“ESSERE CHIESA… PER FARE CHIESA”
ATTI DEGLI APOSTOLI
nella Chiesa di oggi e di domani / III parte
Per vivere la Liturgia con gli ATTI DEGLI APOSTOLI - 2
e continuare ad “essere Chiesa… sinodale”
Nelle settimane del “tempo pasquale” la lettura di ATTI ci immerge fin dall’Ottava nella predicazione apostolica di Pietro: egli, con i suoi compagni, si presenta come testimone “qualificato” della risurrezione del Nazareno. Non tanto del fatto in se stesso ma del suo significato alla luce di tutta la storia di Israele nella prima alleanza e dell’umanità intera. Essi non possono tacere quello che hanno veduto e il loro annuncio produce subito effetti: anzitutto spalancando la loro esistenza chiusa e paurosa, provocando il cambiamento di atteggiamento nei loro uditori che accolgono la salvezza offerta da Gesù, la guarigione fisica degli infermi, l’adesione al Vangelo attraverso il battesimo.
Mentre la morte in croce del Nazareno era stata ritenuta una vittoria dell’odio, della violenza e della menzogna, nella sua risurrezione Dio Padre ha manifestato la forza del suo amore che accoglie e salva ogni essere umano che si affida a Lui. È la sua risposta ad ogni autosufficienza umana che apre la strada ad una vita nuova fuori dal rimorso e dalla paura.
Così progressivamente siamo introdotti nella vita della nuova comunità nascente, il vero miracolo della risurrezione. Il loro “stare insieme”, la loro preghiera comune, la comunione di vita e la condivisione anche dei beni materiali, la cura dei poveri… suscitano “simpatia tra il popolo” e nello stesso tempo la persecuzione da parte delle autorità religiose e politiche fino al carcere ed il martirio.
Si delinea sempre più come “la comunità dei risorti”.
In esse emergono le figure e l’azione missionarie di altri discepoli: Filippo, Stefano, Saulo, Anania, Barnaba… ma il protagonista è lo Spirito del Risorto che anima tutti e opera attraverso l’inarrestabile “corsa e diffusione” della Parola.
Nuove culture ed etnie accolgono la predicazione apostolica e, come con i Greci, il dialogo con loro non sarà sempre facile come il rapporto con i credenti provenienti dal giudaismo. Tuttavia la comunità, guidata dagli apostoli, sarà capace di affrontare le nuove sfide mantenendo l’unità e la concordia che la fanno “crescere”.
Paolo e Sila sono presentati come i fondatori e gli animatori di nuove comunità sulle coste del Mediterraneo. Fiorenti città greche e regioni come Antiochia, l’Anatolia, la Galazia, Corinto, Efeso… la Macedonia diventano centri molto vivaci dei nuovi credenti, non senza gli inevitabili problemi e conflitti.
Il punto focale di osservazione di ATTI si sposta poi a Roma che diventerà il “centro” di questa galassia cristiana.
1
Alcune indicazioni di percorso
Un vero percorso, oltre che narrativo come nei giorni infrasettimanali, emerge dalle liturgie domenicali e festive che proverò a tracciare in modo molto sommario, con alcuni riferimenti di attualità.
1. La proclamazione liturgica di Atti inizia, in modo insolito ma ben pensato, dal discorso di Pietro nella casa del centurione romano Cornelio. “I due si sono incontrati non senza emozione reciproca. Cornelio ha raccontato a Pietro la sua visione del Cristo risorto. Egli ne è stato sconvolto ed ha fatto cercare Pietro (cf 10,1-33). La lettura trasmette la risposta e la catechesi di Pietro” (ADRIEN NOCENT).
Lo Spirito, oggi come allora, indica chiaramente alla Chiesa la direzione da prendere e Pietro la sosterrà con determinazione anche davanti ad una comunità apostolica perplessa (cf 11,1-8; 15,7- 9) un po’ come fa oggi papa Francesco.
L’intimità con il Risorto contiene la spinta a non chiudersi, ad “uscire” verso tutti, dappertutto. Il Vivente va testimoniato senza preclusioni ed esclusioni.
Progressivamente “aver mangiato e bevuto con Lui” non sarà un privilegio dei “primi” o una nostalgica rivendicazione, ma un’attestazione che saranno possibili altre esperienze di “aver visto il Risorto”. In questo senso, la personalità e la vicenda di Paolo emergeranno e si imporranno via via come quella che la rende possibile per tutti.
2. I resoconti della vita della prima comunità cristiana connotano tutte le comunità che vorranno appartenere a Cristo e testimoniarlo. Vivono una fede pasquale di cui se ne vedono gli effetti di novità nella loro quotidianità e nel loro contesto sociale.
Sono costantemente impegnati nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane, nella preghiera comune.
I commenti su questi testi si sprecano, ma la realtà rimane e viene annualmente proclamata fino alla fine, finché non saremo anche noi pienamente e definitivamente “un cuor solo ed un’anima sola”. Ogni comunità infatti, nel vivere quanto ad essa proclamato, è “costruita” dalla sua pratica fedele. Siamo costituiti in una comunione vitale e reale con il Risorto e tra noi - koinonìa - che ha però bisogno di perseveranza nonostante mancanze e inadempienze. Le lacune non possono essere un facile alibi, anche se comprensibile, per farsi una chiesa per conto proprio.
A questo proposito il richiamo accorato di papa Francesco (EG nn. 98.99.100) è quanto mai pertinente, perché ascoltando o leggendo Atti è possibile per le nostre comunità di oggi ritornare alle “origini” nel senso più autentico di una “conversione pastorale” e di un esigente discernimento per capire assieme quali siano gli elementi ancora fondamentali per la Chiesa di oggi.
Così la comunità cresce sotto l’impulso dello Spirito e la diffusione della Parola, testimoniando un’unità “integrale”, altro elemento di provocante novità presso la società di allora… e perché non di oggi?!
È l’esperienza di un’inedita fecondità (cf 6,7; 11,21; 21,20), permanente anche nei periodi apparentemente più sterili.
3. Fin dall’inizio la giovane comunità sente il bisogno di organizzarsi al suo interno e di darsi una propria fisionomia “ministeriale” che risponda di volta in volta alle diverse situazioni ed esigenze, interrogandosi quale sia il rapporto più corretto tra “servizio della Parola” e “servizio dei fratelli e sorelle”. Gli esiti sono ben noti, forse non del tutto soddisfacenti, ma non si cerca il meglio assoluto, piuttosto tutto il bene ora possibile
Anche questo è un processo che nel corso dei secoli si è arrestato, è ripreso, poi nuovamente cristallizzato… Oggi è diventato meno “creativo” nonostante abbiamo più esperienza storica a disposizione con cui confrontarci e incredibili sfide da affrontare.
2
“Una Chiesa tutta ministeriale” sembra uno slogan logoro e ormai sterile se non avviene un ripensamento radicale di quell’assetto ministeriale che ha unificato “i poteri / munera” con “il potere” di genere e di status (interessanti le riflessioni di MARCELLO NERI nell’articolo citato).
4. Un elemento da noi poco considerato, ma fortemente presente nei discorsi di Pietro, è la stretta connessione tra “conversione e predicazione/testimonianza”. L’azione dello Spirito del Risorto previene e accompagna quella dei suoi discepoli ma non la esclude mai: è necessario, ad ogni costo dare testimonianza verbale della risurrezione del Nazareno e degli effetti che ne derivano per ogni essere umano, soprattutto se “infermo”.
5. Tra ideale e realtà. Per rimanere fedeli ad uno dei postulati che guidano il pensiero e l’azione di papa Francesco che “la realtà è superiore all’idea” (EG 217-237), notiamo che la narrazione di Atti, pur mantenendo una grammatica molto “alta”, non nasconde però le incrinature, le fragilità, i conflitti… (cf 4,34-36 e 5,1ss; il capitolo 6).
“La Gerusalemme nuova” si costruisce tutti insieme mentre si cammina fianco a fianco, incontrando nuovi volti, ascoltando voci inedite ed a volte alternative.
È superfluo ricordare qui il posto “centrale” che Gerusalemme assume nell’opera lucana, tuttavia essa non è un luogo da cui si ci allontana o si fugge, ma la testimonianza di un incontro possibile dappertutto, in ogni città dove i discepoli del Signore si fermeranno e abiteranno.
6. La forza inarrestabile dello Spirito che “apre” e della Parola che “corre” consentono alle giovani comunità palestinesi e del mediterraneo di maturare la capacità lasciare gli schemi precostituiti e rassicuranti, verso nuove “avventure”.
È incredibile, e purtroppo a noi ormai quasi del tutto ignota, questa continua capacità di cambiare, di adattarsi, di dialogare, di esprimersi con le diverse culture del mediterraneo… “Fare casa e lasciarla” è un’espressione molto aderente all’esperienza dei diversi apostoli e discepoli che ovunque e con chiunque sono capaci di stare, di costruire rapporti sinceri e profondi ma non vincolanti: essi sono sempre e subito pronti a lasciare tutto, a trasferirsi ed a stabilire nuove relazioni altrettanto significative, senza nostalgie e rimorsi (FRANCESCO MOSETTO). La continua itineranza quasi ad “inseguire” la corsa della Parola. Vuole dire concretamente non strumentalizzarla e non pretendere che essa sempre ci “confermi”. Essere al servizio della Parola è il senso di un discepolato.
7. Si nota una sincera ricerca dell’unità, pur salvando la pluralità delle provenienze, delle esperienze. La consapevolezza che Cristo sia l’unico maestro e pastore, consente a tutti di ritrovarsi in comunione pur con posizioni e convinzioni differenti.
Egli è l’unica “porta”, le altre sono “forche caudine”: di qualsiasi provenienza ed etnia, attraverso di Lui tutti trovano la Vita piena e vera.
Mi pare che la “pluralità”, soprattutto quando è scomoda, sia ancora vissuta dalle nostre chiese come un ostacolo all’unità e non nella sua ricchezza intrinseca.
8. Le contestazioni da parte degli ebrei alla predicazione apostolica di Pietro, di Paolo e Barnaba… non sono vissute come una sconfitta a cui reagire con recriminazioni, ma come una nuova opportunità di apertura a nuovi orizzonti. Il “popolo eletto” continuerà a mantenere la sua originaria vocazione, ma questa non sarà più una pregiudiziale per escludere gli altri, anzi per scoprire che la salvezza operata da Gesù Cristo è per tutti… coloro che l’accettano.
Secondo una mentalità ancora corrente dovrebbe essere scontato che il messaggio cristiano per i valori che porta in sé debba incontrare sempre un’accoglienza favorevole; quando non è così le opposizioni dovrebbero invece indurci ad un serio discernimento sulla nostra credibilità, senza ostinarci a difendere i valori “non negoziabili”.
3
9. “In catene per il Vangelo”: la croce di Cristo “ancora” nelle tempeste; “sulla stessa barca… nessuno annegò”.
Uno degli episodi conclusivi di Atti (27,9-44) è una pagina “rassicurante” per tutte le generazioni cristiane soprattutto nei momenti più travagliati, come gli attuali. È davvero una grave lacuna che non venga mai proclamato nella liturgia, infatti costituisce un ammonimento pieno di speranza, come è stato osservato da eminenti teologi (HANS URS VON BARLTHASAR).
Le circostanze avverse, pandemia compresa, ci riducono all’essenziale ed è inutile nuotare affannosamente cercando di mettere in salvo solo se stessi. Riecheggiano qui le parole di Francesco: “…nessuno si salva da solo” (27 marzo 2020).
ATTI DEGLI APOSTOLI
nella Chiesa di oggi e di domani / III parte
Per vivere la Liturgia con gli ATTI DEGLI APOSTOLI - 2
e continuare ad “essere Chiesa… sinodale”
Nelle settimane del “tempo pasquale” la lettura di ATTI ci immerge fin dall’Ottava nella predicazione apostolica di Pietro: egli, con i suoi compagni, si presenta come testimone “qualificato” della risurrezione del Nazareno. Non tanto del fatto in se stesso ma del suo significato alla luce di tutta la storia di Israele nella prima alleanza e dell’umanità intera. Essi non possono tacere quello che hanno veduto e il loro annuncio produce subito effetti: anzitutto spalancando la loro esistenza chiusa e paurosa, provocando il cambiamento di atteggiamento nei loro uditori che accolgono la salvezza offerta da Gesù, la guarigione fisica degli infermi, l’adesione al Vangelo attraverso il battesimo.
Mentre la morte in croce del Nazareno era stata ritenuta una vittoria dell’odio, della violenza e della menzogna, nella sua risurrezione Dio Padre ha manifestato la forza del suo amore che accoglie e salva ogni essere umano che si affida a Lui. È la sua risposta ad ogni autosufficienza umana che apre la strada ad una vita nuova fuori dal rimorso e dalla paura.
Così progressivamente siamo introdotti nella vita della nuova comunità nascente, il vero miracolo della risurrezione. Il loro “stare insieme”, la loro preghiera comune, la comunione di vita e la condivisione anche dei beni materiali, la cura dei poveri… suscitano “simpatia tra il popolo” e nello stesso tempo la persecuzione da parte delle autorità religiose e politiche fino al carcere ed il martirio.
Si delinea sempre più come “la comunità dei risorti”.
In esse emergono le figure e l’azione missionarie di altri discepoli: Filippo, Stefano, Saulo, Anania, Barnaba… ma il protagonista è lo Spirito del Risorto che anima tutti e opera attraverso l’inarrestabile “corsa e diffusione” della Parola.
Nuove culture ed etnie accolgono la predicazione apostolica e, come con i Greci, il dialogo con loro non sarà sempre facile come il rapporto con i credenti provenienti dal giudaismo. Tuttavia la comunità, guidata dagli apostoli, sarà capace di affrontare le nuove sfide mantenendo l’unità e la concordia che la fanno “crescere”.
Paolo e Sila sono presentati come i fondatori e gli animatori di nuove comunità sulle coste del Mediterraneo. Fiorenti città greche e regioni come Antiochia, l’Anatolia, la Galazia, Corinto, Efeso… la Macedonia diventano centri molto vivaci dei nuovi credenti, non senza gli inevitabili problemi e conflitti.
Il punto focale di osservazione di ATTI si sposta poi a Roma che diventerà il “centro” di questa galassia cristiana.
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Alcune indicazioni di percorso
Un vero percorso, oltre che narrativo come nei giorni infrasettimanali, emerge dalle liturgie domenicali e festive che proverò a tracciare in modo molto sommario, con alcuni riferimenti di attualità.
1. La proclamazione liturgica di Atti inizia, in modo insolito ma ben pensato, dal discorso di Pietro nella casa del centurione romano Cornelio. “I due si sono incontrati non senza emozione reciproca. Cornelio ha raccontato a Pietro la sua visione del Cristo risorto. Egli ne è stato sconvolto ed ha fatto cercare Pietro (cf 10,1-33). La lettura trasmette la risposta e la catechesi di Pietro” (ADRIEN NOCENT).
Lo Spirito, oggi come allora, indica chiaramente alla Chiesa la direzione da prendere e Pietro la sosterrà con determinazione anche davanti ad una comunità apostolica perplessa (cf 11,1-8; 15,7- 9) un po’ come fa oggi papa Francesco.
L’intimità con il Risorto contiene la spinta a non chiudersi, ad “uscire” verso tutti, dappertutto. Il Vivente va testimoniato senza preclusioni ed esclusioni.
Progressivamente “aver mangiato e bevuto con Lui” non sarà un privilegio dei “primi” o una nostalgica rivendicazione, ma un’attestazione che saranno possibili altre esperienze di “aver visto il Risorto”. In questo senso, la personalità e la vicenda di Paolo emergeranno e si imporranno via via come quella che la rende possibile per tutti.
2. I resoconti della vita della prima comunità cristiana connotano tutte le comunità che vorranno appartenere a Cristo e testimoniarlo. Vivono una fede pasquale di cui se ne vedono gli effetti di novità nella loro quotidianità e nel loro contesto sociale.
Sono costantemente impegnati nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane, nella preghiera comune.
I commenti su questi testi si sprecano, ma la realtà rimane e viene annualmente proclamata fino alla fine, finché non saremo anche noi pienamente e definitivamente “un cuor solo ed un’anima sola”. Ogni comunità infatti, nel vivere quanto ad essa proclamato, è “costruita” dalla sua pratica fedele. Siamo costituiti in una comunione vitale e reale con il Risorto e tra noi - koinonìa - che ha però bisogno di perseveranza nonostante mancanze e inadempienze. Le lacune non possono essere un facile alibi, anche se comprensibile, per farsi una chiesa per conto proprio.
A questo proposito il richiamo accorato di papa Francesco (EG nn. 98.99.100) è quanto mai pertinente, perché ascoltando o leggendo Atti è possibile per le nostre comunità di oggi ritornare alle “origini” nel senso più autentico di una “conversione pastorale” e di un esigente discernimento per capire assieme quali siano gli elementi ancora fondamentali per la Chiesa di oggi.
Così la comunità cresce sotto l’impulso dello Spirito e la diffusione della Parola, testimoniando un’unità “integrale”, altro elemento di provocante novità presso la società di allora… e perché non di oggi?!
È l’esperienza di un’inedita fecondità (cf 6,7; 11,21; 21,20), permanente anche nei periodi apparentemente più sterili.
3. Fin dall’inizio la giovane comunità sente il bisogno di organizzarsi al suo interno e di darsi una propria fisionomia “ministeriale” che risponda di volta in volta alle diverse situazioni ed esigenze, interrogandosi quale sia il rapporto più corretto tra “servizio della Parola” e “servizio dei fratelli e sorelle”. Gli esiti sono ben noti, forse non del tutto soddisfacenti, ma non si cerca il meglio assoluto, piuttosto tutto il bene ora possibile
Anche questo è un processo che nel corso dei secoli si è arrestato, è ripreso, poi nuovamente cristallizzato… Oggi è diventato meno “creativo” nonostante abbiamo più esperienza storica a disposizione con cui confrontarci e incredibili sfide da affrontare.
2
“Una Chiesa tutta ministeriale” sembra uno slogan logoro e ormai sterile se non avviene un ripensamento radicale di quell’assetto ministeriale che ha unificato “i poteri / munera” con “il potere” di genere e di status (interessanti le riflessioni di MARCELLO NERI nell’articolo citato).
4. Un elemento da noi poco considerato, ma fortemente presente nei discorsi di Pietro, è la stretta connessione tra “conversione e predicazione/testimonianza”. L’azione dello Spirito del Risorto previene e accompagna quella dei suoi discepoli ma non la esclude mai: è necessario, ad ogni costo dare testimonianza verbale della risurrezione del Nazareno e degli effetti che ne derivano per ogni essere umano, soprattutto se “infermo”.
5. Tra ideale e realtà. Per rimanere fedeli ad uno dei postulati che guidano il pensiero e l’azione di papa Francesco che “la realtà è superiore all’idea” (EG 217-237), notiamo che la narrazione di Atti, pur mantenendo una grammatica molto “alta”, non nasconde però le incrinature, le fragilità, i conflitti… (cf 4,34-36 e 5,1ss; il capitolo 6).
“La Gerusalemme nuova” si costruisce tutti insieme mentre si cammina fianco a fianco, incontrando nuovi volti, ascoltando voci inedite ed a volte alternative.
È superfluo ricordare qui il posto “centrale” che Gerusalemme assume nell’opera lucana, tuttavia essa non è un luogo da cui si ci allontana o si fugge, ma la testimonianza di un incontro possibile dappertutto, in ogni città dove i discepoli del Signore si fermeranno e abiteranno.
6. La forza inarrestabile dello Spirito che “apre” e della Parola che “corre” consentono alle giovani comunità palestinesi e del mediterraneo di maturare la capacità lasciare gli schemi precostituiti e rassicuranti, verso nuove “avventure”.
È incredibile, e purtroppo a noi ormai quasi del tutto ignota, questa continua capacità di cambiare, di adattarsi, di dialogare, di esprimersi con le diverse culture del mediterraneo… “Fare casa e lasciarla” è un’espressione molto aderente all’esperienza dei diversi apostoli e discepoli che ovunque e con chiunque sono capaci di stare, di costruire rapporti sinceri e profondi ma non vincolanti: essi sono sempre e subito pronti a lasciare tutto, a trasferirsi ed a stabilire nuove relazioni altrettanto significative, senza nostalgie e rimorsi (FRANCESCO MOSETTO). La continua itineranza quasi ad “inseguire” la corsa della Parola. Vuole dire concretamente non strumentalizzarla e non pretendere che essa sempre ci “confermi”. Essere al servizio della Parola è il senso di un discepolato.
7. Si nota una sincera ricerca dell’unità, pur salvando la pluralità delle provenienze, delle esperienze. La consapevolezza che Cristo sia l’unico maestro e pastore, consente a tutti di ritrovarsi in comunione pur con posizioni e convinzioni differenti.
Egli è l’unica “porta”, le altre sono “forche caudine”: di qualsiasi provenienza ed etnia, attraverso di Lui tutti trovano la Vita piena e vera.
Mi pare che la “pluralità”, soprattutto quando è scomoda, sia ancora vissuta dalle nostre chiese come un ostacolo all’unità e non nella sua ricchezza intrinseca.
8. Le contestazioni da parte degli ebrei alla predicazione apostolica di Pietro, di Paolo e Barnaba… non sono vissute come una sconfitta a cui reagire con recriminazioni, ma come una nuova opportunità di apertura a nuovi orizzonti. Il “popolo eletto” continuerà a mantenere la sua originaria vocazione, ma questa non sarà più una pregiudiziale per escludere gli altri, anzi per scoprire che la salvezza operata da Gesù Cristo è per tutti… coloro che l’accettano.
Secondo una mentalità ancora corrente dovrebbe essere scontato che il messaggio cristiano per i valori che porta in sé debba incontrare sempre un’accoglienza favorevole; quando non è così le opposizioni dovrebbero invece indurci ad un serio discernimento sulla nostra credibilità, senza ostinarci a difendere i valori “non negoziabili”.
3
9. “In catene per il Vangelo”: la croce di Cristo “ancora” nelle tempeste; “sulla stessa barca… nessuno annegò”.
Uno degli episodi conclusivi di Atti (27,9-44) è una pagina “rassicurante” per tutte le generazioni cristiane soprattutto nei momenti più travagliati, come gli attuali. È davvero una grave lacuna che non venga mai proclamato nella liturgia, infatti costituisce un ammonimento pieno di speranza, come è stato osservato da eminenti teologi (HANS URS VON BARLTHASAR).
Le circostanze avverse, pandemia compresa, ci riducono all’essenziale ed è inutile nuotare affannosamente cercando di mettere in salvo solo se stessi. Riecheggiano qui le parole di Francesco: “…nessuno si salva da solo” (27 marzo 2020).
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