sabato 10 aprile 2021

“LE PAROLE… LA PAROLA” 11 aprile 2021 - II domenica di Pasqua Giovanni 20,19-31 - La beatitudine di chi crede

LE PAROLE… LA PAROLA” 

11 aprile 2021 - II domenica di Pasqua 

Giovanni 20,19-31 - La beatitudine di chi crede 

Atti apostoli 4,32-35 / Salmo 117 / 1Giovanni 20,19-31 






Giovanni 20,19-31 

Saper guardare bene per “vedere”. 

Gli apostoli vedono ora quelle “mani” e quel “costato” che si  erano rifiutati di guardare allora, quando Gesù veniva crocifisso (cf  19,35-37).  

Adesso Lui è lì, piombato in mezzo a loro, ed ha una sola  parola per loro: “Pace a voi!” (20,19). Un saluto che li riempie di  gioia (cf v. 20b) e che vince l’iniziale chiusura e paura e che, la  seconda volta (cf v. 21), diventa addirittura un mandato, una  missione.  

Ma com’è possibile questa trasformazione in così poco tempo  e sembra anche senza nessuna fatica per loro? 

Ricevete lo Spirito” (v. 22), fonte di una vita nuova riconciliata  e pacificata, offerta a tutti; “lo Spirito della Verità” che guida in una  nuova comprensione di Gesù, delle sue parole, fa entrare nella  verità tutta intera (cf 16,13-15). 

Anche a noi il Risorto si manifesta con i “segni” compiuti da  Lui, gli stessi “in presenza dei suoi discepoli” (v. 30) e lo fa sempre  “otto giorni dopo”, come con Tommaso (cf. vv. 26-29). 

Nessuno di noi è figlio unico 

Tommaso è l’apostolo pronto a morire con Gesù (cf 11,16) eppure dichiara di non sapere dove Egli vada (cf 14,5) e  rappresenta la lenta progressione dei discepoli nel credere in  Gesù. 

 

Nominato sette volte nel racconto evangelico è chiamato qui  “didymos = gemello”, conosciuto anche come “idoneo secondo1,  infatti solo a lui tra gli Undici, dopo Simon Pietro, Gesù si manifesta  risorto (in 21,2 è citato al secondo posto). 

Essendo “uno dei Dodici” acquista quasi un duplice ruolo: fa  da “cerniera” con le successive generazioni di cristiani, anche con  i lettori di questo racconto evangelico, e si trova nell’ultimo  episodio della prima versione redazionale. 

Possiamo quindi dire che è quello che più assomiglia a noi,  quindi “nostro gemello”, nostro contemporaneo, quasi un  esistenzialista… un pessimista coraggioso. Per lui il peggio è  sempre la cosa più sicura. Tutto il suo coraggio è “per la morte”,  non sa aver fiducia”. 

Anche per noi a volte, la disperazione nel dolore è la pietra  più sicura su cui poggiarci, affinché nulla cambi per iniziare a  sperare “credendo” (= roccia stabile) nella risurrezione.  Essere morti, fa meno male che essere vivi! 

Quanti reduci di guerra vivono la loro condizione di  sopravvissuti, come in tremende sciagure o atti terroristici, quasi  scusandosi di non essere morti con i loro compagni: essere ancora  vivi può far soffrire di più, come fosse una colpa da espiare e non  un’opportunità! “Per fortuna il Signore conosceva Tommaso!”.2 

Anche il fatto che “non fosse con [i discepoli] quando venne  Gesù” (v. 24) attesta o la sua spavalderia di andarsene in giro  mentre gli altri se ne stavano chiusi in casa “per timore dei Giudei”  (v. 19)3, o la sua distanza dalla comunità. In qualche modo  “rappresenta la figura di colui che non dà retta alla testimonianza  

1 Vedi “Atti di Tommaso, 39”, da Gesù stesso riconosciuto come “idoneo secondo” (frammento  Copto 2,6,2). Si può anche tradurre come “doppio/duplice/duplicato”, anche nel senso di “Giano  bifronte”. 

2L. EVELY, Il vangelo della gioia, Assisi 1968, pp. 91-103. 

3 Vedi anche Vangelo di Pietro, 7,26. 

della comunità”4, o chiunque sollevi obiezioni all’annuncio del  kerygma in quanto non presente nel cenacolo. 

Le persone identificate con un “nome proprio” nel racconto  giovanneo quasi sempre sono “figure della fede” che  rappresentano diversi atteggiamenti o modalità di dare  un’adesione a Gesù come “Figlio del Padre”. 

In questo senso Tommaso è sempre citato in relazione alla  morte risurrezione di Gesù e quindi rappresenta il processo di fede  pasquale anche della comunità cristiana, nella fatica di chi vuole  porre le condizioni e quasi stabilire l’andamento del percorso. 

Se non vedo i segni” 

Ma quali sono “i segni del Risorto”5

Non sono solo quelli della sua morte, le ferite della  crocifissione (cf v.25b.27a) o della sua risurrezione, il sepolcro  aperto ma vuoto e i teli insanguinati (cf 20,1.5-7). 

Essi non ci parlano di Lui, finché Egli, non irrompe in mezzo, in  piedi, come “il Vivente” (cf Ap 1,17-18), e trasmette il suo  

4J. MATEOS – J. BARRETO, Il vangelo di Giovanni, Assisi 20004, p. 829.  

5 Nell’esperienza pasquale del Risorto e della sua risurrezione hanno un ruolo fondamentale “i  segni” compiuti da Gesù, che secondo la “prima conclusione” del racconto evangelico di Giovanni  (cf 20,30-31) sono stati “molti” fatti da lui “in presenza dei suoi discepoli”. Certo ci si riferisce ai  “sette segni” che costellano e scandiscono questo vangelo, tanto da potersi considerare un “libro”.  (Vedi B. MAGGIONI, I Vangeli, Assisi 2008, pp.162-1627). Ciò che però è essenziale è il loro scopo,  secondo l’intenzione dell’evangelista che di sicuro ha capito quella del Nazareno stesso: “credere”  (cf 2,11.23; 3,18) che vuol dire “venire a Lui per avere da Lui la Vita” (cf 5,40) che è Lui stesso e che  noi possiamo ricevere solo da Lui come un dono, perché Egli l’ha veramente donata (cf 1,4; 3,15.16). Quindi i segni hanno un valore e una funzione “vitale”: sono vivi e vivificano (cf 3,5-7; 4,13-14; 6,63;  7,37-38) come è stato per il malato alla piscina di Betzatà (cf 5,1-9), ma lo sono anche “molti altri”.  Quali? Li indica proprio Tommaso nel suo incontro con il Risorto (cf 20,24-29): le ferite della  crocifissione. Questi sono il “segno permanente” che rimangono perché la fede del cristiano non sia  un’operazione esoterica, ma reale, fisica, tattile… perché questa è la funzione del segno, indicare  ma anche far sperimentare. Questo l’evangelista lo dirà subito scrivendo alle sue comunità (1Gv 1,1- 4): la Parola che è Luce e Vita, quindi energia vitale, si può ascoltare - vedere – toccare e infine anche  comunicare, proprio come ha fatto lui. I “segni del Risorto” non si riferiscono alla risurrezione ma al  suo essere “il Vivente” (cf Ap 1,17-18) che continua a comunicare Vita. 

respiro”, soffiandolo in noi (cf 20,22) come Dio fece col primo  Adam (cf Gn 2,7).  

Solo persone, “create nuove” dal suo Spirito, possono  riconoscere nel crocifisso il Risorto, accogliere il dono della sua  “Pace” come impegno per tutti di costruire un mondo nuovo, che  parta da un modo nuovo, riconciliato di vivere nel perdono  ricevuto e donato. 

“Per Giovanni [in tutta la sua opera] è l’amore quel che rende  l’uomo un essere vivente”.6 

Uomini e donne interiormente rigenerati potranno dar vita a  nuove relazioni (“nuova giustizia” evangelica cf Mt 5,20- 7,28), ad  un mondo nuovo, alla “civiltà dell’amore” di cui vi fa parte chi ama  e non chi pretende un’appartenenza etnica o religiosa. Una società  senza frontiere e condizionamenti dal passato, aperta al presente  e protesa verso il futuro. 

“Il mondo non penserà più a questo crocifisso, ma i discepoli  lo vedranno vivo, risorto e glorioso”7

Non essere incredulo”… ma nemmeno credulone! 

Gesù, infatti, non giudica né biasima la pretesa di Tommaso e  le sue motivazioni, anzi si dimostra disponibile, non a dargli uno  smacco di fronte agli altri discepoli, ma cogliendo quest’occasione  per dire a tutti, presenti e futuri, che anche le ferite possono  diventare “feritoie”8 attraverso le quali non solo il Risorto può far  giungere noi la sua luce, ma anche noi possiamo “vedere” e  “credere” all’amore che lo ha spinto fino a tanto (cf 15,13). 

Ecco, Tommaso si è sentito “amato” non giudicato per non  essere andato alla morte con il Maestro (cf 11,16) o aver perso la  

6 A. MAGGI, La follia di Dio, Assisi 20184, p. 196. 

7 A. NOCENT, op. cit. / 4. Tempo pasquale, pp. 131-137. 

8 Un’espressione spesso usata dal vescovo G. M. Bregantini (14 aprile 2012) e attribuita al vescovo  Tonino Bello.


“via di casa” (cf 14,5), nemmeno per la sua assurda pretesa di  “toccare” e, infatti, rimane spiazzato dalle parole e dai gesti di  Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”. 

Infatti, sono le parole di Gesù che costituiscono il vero punto  di svolta dell’episodio, prima e più di qualunque altro gesto. Gli  rivolge la sua parola che dà voce alle sue pretese prima  manifestate ai compagni. È sempre così nel racconto di Giovanni:  la parola di Gesù “apre” l’interlocutore alle fede in Lui, così è stato  all’inizio per Nicodemo, poi per la Samaritana e alla fine con Pietro.  La parola produce questo effetto perché “apre uno spazio” di  accoglienza in ogni persona che Lo avvicina. 

Anzi, tale deve essere stata la sua felicità condivisa già dai suoi  compagni (cf v. 20b), da far proclamare al Risorto per noi una  beatitudine finora inedita, come tale è stata la professione di fede  da parte di Tommaso: “Beati coloro che non hanno visto e hanno  creduto” (v. 29b). 

Se coloro che hanno avuto la possibilità di “vedere” non sono  stati capaci di riconoscerlo subito, da Maria di Màgdala e Sion  Pietro (cf 20,1.5.8.12.14.25b; 21,4), finché Lui non si manifestò con  i suoi “segni” (cf vv. 20.25a.27; 21,7.12b), e quindi hanno faticato  per arrivare a “credere” (cf v. 27c), sarà più facile per noi che invece  vediamo “altri segni che non sono stati scritti” (v. 30b)? 

La risposta è nella nostra esperienza personale e comunitaria  di credenti: è stato così e sempre lo sarà fino a che “Egli non sarà  manifestato [e noi] lo vedremo come lui veramente è” (1Gv 3,1-3).  

È tuttavia impressionante come spesso noi cediamo ad  esperienze religiose “esteriori” o solo emotive, oppure ci  barrichiamo dietro formule e concetti teologici preconfezionati,  senza la pazienza di un ascolto interiore vero, profondo che  permetta alla parola divina di agire. 

Nessuno crede solo per sé

 

Ma noi siamo “beati” perché abbiamo queste testimonianze  (cf 21,30) la cui verità sta nella nostra comunione con loro, che ci  scrivono, possibile perché “è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù  Cristo” fonte di una “gioia piena” rispetto a quella promessa da Lui  già donata ai suoi (cf 1Gv 1,3-4 e Gv 16,22-23; 17,13; 20,20b). 

Ora non solo per questi chiedo, ma per quelli che crederanno  in me per la loro parola, affinché tutti siano uno: come tu Padre in  me e io in te, anch’essi siano uno in noi, affinché il mondo creda  che tu mi mandasti” (17,20-21)9

Queste parole ci aiutano a comprendere “il di più” di gioia e  di vita nel vedere e nel credere che Gesù promette a noi, in  continuità con quanto comunicato e manifestato ai suoi

Tommaso accompagna anche noi, pur sempre increduli (ma  meglio che creduloni!), in un percorso che ci aiuta a superare una  fede ingenua per “diventare credenti” (cf v. 27c), capaci di  professare che Dio è “quel Gesù, crocifisso e risuscitato… costituito  Signore” (cf At 2,23-24.32-36). 

Credere insieme 

L’esperienza di Tommaso ci aiuta a dar senso e valore a quei  “segni” che fin dall’inizio accompagneranno il cammino di fede  delle prime comunità cristiane, e oggi ancora anche il nostro:  parola ed eucaristia

Anche noi, nella celebrazione liturgica, possiamo fare la stessa  esperienza di Tommaso: proprio perché la parola del Signore  risorto è rivolta a noi essa ci illumini, ci conosce perché è la verità  di noi stessi e permette a noi di riconoscere Lui, di incontrarlo  entrando attraverso il sacramento in un “contatto fisico” con Lui. 

9 Questo testo fa parte dell’ultimo dei “discorsi post pasquali” collocati dal redattore finale a conclusione della cena  pasquale, prima della passione e morte, nel cosiddetto “libro della gloria” (cc. 13,1-20,31) E. BORGHI, op. cit., pp. 176- 205.


Otto giorni dopo” (v. 26) è la scansione settimanale che ci  appuntamento con il Risorto, e costituisce il punto di incontro con  Lui, visto e toccato, ma che abbiamo cercato lungo tutto il nostro  percorso di fede, dal punto più lontano del dubbio o  dell’incredulità a quello più vicino della confessione in Lui. 

Con quale pretesa la Chiesa può utilizzarli per annunciare la  Risurrezione del Signore? Solo con la forza dello Spirito del risorto  invocato (vedi la seconda epiclesi delle preci eucaristiche). 

Nel quarto vangelo la fede è o suscitata dal “segno” oppure  ne è l’effetto10. Questo avviene anche per la vita sacramentale  offerta dalla Chiesa. Per essere trasformati e vivere nel Cristo occorre “credere in Lui” (cf 9,35-38; 11,26) che ci tende la mano, ci  viene incontro, per farci entrare nella realtà che quei segni  offrono11

Anche noi ascoltiamo, leggiamo quello che è stato scritto  affinché possiamo anche noi “credere” (cf 2,11.23; 3,18; 20,30-31) che vuol dire “venire a Lui per avere da Lui la Vita” (cf 5,40).

 10 Vedi 2,11; 5,54; 11,45; 12,37. 

11 A. NOCENT, op. cit., p. 257.

3 commenti:

  1. Buona domenica don Roberto. Alba quasi buia fino ad un certo punto, poi anche le nuvole hanno aperto un varco...luce abbagliante.
    Aspettavo un bellissimo commento al vangelo di oggi.
    È un commento densissimo, da smontare per far tesoro di ogni spunto.
    Grazie
    Oggi è perfetto ��������

    RispondiElimina
  2. La risposta del Risorto è nella nostra esperienza personale e comunitaria...Grazie, Roberto! Buona domenica a tutti!����

    RispondiElimina
  3. Grande e profonda è la riflessione che queste parole ci invitano a fare guardando dentro di noi per avere lo sguardo verso il risorto perché diventi compagno inseparabile. Grazie e buona serata

    RispondiElimina

Vicina è La PAROLA 13 Aprile 2025 Domenica di Passione/C la Passione dell’Amore I racconti della passione e morte di Gesù Nazareno: la versione di Luca

Vicina è La PAROLA 13 Aprile 2025 Domenica di Passione/C Isaia 50,4-7 / Salmo 21 Filippesi 2,6-11 Luca 22,14- 23,56 la Passione dell’Amore ...