Giovanni 3,1-30
“Essere generati di nuovo, dall’alto”.
Nel colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo1, “rinascere” è il fulcro di questo singolare annuncio messianico, sulla reale possibilità per l’essere umano di avere direttamente da Dio la Vita (“il regno”, v. 5.). Ora, solo Gesù in quanto “Rabbi, inviato da Dio”, può donarla (cf vv. 2.16).
Si capisce allora perché quest’uomo sia andato da Gesù “di notte”2, anch’egli cercava “una vita nuova” per sé e per il suo popolo (infatti si rivolge a Lui col plurale “sappiamo” v. 2b), infatti riconosce in Gesù, dopo “i segni” compiuti a Gerusalemme (cf 2,15.23), il “Messia riformatore” delle istituzioni giudaiche, di una purificata interpretazione e applicazione della Toràh (cf v. 2a).
Ma Gesù che “conosceva tutti… conosceva quello che c’è nell’uomo” (v. 25), vuole portare il suo interlocutore a guardarsi dentro, più in profondità, per capire da dove nasca in lui quest’aspirazione alla “novità” del regno di Dio e quale ne sia la reale portata, se ha già constatato che essa non potrà essere soddisfatta da nessuna riforma religiosa o rivoluzione sociale e politica, come forse si aspettavano alcuni della sua setta3.
Infatti, senza aspettare nessuna domanda dal suo interlocutore, ma suscitandola dopo (cf v. 4), il Maestro mette subito in chiaro che “i segni” o “le opere” attestano sì un’azione da parte di Dio, la sua presenza in chi li compie (“regno di Dio”),
1 E. BROGHI, op.cit., pp.62-88.
Nicodemo è probabilmente uno scriba della setta dei farisei, “notabile dei Giudei”; il suo nome potrebbe essere tradotto come “vincitore del popolo” oppure “il popolo vince”. Egli prenderà posizione in favore di Gesù (cf 7,50) e porterà una quantità esagerata, “trenta chili di una mistura di mirra e di àloe”, per seppellire il corpo di Gesù insieme a Giuseppe di Arimatèa (cf 19,39-40).
2“Viene a Gesù di notte” forse per evitare di essere visto dagli altri e di entrare in conflitto con gli altri membri del Sinedrio, oppure perché la notte è un tempo più tranquillo, sia per lui che per Gesù, e più adatto ad un colloquio personale. Ma l’annotazione può anche indicare “i dubbi che tormentavano la sua mente e il suo intimo” (M. LACONI, il racconto di Giovanni, Assisi 19932, p. 83). A MAGGI lo definisce “l’uomo della notte” e in La follia di Dio, Assisi 20184, pp. 41-46, evidenzia gli altri passi in cui Giovanni identifica la notte come indicazione “teologica” (9,4; 11,10; 13,30; 21,3).
3 B. MAGGIONI, op. cit., pp. 1599-1607; 1708-1712.
ma questa non è detto che sia riconosciuta tale, come dimostrerà chiaramente la reazione dei Giudei nei confronti di Gesù proprio durante la Festa della Dedicazione del Tempio (cf 10,25-26.31- 39).
Per questo il Maestro afferma solennemente che si tratta di “vedere/sperimentare” in termini di una percezione globale, che richiede una rottura con le precedenti esperienze esistenziali e che conferisce una nuova capacità umana di rapporto con Dio oltre che con se stessi, un’inedita qualità di vita ma che va profondamente desiderata e cercata.
“Tutti gli aspetti particolari che emergono in questo brano (…) investono chiaramente il complesso dei significati dell’esistenza umana e varie difficoltà, possibilità ed enigmi che la concernono. Il testo pone questioni fondamentali sul senso dell’esistere umano e sulle opzioni che lo conducono a quello che viene considerato come il suo compimento definito e la sua definitiva distruzione”4.
Mentre l’essere umano ne avverte impossibilità reale in base alla sua limitata progettualità (cf v. 4), Dio la manifesta, la fa conoscere nel Figlio sua Parola incarnata, e la fa vedere nel modo suo di esistere umano che, se ascoltata/accolta, ne rende partecipi (cf 1,1.14.26-38).
È difficile per chi si sente “vecchio” aprirsi alla novità e credere che sia possibile il rinnovarsi del gesto creativo di Dio (cf v. 4), ma Gesù non si arrende: solo lo stesso Spirito di Dio può farlo.
“Nicodemo, maestro di verità, viene invitato a “fare la verità” (cf v. 21); credeva di trovarsi di fronte ad un rabbi e in contra la luce del mondo (cf vv. 2.19), che Dio fosse con lui e scopre che è Lui (cf v. 2.21)”. Attendeva il giudizio messianico e invece è l’accettazione o il rifiuto del Figlio di Dio a giudicare o salvare (cf v. 18), non è né una regolazione di conti, né un
4E. BROGHI, op. cit., pp. 80-81.
mettere in ordine le cose nel mondo, ma l’effetto della nostra personale adesione all’agire di Dio in Gesù.
Giovanni 3,5
“Rigenerati da acqua e da Spirito”.
L’espressione “da acqua”, richiama chiaramente il battesimo, e se anche fosse un’aggiunta successiva al testo primitivo, essa è da intendersi come “rigenerazione nel battesimo alla vita nuova che è opera dello Spirito”5.
Come il dono di “essere vivente” è stato fatto ad Adàm dall’Alito di Dio stesso (cf Gn 2,7), così quello della rinascita viene dallo Spirito, Soffio della vita definitiva.
Paradossalmente essa verrà “consegnato” dal corpo di Gesù morente (cf 19,30b), innalzato sulla croce (cf 3,14b) e dal suo fianco trafitto dalla lancia da cui sgorgano “sangue e acqua” (cf 19,34).
Questa rigenerazione è sorprendente: ricrea e fà “nascere dall’alto”, da Dio. Lo Spirito ora, attraverso il Figlio/Parola, può portare a compimento quello che nella creazione era stato iniziato: ci genera come figli del Padre (1Gv 2,29; 3,1-2; 4,7-10).
Giovanni 3,5.8
“Non ti meravigliare…
lo Spirito soffia dove vuole”.
Nicodemo, in quanto “maestro d’Israele”, dovrebbe sapere che secondo i profeti l’era messianica avrebbe conosciuto un’innovatrice effusione dello Spirito (cf Is 44,3; 59,21; Zc 13,1; Gl 3,1; Ez 11,19s.; 36,26s.), ma gli occorre una nuova apertura
5I. DE LA POTTERIE, La vie selon l’esprit, Paris 1965, pp. 31-63.
mentale e interiore, effetto proprio della rinascita di cui il Rabbi gli sta parlando.
Ecco la difficoltà: accogliere l’attestazione che Gesù gli sta offrendo. Il v. 11 allude alla testimonianza apostolica (cf 1Gv 1,1- 4) ma in fondo anche a quella di Gesù stesso che non è stata accolta (cf 5,31-46). Eppure è quella di chi agisce facendo “le
opere” del Padre; “chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita incorruttibile e non va incontro al giudizio” (5,19-24) come anche concluderà qui il suo dialogo con Nicodemo (cf vv. 17-20).
“Le parole che vi ho detto sono Spirito e Vita” (6,63; quasi riprendendo al v. 62 il 3,13) riconferma che l’efficacia vitale della Parola - Vita - Carne è affidata allo Spirito (cf 3,5-8).
Proprio perché è Parola “fatta carne” Egli può dare a noi, fatti di carne, la Vita incorruttibile: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo [fatto uomo] non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (…) Colui che mangia me vivrà per [attraverso] me” (6,53…57)6.
Giovanni 3,16
“Dio infatti tanto amò il mondo”.
La possibilità reale, di quanto è invece umanamente inattuabile, viene dall’amore di Dio per il mondo: “da donare il suo Figlio unigenito” (cf 3,16; 4,9s.; 16,19).
L’amore gratuito di Dio (“grazia” cf 1,17) supera e sostituisce
6La professione di fede da parte di Pietro davanti a Gesù, che aveva provocato i Dodici, è analoga a quella di Marta (cf 11,27): “Tu hai parole di Vita senza fine e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu Sei” (6,68-69). Tutta questa teologia giovannea è così sintetizzata nell’auto proclamazione di Gesù: «Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive [in me] e crede in me non morirà mai» (11,25-26). Non vedere / sperimentare la morte, mai più, è nel senso non di non morire fisicamente, ma di non subirne il potere distruttivo, di non esserne condizionati come fonte di paura e di angoscia paralizzate, come motivo di sfiducia e di nichilismo nell’affrontare il dono dell’esistenza umana. gli effetti dell’osservanza etica della Legge, fino a quel momento portatrice di vita e dona la possibilità di “fare la Verità” che conduce alla luce (cf 3,21; 1,17), Vita stessa degli esseri umani (cf 1,4) e che ora raggiunge chi a Lui si affida (“crede” cf 3,15) permettendogli di “essere se stessi”, come ha manifestato il Figlio innalzato (vv. 14-15; vedi anche 8,28; 12,32)7.
L’amore fà sì che la vita donata, e non “strappata via” (cf 10,18), da Gesù in poi, generi “persone nuove” e sempre nuove possibilità di vita8.
Questa “novità” si manifesta proprio in una nuova capacità d’amare; a questo Giovanni dedicherà un’intera lettera in particolare i capp. 3,1- 5,4.
Uomini e donne interiormente rigenerati potranno dar vita a nuove relazioni (“nuova giustizia” evangelica cf Mt 5,20- 7,28), ad un mondo nuovo, alla “civiltà dell’amore” di cui vi fa parte chi ama e non chi pretende un’appartenenza etnica o religiosa. Una società senza frontiere e condizionamenti dal passato, aperta al presente e protesa verso il futuro.
Non è questo che celebreremo nella Pentecoste?!
Giovanni 3,17
“Non per giudicare, ma per salvare”.
“Chi ascolta la mia parola, e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (cf 5,24) dirà Gesù a quei Giudei di cui Nicodemo era “notabile”, denunciando quello che stava capitando proprio a loro: “Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere la
7S. FAUSTI, Una comunità legge, p.71.
8S. PALUMBIERI, Amo dunque sono. Milano 1999, p. 249.
vita” (5,39-40).
Perché invece Nicodemo era andato da Gesù quella notte? “Scrutare le Scritture” non equivale ad “ascoltarle e metterle in pratica” e lui che è uno scriba dovrebbe saperlo! L’atteggiamento interiore che infatti egli dimostra è quello di chi si accosta a Gesù, “viene a Lui”, perché “attratti dal Padre” (cf 6,44), altrimenti non solo si è incapaci di “avere la vita”, ma si cercherà di sopprimerla (cf 1,5ss.), di “strapparla” a Gesù stesso che è la Vita donata liberamente (cf 10,18)9.
Giovanni 3,21
“Chi opera la Verità viene verso la Luce”.
È proprio la vita nuova operata dallo Spirito a permetterci di “esistere nella verità di noi stessi” come dono di “agire in conformità alla Verità stessa, cioè a Cristo, in un atteggiamento che impegna tutto l’essere”10.
“Si tratta di un percorso costituito da una serie di opere, individuali ed interpersonali, che abbiano come denominatore comune la fede nella Luce… nell’orizzonte che gli apre l’amore di Dio perché è Lui il modello dei figli che nascono per mezzo suo”.
Così la vita cristiana diventa un cammino nella luce del Risorto che la vita l’ha donata e che nell’amore l’ha riavuta. Lui fà sì che solo l’Amore possa essere l’unica Verità e motivo di Vita, e che essa sia così bella da sperare che debba essere almeno senza fine, cioè “eterna”!
9 Questo era già capitato ad Erode e ai suoi cortigiani nei confronti dell’indicazione da dare ai Magi (cf Mt 2,1-12). La pretesa messianica da parte di Gesù di poter fare dono della vita incorruttibile, esclusiva assoluta Dio, è motivo di rifiuto e di violenta opposizione a lui (cf 8,51-52a), dopo averlo già prima insultato definendolo “un samaritano [= eretico/scomunicato] e un indemoniato” (8,48; cf 7,20; 10,20; accusa riportata anche dai Sinottici: Mc 3,22-29; Mt 12,24-32; Lc 11,15.23; 12,10), un pazzo fuori di sé (cf Mc 3,21) anche in questo caso è già decretata la sua condanna a morte (cf v. 6), ma Egli sarà l’unico a morire andando incontro alla vita, loro no! (cf 8,24).
10 I. DE LA POTTERIE, La Verità in S. Giovanni, Paideia 1964, pp. 123-144. Vedi anche, Gesù Verità, Torino 1973.
“Solo persone disposte ad amare fino alla morte possono costruire la vera società umana:
sono individui liberi, che rompono con un passato per cominciare di nuovo,
non più rinchiusi in una tradizione, nazionalità o cultura. La loro vita sarà la pratica dell’amore, il dono di se stessi, con l’universalità cui Dio ama l’umanità intera” 11.
11 E. BROGHI, op. cit., p. 81 e le citazioni 97-100.
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