“LE PAROLE… LA PAROLA”
19 settembre 2021 – XXV Domenica T.O.
Sapienza 2,12. 17-20 / Salmo 53 / Giacomo 3,16- 4,3
Marco 9,30-37
Passando dal più in basso
Al di là del limite
“E di nuovo, per aiutarci a capire al di là delle nostre paure, il Vangelo di Gesù -il suo agire e le sue parole- ritorna a presentarci quel modo di essere umani che più lo contraddistingue e differenzia la sua da ogni logica umana: l’ultimo, il più piccolo… il bambino”.
Realizzarci in tutta la nostra umanità non prevede certo questo obiettivo, per noi che tutto sommato cerchiamo sempre di “puntare in alto”.
Non è che Gesù si accontenti delle mezze misure o proponga la mediocrità, è innanzitutto esigente con se stesso, determinato nelle sue scelte personali e nelle sue proposte come abbiamo ascoltato domenica scorsa in Marco 8,27-35.
Il suo sguardo è “oltre” le apparenze e le previsioni più drammatiche sul suo destino messianico; radicato nella storia del suo popolo; aperto al futuro suo e dell’intera umanità, la risurrezione (cf 9,1-13). Eppure sempre immerso nelle infermità e limitazioni che rendono gli esseri umani incapaci di vivere in armonia, nell’aiuto vicendevole, nella libertà e nella piena dignità che invece lui restituisce come altro anticipo di risurrezione (9,14- 29).
Con il suo stile discreto e poco appariscente, ma molto chiaro e determinato ritorna sul suo “segreto” che entra decisamente nelle pretese ambiziose dei suoi discepoli e nostre.
Anche noi non capiamo questo suo modo di ragionare e di esprimersi, abbiamo paura ad interpellarlo (9,30-32) e così, partendo proprio dal luogo più basso e nell’intimità di una casa, ma “diretto decisamente verso Gerusalemme, in un cammino umanamente di solitudine che pure lo condurrà al vertice dell’unità con i suoi, di nuovo deve tornare alle evidenze più tangibili anche per noi, eppure che ci vedono paurosi e tardi perché distanti dal valore che Lui dà a chi è insignificante socialmente, all’ultimo posto, ma in realtà disponibile” (9,32-37).
Accogliere
In risposta a questa apertura che ci viene chiesta avviene l’incontro con Colui che si è aperto e identificato con il più piccolo, vincendo così il rischio e la paura di diventare umanamente trascurabile. Questo è il Regno annunciato dal Messia nazareno fin dall’inizio e la conversione che è richiesta.
“Di nuovo il suo modo di essere viene così offerto come dono di un nuovo rapporto tra di noi: con tenerezza, eco di cose nuove, semplici, di promesse e speranze che costituiscono lo stile del discepolo e del credente nel relazionarsi con gli altri, esperienza del suo rapporto con il Padre, sconvolgimento ma vero esaudimento del nostro desiderio di grandezza”.
Contestualizzazione liturgica
“Alle false prove di credibilità che l’egoismo umano e la violenza impongono al Giusto, il servo del Signore [cf Isaia 50,4-9; 53] a colui che legittimamente si pretende Figlio di Dio (Sapienza 2 – I lettura odierna); al desiderio di possesso, di riuscita a prezzo di lotte e morte, anche dell’esistenza altrui (Giacomo 3 - II lettura); alle ostinate misure di grandezza messe in atto dai suoi
discepoli, paurosi di entrare nella logica dell’Evangelo, Gesù contrappone il segno disarmante, gratuito di un abbraccio che sancisce la sua promessa di vita legata al servizio e all’ultimo posto (Marco).
Essere alla sequela del Figlio significa agire come servi, con gli ultimi e come tali, come Colui che, sostenuto dalla forza dell’amore del Padre, può raccogliere in sé il rifiuto dell’umanità e dargli un nome nuovo di vita e di risurrezione”.
In preghiera
Padre, sorgente della vita
che hai posto il tuo Figlio come servo,
donaci la tua sapienza
affinché, accogliendo i più piccoli e gli ultimi,
lo riconosciamo presente in mezzo a noi.
Tornando in Galilea, Gesù, rivolgendosi ai Dodici, non disdegna di affermare nuovamente di essere pronto a “consegnarsi” per riscattare tutti. Un’affermazione già pronunziata precedentemente. Un’affermazione che aveva creato una reazione da parte di Pietro, prontamente redarguita da Gesù stesso.
RispondiEliminaEcco perché sia Pietro, sia gli altri Undici, si erano ben guardati dal reagire nuovamente. Avevano ancora problemi a credere in un Dio diverso e misericordioso. In cuor loro era chiaro che attendevano un trionfo pari a quello degli imperatori romani che passavano sotto l’arco delle vittorie tra cori esultanti dopo i risultati ottenuti e nuovi territori conquistati.
Per questo avevano preferito il silenzio, ma non avevano tralasciato di discutere indirettamente su quell’ennesima affermazione di “consegna”. Avevano pensato di rimandare e chiedere successivamente il significato di quanto pronunziato da Gesù.
A Cafarnao, in un contesto domestico, è Gesù stesso ad interrogarli. Chiese loro di cosa avessero discusso nel tragitto. Anche in questo caso non ci fu risposta. Erano indirettamente stati ripresi proprio su quanto era stato oggetto di discussione.
Infatti, mentre Gesù aveva affermato di “consegnarsi” per riscattare l’umanità attraverso la croce per poi risorgere … i Dodici stavano “consegnandosi” i posti di privilegio come un bottino di guerra da dividere.
Gesù, al contrario di quanto aveva fatto con Pietro a cui aveva rivolto un sonoro rimprovero, preferisce questa volta una frase lapidaria simile ad un fendente che lascia impietrito chi lo riceve: “se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Aveva chiaramente affermato che la vera “consegna” stava nel donarsi e nell’essere ultimi e servi.
E non solo affermò questo. Lo ribadì con un gesto che li disarmò definitivamente: preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me, e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Tre gesti che condensano quella consegna che Gesù farà successivamente e che indicherà non solo a loro, ma anche a ciascuno di coloro che intenderanno seguirlo, come diventare suo discepolo.
Prendere è il gesto di Maria dopo la nascita che depone Gesù nella mangiatoia “consegnandolo” all’umanità; porre al centro è lo stare dello stesso Gesù tra i ladroni sul Calvario consegnando giorni migliori a chi anche alla fine riesce a riscattarsi; abbracciare è l’espressione concreta e massima della misericordia che il padre della parabola consegna al figliol prodigo.
Insomma consegnarsi non è una resa. Consegnarsi è il servizio di chi accoglie sempre i piccoli che sono il volto concreto di Cristo.
Scegliere di continuare a seguire Gesù vuol dire “consegnarsi” per optare e operare sempre con Cristo e per Cristo. Non si tratta di porsi al centro, ma di mettere al centro i piccoli per essere cristiani e nello stesso tempo una Chiesa di tutti e per tutti.
Questo permette di andare nella direzione per creare futuro. Nel servire e nel “farsi ultimi” Gesù propone di diventare costruttori di amore con una fedeltà alla vita senza smettere mai di impegnarsi per stare dalla parte di chi ha il volto di Cristo segnato dalla sofferenza e dall’esclusione.
Antonio Ruggia, prete di Bari