cf Giovanni 3,8; 2Corinzi 3,17) in noi deve prevalere una sincera e fattiva volontà di comunione come bene prioritario e irrinunciabile, non come “strategia pastorale o sinodale”, ma come fedeltà al nostro essere chiesa, “corpo” del Risorto che continua il dono di sé ed effonde la sua pace del suo Spirito su tutta l’umanità. Perderemo così ogni atteggiamento di sicurezza e di orgoglio, continuando il Suo servizio d’amore e lasciando che Egli illumini il percorso di ogni essere umano e dell’intera umanità verso la pienezza della Vita: “Dio tutto in tutti” (1Corinzi 15,28).
Contestualizzazione evangelica
Lo stesso Spirito “maestro interiore” è promesso da Gesù -nel testo del racconto evangelico di Giovanni proclamato nella liturgia di questa domenica- sia a suoi discepoli sia ai futuri credenti che si troveranno a vivere il rapporto con lui in una dialettica di presenza/assenza (cf 16,17-22).
Il suo compito sarà quello di non interrompere “il flusso” di amore dal Padre a Gesù e a noi, anzi di renderlo “stabile”, un reciproco dimorare in forza della Parola ascoltata/osservata [Giovanni 14,23-29].
[È l’epilogo del secondo dei cinque “discorsi” ambientati nella cena pasquale (Giovanni 13 – 17) in cui vi sono 5 promesse dello Spirito, che stanno sotto il simbolo della pienezza e della totalità della “Pentecoste”: 5 = 50 (ovvero 5 x 10). Gv 14,15-21, contiene la prima dove si mette in evidenza la presenza dello Spirito “della verità, presso di noi e in noi”; e la seconda v. 26: «vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»; 15,26-27: «egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza»; 16,7-12: «convincerà il mondo del suo fallimento esistenzale, della sua incredulità, del suo riscatto»; vv. 13-15: «vi condurrà nella completa Verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà ciò che sta avvenendo. Egli mi glorificherà, perché prenderà dal mio e ve lo annuncerà. Tutto quanto è il Padre è mio». Si può dire che ogni promessa sia completa e simile alle altre, tuttavia non identica e con significanti variazioni: ad esempio, solo nella seconda promessa si dice farà l’anamnesi liturgica. Per cogliere pienamente e al meglio la portata delle singole promesse è sempre opportuno non isolarle dal contesto dei discorsi della Cena e collegarle alle domande che i discepoli pongono a Gesù in relazione alla loro sequela, al mistero della sua persona, alle modalità della rivelazione divina che si attua in Lui. I discepoli proprio grazie al dono dello Spirito potranno superare la loro incomprensione del mistero di Cristo e vivere la loro sequela nel mondo, anche se a loro ostile].
Non ci sembra strano che questo avvenga nella nostra Liturgia della Parola?!
Contestualizzazione liturgica
Nelle nostre celebrazioni eucaristiche, a dispetto della nostra consapevolezza, lo Spirito del Risorto [N.B. non il suo “fantasma”, ma la vitalità divina che ha animato e sostenuto tutta la sua attività messianica in Gesù di Nazareth e che ora il Risorto dona ai suoi e a tutti i credenti] riporta alla mente ed al cuore [ricorderà], anima e invera tutti i nostri “gesti e parole” liturgici in modo che in essi agisca il Signore stesso.
Tale azione è il continuo “rendimento grazie” al Padre per il dono della Vita che il suo Figlio ci offre ancora, in comunione con Lui e tra di noi [Giovanni 14,26].
Essa costituisce -nella comunione eucaristica- il rassicurante “rimanere” di Cristo in ciascuno di noi come sua stabile dimora, al di là dell’esperienza spesso disorientante della sua presenza/assenza [v. 25] ci pone nella sua pace [v. 27]
Nello stesso modo la “Citta nuova del futuro” [“la Gerusalemme nuova”] conosce la dimora di Dio in se stessa attraverso l’Agnello che attesta una Presenza d’amore stabile e duratura. Colmata gratuitamente della Pace essa ne è messaggera a tutti gli esseri umani [Apocalisse 21 – II lettura].
“Chi non sogna una città felice, una vera città, bella come il volto di una sposa. L’umanità non ha desiderato altro di meglio che piantare, costruire e sposare. Un giorno essa diventerà ciò che avrà voluto essere: così a lungo andate, di verrà città di seduzione per i suoi abitanti; così spesso prostituita a tanti ideali, si darà infine a Dio, il solo degno di esserle sposo” (EMANUELA GHINI).
“La Gerusalemme nuova” si costruisce tutti insieme mentre si cammina fianco a fianco, incontrando nuovi volti, ascoltando voci inedite ed a volte alternative. Tuttavia non si tratta di una manifestazione eclatante, ma in coerenza con tutta la riflessione giovannea, di una progressiva rivelazione più interiore che coinvolge personalmente ciascuno in una relazione interpersonale dove agisce lo Spirito di Dio, la sua energia vitale che attrae e lega a lui.
Senza l’azione dello Spirito in ciascuno di noi la chiesa rischia di essere una ONG, come spesso mette in guardia papa Francesco, e non una comunione di discepoli. Le stesse decisioni fondamentali devono essere fatte in base alla libertà di Dio che agisce in forza del suo Pneuma [cf Atti 15 – I lettura].
Preghiamo con la Liturgia
O Padre,
che hai promesso di stabilire la tua dimora in coloro che ascoltano la tua parola e la mettono in pratica,
manda il tuo santo Spirito,
perché ravvivi in noi la memoria
di tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato. Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità del tuo Spirito santo,
ora e per sempre.
Amen.
"Se uno mi ama...". Tutto è basato sull'amore e non sul "ricatto affettivo": non dice "Chi non osserva la mia Parola non mi ama; ma è come se affermasse: "Solo chi ama può/è capace di osservare la mia Parola".
RispondiEliminaL'amore rende possibile ciò che altro farebbe passare per obbligo!