LA FRAGILITA’ NELLA COPPIA E IN FAMIGLIA
Icona biblica: GLI SPOSI DI CANA (Giovanni 2,1-12)
#NonHannoVino
Non è solo il vino che può mancare ad una festa nuziale,
anzi quasi mai, ma dopo che la festa è finita sono molte, troppe le
cose che possono venire a mancare in una coppia nel loro ménage
quotidiano.
La brutta notizia non è questa, ma pensare che a noi non
capiterà mai o addirittura far finta che non sia mai successo o non stia avvenendo proprio adesso. Chi porta in luce questa mancanza non è un profeta di sciagure o di cattive notizie, ma addirittura “la madre di Gesù”. Un autentico sguardo materno si accorge delle mancanze senza lamentele o giudizi avventati, mentre noi siamo soliti accusarci vicendevolmente: “E’ solo colpa tua…”. “Te lo avevo detto io…”. “Non ti accorgi mai di niente…”. “Sei il solito finto tonto…”. Ci vuole un’attenzione e una cura per l’altro, per l’altra, fatta di piccoli gesti per intuire, e non nascondere soprattutto, le proprie debolezze e fragilità facendo finta di niente. Anche in un bel gruppo famiglie parrocchiale magari rodato da anni, chi si prende cura degli altri? Eppure nelle diverse fasi del Covid- 19 dovremmo aver imparato che “l’altro viene prima di me” e che il miglior modo di “curarmi” non è difendermi, ma “prendermi cura degli altri”1. Ecco una buona idea per la pastorale familiare nella fase 3: imparare a prenderci cura. Cosa abbiamo scoperto, l’uno dell’altra, nella nostra coppia nella fase 1 e cosa è rimasto nella fase 2?
Tutto il “buonismo” del #IoRestoaCasa?
Adesso che possiamo uscire siamo una coppia, una famiglia “in uscita?”.
Con tutte le raccomandazioni del distanziamento cosa abbiamo scoperto che già ci teneva distanti anche se vicini?
Cosa possiamo fare per avvicinarci e sperimentare quella prossimità “corpo a corpo” senza la quale anche i “riti” eucaristici sono completamente svuotati di significato? E dietro le nostre mascherine?
Certo “su le mascherine”, ma “giù le maschere” dell’abitudine, dell’ovvio e del consolidato, dello scontato, dopo tanti anni che “stiamo insieme”!
#FateQuelcheViDirà
Ci manca soprattutto la voglia di imparare.
Molti si chiedono cosa abbiano imparato in questo “tempo” così speciale, un vero e proprio kayròs, cos’abbia imparato il mondo, la chiesa2.
È vero però che qualcuno ci in-segna qualcosa se lascia “il segno”, ma occorre saper ascoltare che in latino è ob-audire e in italiano fa “obbedire”.
Siamo pronti ad imparare gli uni dagli altri?
Lo dico da prete in riferimento alla mia comunità, ma lo puoi dire da marito nei confronti di tua moglie o dei tuoi figli.
Ma se la cosa migliore che sappiamo dire è “Sei sempre lo stesso…”. O peggio ancora: “Già lo sapevo che dicevi così…” dove pensiamo di andare?
Maria non ha paura di chiedere l’obbedienza dei servi a quello conosciuto di suo figlio e nemmeno si arrende alla sua impertinente risposta. Faticosamente, ma inesorabilmente si mette in moto la nuova economia del vino nuovo.
1 DERIO OLIVERO, Non è una parentesi, Torino 2020, pp. 11--33.
2 PAOLO CURTAZ, “La fede al tempo del Coronavirus”, in Non è una parentesi, Torino 2020, pp. 78-83.
Che ad un certo punto che l’amore finisca è solo l’amara constatazione di micro perdite avvenute negli anni, perché è di Verdone che “l’amore è eterno finché finisce”. Ma la cosa paradossale è che occorre proprio partire dai “vuoti”.
#NessunoE’unVuotoaPerdere
Già il 6 è il numero della “mancanza”, ma che ad un certo punto per risolvere il problema del vino finito si debba partire dalle anfore vuote e per di più riempiendole d’acqua fino all’orlo è proprio paradossale.
Come li faremmo diversamente “i miracoli” noi esseri umani!
Ma per il Signore nessuno di noi è “un vuoto a perdere” (canta Noemi).
Ripartiamo dai nostri vuoti e accettiamo di riempirli d’acqua.
Proprio vero che Lui non scarta nulla, ricicla tutto soprattutto i nostri fallimenti. Si parte da qui, da dove è più scomodo senza vergogna o sensi di colpa, con semplicità e gratitudine.
#AllaFineilMeglio
Ciò che spiazza davvero non è quello che è avvenuto prima, e che in pochi sanno, ma che qualcuno se ne accorga e che riconosca che alla fine venga servito “il vino migliore”. L’attesa di miglia di anni, la promessa, l’alleanza… e noi non abbiamo la pazienza di aspettarci a vicenda, che l’altro o l’altra capisca, possa migliorare, cambiare!
Soprattutto, pur desiderandolo, non facciamo nulla, anzi a volte il contrario, perché questo avvenga.
“Ti amerò sempre come il primo giorno”.
Troppo limitante!
“Voglio amarti come l’ultimo giorno”.
Perché è così, alla fine viene la “pienezza”.
"…il vuoto può trasformarsi in un pieno… perché l’amore non si divide, si moltiplica" La signora Sassoli ha salutato così il marito David alla fine delle esequie:
https://www.youtube.com/watch?v=exTmBz7udDg
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