“LE PAROLE… LA PAROLA”
12 settembre 2021 – XXIV Domenica T.O.
Isaia 50,5-9 / Salmo 114 / Giacomo 2,11-18 / Marco 8,27-33 Un solo Amore
Conoscendo Te... mi riconosco
È proprio vero che non ti basta una vita per conoscere a fondo una persona.
Eppure Gesù, fin dall’inizio della sua esistenza pubblica in Galilea e poi nelle altre regioni, anche all’estero, non si è accontentato di predicare l’evangelo di Dio o di operare guarigioni prodigiose, ha sempre cercato di stabilire tra sé ed i suoi interlocutori un rapporto di reciproca conoscenza.
Ha però diffidato dalle definizioni facili o ufficiali, anzi ha imposto il silenzio su questi tentativi, da chiunque provenissero (cf Marco 1,34; 3,23; 5,41; 7,24.36; 8,26.30; 9,9).
Questo atteggiamento è stato sufficientemente studiato e addirittura definito come “segreto messianico”.
Ma ognuno di noi ha i suoi “segreti” ed è proprio il confidarli che stabilisce il grado di amicizia tra noi, una complicità che lega poi le persone.
Richiamato dall’evangelista Marco costituisce anche un modo per condurre ad una conoscenza di Gesù più libera e consapevole la folla come i discepoli, i lettori credenti o ancora in via di iniziazione come i “catecumeni”.
Questo fa da “contrappunto” alla constatazione meravigliata e stupita da parte di Gesù della difficoltà che riscontra nel capirlo e nel fidarsi di Lui (cf 4,13; 6,6; 8,17.21); nonostante che Egli faccia di tutto per farsi conoscere, paradossalmente, trova più accoglienza e fiducia dagli “estranei” (cf 7,24-37; 15,39).
C’è una “chiusura di mente e di cuore” che Gesù fa fatica a vincere, ad “aprire”: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite” (8,18 citando i profeti Geremia ed Ezechiele).
Eppure non si arrende, la sua compassione per la folla che non ha di che saziarsi, lo spinge a compiere un altro segno dopo 6,30-44 (cf 8,1-10) che non è accolto dai farisei ma nemmeno dai discepoli (8,11-21). E dopo avergli condotto un sordomuto ora gli presentano un cieco che Egli tratta nello stesso modo (cf 7,31-37; 8,22-26) ma la sua guarigione segue un percorso di progressivo recupero della vista; due guarigioni che sono “segno” della progressiva capacità dei discepoli e nostra di credergli.
Ora è venuto il momento di affrontare di petto la situazione e di mettere i suoi discepoli difronte alla realtà, senza più tergiversare a costo di scontrarsi con una prospettiva non solo imprevista ma addirittura scongiurata come esprimerà Pietro a nome degli altri.
Gesù incalza i suoi con interrogativi sulla sua identità, vuole portarli ad uscire da risposte “religiosamente corrette”, li spinge ad una loro personale attestazione (cf 8,27-30 – Evangelo di oggi) che non può arrivare se non dopo la sua morte e risurrezione (cf 9,9-10).
Infatti la risposta non giunge al termine di un processo intellettivo ma esperienziale e non qualsiasi, ma del dramma sconcertante della sua grande sofferenza e uccisione (cf 8,31- 32a).
Comprensibile allora la reazione di Pietro, come di chiunque altro difronte a tale scenario, un po’ di tutela e addirittura di rimprovero che nasconde un rifiuto fino a frapporsi in mezzo
quasi ad ostacolare il compimento della strategia divina abbandonando e quasi rinnegando il proprio ruolo di discepolo che segue il maestro (cf 8,32b-33; 14,50-52).
Riprendo una riflessione pubblicata a giugno 2021. Gesù si farà conoscere pienamente sono alla fine e paradossalmente nella tragicità della umanità e nel nascondimento della sua divinità, mentre in croce grida l’abbandono del Padre (cf 15,33-39).
“Così, il vangelo di Marco è il resoconto dell'inaudito e incomprensibile amore incarnato di Dio, che in Gesù cerca e trova l'uomo, superando ogni opposizione.
Dato che ogni rivelazione diretta potrebbe condurre soltanto a una fede nel miracolo, come quella che hanno anche i démoni, Dio deve percorrere un cammino che porta all'occultamento, anzi all'ignominia e all'abbassamento, alla morte, come appare chiaramente, con sobrietà impressionante, nel grido di Gesù: "Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato" e nell’affermazione che Gesù spirò con un gran grido.
La fede esiste solo come sequela.
Il segno che questo miracolo può veramente succedere, che la rivelazione di Dio raggiungerà il suo scopo, è costituito da un simpatizzante estraneo al gruppo che seppellisce Gesù; da un pagano, che come legionario non può veramente aver sempre le mani pulite e che è persino incaricato dell'esecuzione degli innocenti; da un paio di donne, che si limitano ad aver paura e non hanno fiducia neppure nelle parole dell'angelo.
Questi, ma soprattutto i discepoli, che Gesù precede in Galilea nonostante la loro più completa defezione, segnalano il miracolo della comunità che viene, che il Risorto stesso chiamerà all’esistenza e invierà nel mondo”.
(E. SCHWEIZER)
Contestualizzazione liturgica
È sempre Isaia il profeta che interpreta meglio di tutti l’atteggiamento del “Servo del Signore”, nel senso messianico e di discepolato. Nel passo odierno, “terzo canto” (50,5-9a), emerge la decisione di affrontare la sofferenza senza cercare di scansarla tutelando la propria esistenza incolume.
Proprio nella sua estrema fragilità e debolezza sperimenta però una forza dovuta alla vicinanza del Signore che lo fa rimanere in un costante dialogo con Lui (cf Salmo 114), capace di trasformare ciò che riteniamo inutile e dannoso, che gli consente di esprimere tutta la sua potenzialità racchiusa nell’amore.
Come può infatti l’Amore irrompere diversamente, in tutta la sua energia e concretezza, dando corpo, mani e gambe alla fede?! (Giacomo 2,14-18 – II lettura odierna).
Siamo messi fronte un’opzione: riconoscere la signoria del Signore per accettare la logica del suo amore per ogni essere umano, la sua consegna nelle mani nostre e del Padre come estrema incarnazione della sua misericordia.
“Incontrovertibile confutazione di ogni schizofrenia, di ogni falsa contrapposizione di amori”
Molto rivoluzionario il passo in cui affermi che Dio deve percorrere un cammino che porta all'occultamento, all'ignominia e all'abbassamento. Grazie, Roberto! A tutti una buona domenica! Carmela Battolu
RispondiEliminaCosì diverso il pensiero di Dio dal nostro, così imprevedibili le sue vie. Troppo forte la tentazione di "insegnargli qualcosa", una specie di lezione di bon ton, come fa Pietro...
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