“LE PAROLE… LA PAROLA”
13 giugno 2021: si continua il cammino con Marco
Un “Tempo” semplicemente “Ordinario”:
quotidiano - feriale
Il “Tempo” al di fuori dei grandi cicli di Avvento - Natale, Quaresima - Pasqua è riconosciuto come “Ordinario”. Senza perdere il contenuto salvifico che i tempi “forti” imprimono ad ogni giorno della vita cristiana, la Liturgia del T.O. cala gli avvenimenti fondamentali della salvezza nella trama dei fatti umani quotidiani.
Sulla scorta del Vangelo di Gesù - la sua vita e la sua parola - la comunità cristiana è chiamata a realizzare la “Buona Notizia del Regno di Dio” presente nell’oggi, a riconoscerla e accoglierla come vera e operante nella vita usuale, “ordinaria”, appunto feriale.
MARCO: un Vangelo per il quotidiano
Ogni anno la Liturgia domenicale proclama, in una lettura semi continua, uno dei tre vangeli sinottici e in questo “Anno B” il racconto evangelico di Marco.
Secondo l'ipotesi più condivisa, sarebbe quello più antico, utilizzato poi da Matteo e da Luca come fonte tradizionale, e che ha “creato”, in modo del tutto originale, lo stesso genere letterario del “vangelo”.
Di fatto, il termine è prediletto da questo autore: dal significato limitato a “notizia buona e bella, gioiosa” (cf Isaia 62,1- 2;35,5; 58,6), passa a significare l'esistenza stessa di Gesù come evento di salvezza per tutti gli esseri umani, e infine un suo resoconto scritto.
Fino al momento in cui Marco scrive il suo vangelo (circa 60/70 d.C.) circolavano nelle comunità cristiane solo “raccolte” di parole e insegnamenti del Nazareno, di suoi operati prodigiosi, addirittura i “racconti della passione e risurrezione”.
È Marco che riscopre l'interesse per tutta la vita terrena del Nazareno, i suoi gesti, le sue vicende storiche, come “evangelo di Gesù, Cristo il Figlio di Dio” (1,1), che solo progressivamente si rivela nella sua misteriosa identità e solo agli occhi dei credenti, attraverso lo scandalo della croce (cf 8,31).
L'inizio del vangelo di Marco è in questo senso tutto un programma, potremmo tradurlo così: “Inizio di una lieta notizia: Gesù di Nazaret, così come l’abbiamo visto vivere e morire tra noi, è il Cristo, il Figlio di Dio!”.
È il paradosso della incarnazione che per Marco, senza narrarci nulla della sua nascita e infanzia, costituisce la novità e la letizia di questa vita di uomo come noi e nello stesso tempo così diverso da noi. È l'umanità di Dio, la stupenda buona notizia che equivale all’annuncio: “Il regno di Dio si è fatto vicino!” (1,15).
Tutto questo si presenta come evento della nostra storia, eppure come segreto sottratto dalla comprensione degli “increduli”, addirittura i suoi stessi discepoli.
Marco sottolinea spesso e con particolare forza, la decisione di Gesù di restare nascosto nella sua identità a coloro che non credono (il “segreto messianico”), perché la potenza che in lui si manifesta non venga fraintesa e confusa con gli artificiosi vaneggiamenti del potere mondano.
Si farà conoscere pienamente sono alla fine e paradossalmente nella tragicità della umanità e nel nascondimento della sua divinità, mentre in croce grida l’abbandono del Padre (cf 15,33-39).
“Così, il vangelo di Marco è il resoconto dell'inaudito e incomprensibile amore incarnato di Dio, che in Gesù cerca e trova l'uomo, superando ogni opposizione.
Dato che ogni rivelazione diretta potrebbe condurre soltanto a una fede nel miracolo, come quella che hanno anche i demoni, Dio deve percorrere un cammino che porta all'occultamento, anzi all'ignominia e all'abbassamento, alla morte, come appare chiaramente, con sobrietà impressionante, nel grido di Gesù: "Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato" e nell'affermazione che Gesù spirò con un gran grido.
La fede esiste solo come sequela.
Il segno che questo miracolo può veramente succedere, che la rivelazione di Dio raggiungerà il suo scopo, è costituito da un simpatizzante estraneo al gruppo che seppellisce Gesù; da un pagano, che come ufficiale non può veramente aver sempre le mani pulite e che è persino incaricato dell'esecuzione degli innocenti; da un paio di donne, che si limitano ad aver paura e non hanno fiducia neppure nelle parole dell'angelo.
Questi, ma soprattutto i discepoli, che Gesù precede in Galilea nonostante la loro più completa defezione, segnalano il miracolo della comunità che viene, che il risorto stesso chiamerà all'esistenza e invierà nel mondo” (E. SCHWEIZER).
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