“LE PAROLE…LA PAROLA”
27 FEBBRAIO 2022 - VIII DOMENICA T.O./C
Siracide 27,4-7 / Salmo 91
Luca 6,39-45
1Corìnti 15,54-58
27 FEBBRAIO 2022 - VIII DOMENICA T.O./C
Siracide 27,4-7 / Salmo 91
Luca 6,39-45
1Corìnti 15,54-58
MAESTRO E DISCEPOLI, FIGLI E FRATELLI
“Uno solo è il vostro Maestro, voi siete tutti fratelli… e sorelle” (cf Matteo 23,8) Da “amate i vostri nemici” al vederci bene così da poter “togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Luca 6,27.42 – Evangelo di oggi). Sì, perché il nemico non sempre sta al di là della barricata, spesso è dentro di noi, come se un filtro deformasse il nostro sguardo così che vediamo l’altro, l’altra come nostro nemico. Una “trave” posta proprio lì a distorcere o ad occludere la visione, mentre pretendiamo di liberare chi in realtà ci è fratello, sorella dalla pagliuzza che invece riusciamo a vedere nel suo occhio, ma che così non potremo mai aiutare a togliere (cf v. 41). Ma,se oltre ai difetti non vediamo chiaramente chi ci è fratello e sorella, allora siamo “ciechi” a tal punto da condurre anche gli altri fuori strada (cf v. 39).
È infatti interessante che Luca abbia trasferito questo ammonimento, rivolto inizialmente ai farisei ed ai maestri della Torah definiti altrove da Gesù come “guide cieche” (cf Matteo 15,14; 23,16), ai fratelli e sorelle della stessa comunità dove, attraverso la “correzione fraterna”, dovrebbero aiutarsi reciprocamente ad essere persone libere nel liberarsi gli uni gli altri dai propri limiti e difetti (cf 18,15-18).
Può diventare un pericoloso alibi non aiutare gli altri a migliorarsi dato che non ci riusciamo con noi stessi. Anzi, nella nostra esperienza quotidiana, è proprio vero il contrario a patto che la “misericordia” sia reciproca come poco prima Gesù l’aveva proposta ai suoi discepoli a “regola” della propria vita personale e fraterna (cf Luca 6,36).
Ancora una volta la strada da percorrere è quella di discepoli del maestro “misericordioso” per essere “come” Lui (cf v. 40).
Ogni volta che mi trovo davanti a questo avverbio non posso non ricordarmi il “comandamento suo e nuovo” di Gesù: “Amatevi gli uni altri come io ho amato voi” (cf Giovanni 13,16.34; 15,12) e convincermi che “come” non indica solo un modo da imitare e una misura da raggiungere, ma una motivazione e una causa che ci spinge, effetto del suo amore per noi.
Allora non sono anzitutto io “l’albero che deve dare frutti buoni” (cf vv. 43-44) ma sarà il “rimanere in Lui come i tralci rimangono attaccati alla vite” a permettermi di amare “come il Padre ha amato il Figlio e come Lui ha amato noi” (cf Giovanni 15,4-5; 9-10; 12,24).
Non è frutto di un impegno etico, ma effetto di una relazione intima e profonda: come tra cuore e bocca… a patto che nel cuore ci sia però un tesoro (cf v. 45; Matteo 12,35; 13,45-46).
Contestualizzazione liturgica
“Il vangelo di questa domenica è un insieme di detti con tutta probabilità originariamente separati. È perciò abbastanza oscuro il messaggio unitario della liturgia della Parola. La I lettura (Siracide 27,4-7) riprende la tematica degli ultimi versetti del vangelo: la parola dell’uomo come frutto, come test di prova del suo cuore (cf Luca 6,43-45).
Ma la prima parte (cf vv. 39-42) riguarda la possibilità di giudizio tra fratelli e sorelle: è possibile unicamente a condizione che ci si riconosca sullo stesso piano, con lo stesso bisogno di misericordia di chi, col suo giudizio, vuole aiutare a camminare. È “buono” il cuore di chi fa verità sul proprio peccato e che si esprime in un giudizio di misericordia sugli altri”.
Una verità che scaturisce dall’esperienza della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte; così ogni fatica, anche della comunione fraterna, in Lui “non è vana”. Ma la comunità non deve presumere d’aver raggiunto l’incolumità, ognuno deve progredire costantemente perché l’esistenza continua ed è piena di insidie. (1Corinti 15,54-58 – II lettura)
Come “è bello annunziare l’amore del Signore fin dal mattino e di notte la sua fedeltà” dopo averla sperimentata per tutto il giorno! Questo assicura una “perenne giovinezza” e una stabilità ritrovata su “un equilibrio instabile”: sentirsi amati. (cf Salmo 91)
Così anche la notte anche peggiore prelude al sicuro sorgere del nuovo sole in un “al di qua” dove “Cristo afferra l’uomo al centro della sua vita” (D. Bonhöffer).
In preghiera con la Liturgia
Dio nostro Padre,
hai inviato nel mondo il tuo Figlio Parola di verità
che con la sua morte e risurrezione
ha risanato i nostri cuori sterili,
fa’ che dalla nostra bocca non escano parole di giudizio
ma di misericordia e di vita nuova.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità del tuo Spirito,
ora e per l’eternità. Amen.
Una Chiesa sinodale è una comunità in ascolto
Per una Chiesa che vuole riscoprire la sua identità “sinodale”, di popolo che “cammina insieme”, l’ascolto è una dimensione fondamentale.
Così siamo stati invitati dal nostro Vescovo noi presbiteri ad ascoltarci mentre ciascuno di noi tentava di rispondere dalle domande proposte dalla “traccia” predisposta per tutte le chiese in Italia.
Ci siamo presi un momento prolungato di silenzio per rileggere quelle domande ormai familiari e poi alcuni hanno parlato, qualcuno anche a lungo con una certa “foga”. “Camminare insieme… fianco a fianco”.
È stato fatto l’esempio dei binari del treno: corrono insieme ma non si incontrano mai. Succede tra Chiesa e società, ma in realtà è così nel nostro modo di “collaborare” tra preti, anche nella nostra zona. Possiamo condividere iniziative, ma poi tutto finisce lì. Le nostre “vite” non si incontrano.
Occorre dare contenuto a questo “camminare”, cosa intentiamo nel suo stile, modalità, direzione…?
“Chiesa casa di tutti”
Ma se ormai la maggior parte se n’è andata… chi rimane in casa?
Sarebbe già molto se con “il resto” facessimo le cose che sempre avremmo voluto fare o che ci diciamo che sono essenziali, come “l’ascolto della Parola”.
Forse è venuto il momento, “di non ritorno”, di “iniziare a fare sul serio”. Male che vada… cosa abbiamo da perdere?!
“Incontriamo la Parola…” è il primo luogo dove farlo è la comunità, la comunità nella quale svolgiamo il nostro ministero anche se composta di poche persone. È il momento di incominciare dalla “realtà” e non da ciò che noi ricordiamo o sogniamo!
Piccoli gruppi che “leggendo” insieme il Vangelo ne comprendono il contenuto e si interrogano sulle esperienze di vita.
“Cosa significa per noi la celebrazione dell’Eucaristia. …è cambiato il nostro modo di percepire e di vivere la liturgia?”.
Le parole hanno il loro peso: vale ancora “dire Messa” comunque e dovunque? Se vogliamo che i fedeli abbiano una “nuova” percezione ed esperienza delle celebrazioni dobbiamo partire da noi che le “gestiamo”: occorre cambiare il nostro modo di presiedere dall’accoglienza all’uso dei “libri liturgici”.
Non è l’Eucaristia “culmine e fonte” della nostra vita di comunione e quindi della sinodalità?! Se c’è un momento nel quale “fare sul serio” è questo.
Certo lo abbiamo sempre fatto, ma adesso lo dobbiamo come priorità e con cura, non lasciando nulla all’ovvio e allo scontato, “rieducandoci” alla celebrazione e ripartendo dall’abc dei fondamentali e non perdendoci nei dettagli che abbelliscono ma non sono la sostanza dei gesti e dei segni celebrativi.
Una Chiesa partecipativa e corresponsabile
Non ci siamo addentrati in quest’ambito che, parlando di sinodalità, mi sembra uno dei capisaldi perché riguarda del “camminare insieme” chi vuole partecipare a questo percorso con consapevolezza e convinzione, chi vuole “farne parte”.
Riguarda chi ha il compito/ministero di “guidare” in quale modalità intende svolgerlo (come dice Francesco: “un po’ davanti… a volte dietro… sempre in mezzo”.
Ma tutti gli altri che responsabilità hanno e sono consapevoli di avere?
Forse dobbiamo passare da “organismi di consultazione” a “gruppi ministeriali” che insieme, coordinati da chi ha il ministero pastorale, animano la vita della comunità.
Come nella chiesa si esercita l’autorità è un aspetto problematico oggi a tutti i livelli, da quello universale a quello parrocchiale che nelle diocesi si verifica in tutte le sue le criticità.
“Uno solo è il vostro Maestro, voi siete tutti fratelli… e sorelle” (cf Matteo 23,8) Da “amate i vostri nemici” al vederci bene così da poter “togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Luca 6,27.42 – Evangelo di oggi). Sì, perché il nemico non sempre sta al di là della barricata, spesso è dentro di noi, come se un filtro deformasse il nostro sguardo così che vediamo l’altro, l’altra come nostro nemico. Una “trave” posta proprio lì a distorcere o ad occludere la visione, mentre pretendiamo di liberare chi in realtà ci è fratello, sorella dalla pagliuzza che invece riusciamo a vedere nel suo occhio, ma che così non potremo mai aiutare a togliere (cf v. 41). Ma,se oltre ai difetti non vediamo chiaramente chi ci è fratello e sorella, allora siamo “ciechi” a tal punto da condurre anche gli altri fuori strada (cf v. 39).
È infatti interessante che Luca abbia trasferito questo ammonimento, rivolto inizialmente ai farisei ed ai maestri della Torah definiti altrove da Gesù come “guide cieche” (cf Matteo 15,14; 23,16), ai fratelli e sorelle della stessa comunità dove, attraverso la “correzione fraterna”, dovrebbero aiutarsi reciprocamente ad essere persone libere nel liberarsi gli uni gli altri dai propri limiti e difetti (cf 18,15-18).
Può diventare un pericoloso alibi non aiutare gli altri a migliorarsi dato che non ci riusciamo con noi stessi. Anzi, nella nostra esperienza quotidiana, è proprio vero il contrario a patto che la “misericordia” sia reciproca come poco prima Gesù l’aveva proposta ai suoi discepoli a “regola” della propria vita personale e fraterna (cf Luca 6,36).
Ancora una volta la strada da percorrere è quella di discepoli del maestro “misericordioso” per essere “come” Lui (cf v. 40).
Ogni volta che mi trovo davanti a questo avverbio non posso non ricordarmi il “comandamento suo e nuovo” di Gesù: “Amatevi gli uni altri come io ho amato voi” (cf Giovanni 13,16.34; 15,12) e convincermi che “come” non indica solo un modo da imitare e una misura da raggiungere, ma una motivazione e una causa che ci spinge, effetto del suo amore per noi.
Allora non sono anzitutto io “l’albero che deve dare frutti buoni” (cf vv. 43-44) ma sarà il “rimanere in Lui come i tralci rimangono attaccati alla vite” a permettermi di amare “come il Padre ha amato il Figlio e come Lui ha amato noi” (cf Giovanni 15,4-5; 9-10; 12,24).
Non è frutto di un impegno etico, ma effetto di una relazione intima e profonda: come tra cuore e bocca… a patto che nel cuore ci sia però un tesoro (cf v. 45; Matteo 12,35; 13,45-46).
Contestualizzazione liturgica
“Il vangelo di questa domenica è un insieme di detti con tutta probabilità originariamente separati. È perciò abbastanza oscuro il messaggio unitario della liturgia della Parola. La I lettura (Siracide 27,4-7) riprende la tematica degli ultimi versetti del vangelo: la parola dell’uomo come frutto, come test di prova del suo cuore (cf Luca 6,43-45).
Ma la prima parte (cf vv. 39-42) riguarda la possibilità di giudizio tra fratelli e sorelle: è possibile unicamente a condizione che ci si riconosca sullo stesso piano, con lo stesso bisogno di misericordia di chi, col suo giudizio, vuole aiutare a camminare. È “buono” il cuore di chi fa verità sul proprio peccato e che si esprime in un giudizio di misericordia sugli altri”.
Una verità che scaturisce dall’esperienza della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte; così ogni fatica, anche della comunione fraterna, in Lui “non è vana”. Ma la comunità non deve presumere d’aver raggiunto l’incolumità, ognuno deve progredire costantemente perché l’esistenza continua ed è piena di insidie. (1Corinti 15,54-58 – II lettura)
Come “è bello annunziare l’amore del Signore fin dal mattino e di notte la sua fedeltà” dopo averla sperimentata per tutto il giorno! Questo assicura una “perenne giovinezza” e una stabilità ritrovata su “un equilibrio instabile”: sentirsi amati. (cf Salmo 91)
Così anche la notte anche peggiore prelude al sicuro sorgere del nuovo sole in un “al di qua” dove “Cristo afferra l’uomo al centro della sua vita” (D. Bonhöffer).
In preghiera con la Liturgia
Dio nostro Padre,
hai inviato nel mondo il tuo Figlio Parola di verità
che con la sua morte e risurrezione
ha risanato i nostri cuori sterili,
fa’ che dalla nostra bocca non escano parole di giudizio
ma di misericordia e di vita nuova.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità del tuo Spirito,
ora e per l’eternità. Amen.
Una Chiesa sinodale è una comunità in ascolto
Per una Chiesa che vuole riscoprire la sua identità “sinodale”, di popolo che “cammina insieme”, l’ascolto è una dimensione fondamentale.
Così siamo stati invitati dal nostro Vescovo noi presbiteri ad ascoltarci mentre ciascuno di noi tentava di rispondere dalle domande proposte dalla “traccia” predisposta per tutte le chiese in Italia.
Ci siamo presi un momento prolungato di silenzio per rileggere quelle domande ormai familiari e poi alcuni hanno parlato, qualcuno anche a lungo con una certa “foga”. “Camminare insieme… fianco a fianco”.
È stato fatto l’esempio dei binari del treno: corrono insieme ma non si incontrano mai. Succede tra Chiesa e società, ma in realtà è così nel nostro modo di “collaborare” tra preti, anche nella nostra zona. Possiamo condividere iniziative, ma poi tutto finisce lì. Le nostre “vite” non si incontrano.
Occorre dare contenuto a questo “camminare”, cosa intentiamo nel suo stile, modalità, direzione…?
“Chiesa casa di tutti”
Ma se ormai la maggior parte se n’è andata… chi rimane in casa?
Sarebbe già molto se con “il resto” facessimo le cose che sempre avremmo voluto fare o che ci diciamo che sono essenziali, come “l’ascolto della Parola”.
Forse è venuto il momento, “di non ritorno”, di “iniziare a fare sul serio”. Male che vada… cosa abbiamo da perdere?!
“Incontriamo la Parola…” è il primo luogo dove farlo è la comunità, la comunità nella quale svolgiamo il nostro ministero anche se composta di poche persone. È il momento di incominciare dalla “realtà” e non da ciò che noi ricordiamo o sogniamo!
Piccoli gruppi che “leggendo” insieme il Vangelo ne comprendono il contenuto e si interrogano sulle esperienze di vita.
“Cosa significa per noi la celebrazione dell’Eucaristia. …è cambiato il nostro modo di percepire e di vivere la liturgia?”.
Le parole hanno il loro peso: vale ancora “dire Messa” comunque e dovunque? Se vogliamo che i fedeli abbiano una “nuova” percezione ed esperienza delle celebrazioni dobbiamo partire da noi che le “gestiamo”: occorre cambiare il nostro modo di presiedere dall’accoglienza all’uso dei “libri liturgici”.
Non è l’Eucaristia “culmine e fonte” della nostra vita di comunione e quindi della sinodalità?! Se c’è un momento nel quale “fare sul serio” è questo.
Certo lo abbiamo sempre fatto, ma adesso lo dobbiamo come priorità e con cura, non lasciando nulla all’ovvio e allo scontato, “rieducandoci” alla celebrazione e ripartendo dall’abc dei fondamentali e non perdendoci nei dettagli che abbelliscono ma non sono la sostanza dei gesti e dei segni celebrativi.
Una Chiesa partecipativa e corresponsabile
Non ci siamo addentrati in quest’ambito che, parlando di sinodalità, mi sembra uno dei capisaldi perché riguarda del “camminare insieme” chi vuole partecipare a questo percorso con consapevolezza e convinzione, chi vuole “farne parte”.
Riguarda chi ha il compito/ministero di “guidare” in quale modalità intende svolgerlo (come dice Francesco: “un po’ davanti… a volte dietro… sempre in mezzo”.
Ma tutti gli altri che responsabilità hanno e sono consapevoli di avere?
Forse dobbiamo passare da “organismi di consultazione” a “gruppi ministeriali” che insieme, coordinati da chi ha il ministero pastorale, animano la vita della comunità.
Come nella chiesa si esercita l’autorità è un aspetto problematico oggi a tutti i livelli, da quello universale a quello parrocchiale che nelle diocesi si verifica in tutte le sue le criticità.
L'invito ad "essere misericordiosi come il Padre" dall'orizzonte estremo del nemico si riflette, in tutte le sue sfaccettature, nelle relazioni fraterne, amicali e familiari, comunitarie. L'esperienza della misericordia vince la "cecità" interiore e libera lo sguardo sia dalle "pagliuzze" che dalle "travi", arricchisce il cuore dell'unico vero tesoro che è l'amore con effetti decisionali e parole che costruiscono e legano, per il bene di tutti.
RispondiEliminaI RIFLESSI DELLA PAROLA DURANTE LA SETTIMANA
RispondiEliminaGiacomo 1,19-26; 3,1-18
“Accogliete la Parola seminata in voi portandola a frutto”.
Il cammino di verità per il cristiano conosce un percorso di accoglienza della Parola,
capacità di parlare con rettitudine e frutto di opere d’amore.
Geremia 23,9-23. 29 / Luca 6,39.42
“Può un cieco guidare un altro cieco?”
Chi è guidato da ciechi interessi cerca di indurre altri sulle proprie tracce.
Le sue parole menzognere stridono con la Parola del Signore che è portatrice di vita;
le altre di divisione e morte.
Deuteronomio 18,15-22 / Luca 6,43-45
“Non può un albero buono dare frutti cattivi”.
La verità della parola profetica, in quanto aiuto agli altri a comprendere le indicazioni dell’oggi, viene attestata dal suo verificarsi nella vita.
Romani 14,1-4.7-13.16-19
“Ma tu perché giudichi il tuo fratello?”.
Ogni giudizio sull’altro, sull’altra che non rispecchia il giudizio di Dio è una menzogna: perché Egli è misericordia. È menzogna ogni parola che non è amore, Parola di Dio sull’essere umano.
PREGARE LA PAROLA
Salmo 1
Beato l’uomo che segue la via del Signore, sarà come albero che porta frutto.
Salmo 11
Salvaci da ogni parola di menzogna.
Salmo 25
Scrutami, Signore, raffinami al fuoco il cuore e la mente.
Salmo 49
Perché hai sempre In bocca i miei decreti e poi le mie parole te le getti alle spalle?
Salmo 91
Nella vecchiaia daranno ancora frutti, per annunziare quanto è buono il Signore.