“LE PAROLE… LA PAROLA”
21 marzo 2021 - V domenica quaresima B
Giovanni 12,20-33: “Come il seme, muore e porta frutto”
Geremia 31,31-34 / Salmo 50 / Ebrei 5,7-9
Siamo arrivati alla conclusione del nostro itinerario quaresimale (anno B) che, attraverso brani del racconto evangelico di MARCO (I-II) e di GIOVANNI (III-V), ci ha proposto di seguire Gesù nel suo percorso di Figlio, Inviato del Padre a compiere il suo piano di salvezza nei confronti dell’intera umanità, sigillando nella sua morte e risurrezione l’alleanza nuova e definitiva, che ci unisce a Lui e tra noi.
Ci viene così offerta la possibilità di vivere in Lui, più consapevolmente e attivamente, come figlie e figli, sorelle e fratelli, la “vita nuova” scaturita dal battesimo.
Le tre ultime tappe:
III domenica - Giovanni 2,13-25:
Gesù è il Figlio che con la sua morte e risurrezione diventa “nuovo tempio”, “luogo” dell’incontro con il Padre. Nella sua risurrezione lo diventa anche la comunità dei credenti. IV domenica - Giovanni 3,14-21:
Gesù è il Figlio “consegnato” dal Padre che “ha così tanto amato il mondo”: nel suo innalzamento in croce tutti trovano la Vita vera che illumina la loro esistenza.
V domenica - Giovanni 12,20-33:
Gesù è il Figlio “glorificato” dal Padre e tutti potranno riconoscerlo, “attratti” da una nuova esperienza di vita: il seme che muore nella terra per dare frutto. È la risurrezione!
Dal principio il Figlio è Colui che comunica la Vita del Padre che è amore gratuito per il mondo ed essa è Luce per tutti coloro che lo accolgono e sono così da Lui generati figli e figlie del Padre. Questa è la Verità che illumina l’esistenza di ogni essere umano e
che gli permette di conoscere Dio perché lo può contemplare nel Figlio che si è fatto uomo (è una rilettura del prologo al racconto evangelico di Giovanni 1,1-18).
Gesù è questo Figlio amato in cui il Padre si compiace e che noi siamo stati invitati a seguire, come discepoli: Egli è il nuovo Tempio nel quale possiamo incontrarlo e diventarne parte anche noi; è stato consegnato per amore del mondo e quindi diventa nostro fratello; è colui che può darci la Vita incorruttibile proprio morendo da essere umano: innalzato sulla croce attira tutti a sé.
Come ultima tappa del nostro percorso la Liturgia ci propone un brano che fa parte degli eventi accaduti nell’ultima Pasqua trascorsa da Gesù a Gerusalemme: Giovanni 11,55- 12,50. Anche noi che ne ascoltiamo la proclamazione siamo ormai prossimi alla solenne celebrazione annuale della Pasqua, questa coincidenza non è priva di significato, sia nella scelta della pericope sia per il suo contenuto che ci porta al centro del mistero pasquale cristiano.
La cena a Betania in casa di Marta, Lazzaro e Maria introduce il racconto creando un’ambientazione di grande intensità affettiva ed emotiva (12,1-9) che mitiga un po’ l’inasprirsi dell’atteggiamento duro e definitivo da parte delle autorità giudaiche nei confronti di Gesù, decise anche ad eliminare lo stesso Lazzaro (cf 11,45-54; 12,10-11.19.37-43).
Tra la narrazione dell’ingresso trionfale in Gerusalemme (12,12-19) e il complessivo bilancio fallimentare del ministero messianico (vv. 37-43), il redattore evangelico colloca la manifestazione del Figlio innalzato alla gloria ad alcuni pellegrini di origine greca che vogliono conoscere Gesù (Gv 12,20-25) e un dialogo con il Padre che a voce promette di glorificarlo (vv. 27-30). Segue una “riflessione” della comunità giovannea che parla attraverso la folla e una risposta di Gesù sulla dialettica luce-buio, tipica di Giovanni, che riguarda la vita dei credenti figli della Luce (vv. 31-36; cf anche 1,5; 8,12; 12,46 e 9,4).
È giunta l’ora1.
“La parabola di questa domenica sembra condurci alle profondità ultime del dinamismo che fin dall’inizio abbiamo riconosciuto animarlo: l’abbandono filiale alla vittoria dell’amore su ogni forza di morte.
Usando una parabola, quando parla delle realtà che più gli stanno a cuore e inesprimibili2, Gesù annuncia il suo morire come senso di tutta la sua esistenza di uomo e di Figlio. In Lui, da condanna inesorabile diventa dono della Vita, segno di Amore, condizione di fecondità.
Nell’angoscia del suo svuotamento di sé, con forti grida e lacrime (Ebrei 5,7-9 – II lettura odierna) nulla è tolto della pienezza di un tale abbandono: essa diventa splendore della presenza divina, poiché esprime l’Amore al Padre ed a noi.
Come il seme esplode nella terra e riceve, per dinamismi nascosti alle misurazioni umane, la vita, così per Lui e per noi la nuova legge della vita nello Spirito è forse già scritta nel fondo dell’esistere umano (Geremia 31,31-34 – I lettura), in ogni desiderio, cieco e inesplorato”, in attesa di essere liberato e compiuto da Chi può dargli questa possibilità: l’Amore fatto carne.
Nel cammino di conversione alla vittoria dell’amore, anche perduto in bui abissi di oscurità e tenebre, è liberato da ogni contraffazione e alienazione frustrante, “l’esistenza filiale di Gesù ci rivela che questa oscurità è grembo di vita nuova, sono le mani del Padre che risuscitano”.
Tutti attirerò a me.
Ecco il polo di attrazione verso cui orientarci per giungere alla Luce di cui fidarci, per diventarne “figlie/figli” e in cui camminare. “L’essere umano ritrova cosa significhi e come sia possibile l’amore; il suo desiderio riceve così certezza di adempimento al di là di tutti i limiti e gli ostacoli, ultimo la morte”.
Roberto
1L’ora della “glorificazione” è il momento culminante e riassuntivo dell’evento passione-morte sepoltura-risurrezione-ascensione al Padre, spesso richiamato nel corso del racconto evangelico (2,9; 7,6.8.30; 8,20) che finalmente è adesso e assume diversi significati tra loro complementari (12,23; 13,31; 17,1) come il momento in cui Dio “gioca il tutto per tutto”: la vita del suo Figlio per la nostra! In esso risulta anche chiaro il senso della presenza del Nazareno nel mondo: essere l’interprete unico e decisivo di Dio che intende salvare l’umanità (cf E. BORGHI, Il cammino dell’amore, p. 167).
2La parabola del seme è comune agli altri vangeli (Marco 4,1-9. 28-29. 20-32 e i paralleli) ma qui il seme è Gesù stesso! Il processo vitale del seme è utilizzato da Giovanni per esprimere la sua morte e sepoltura e il frutto di tale donazione della sua vita di Figlio: la risurrezione. Lo stesso itinerario è proposto al discepolo, al credente in Lui, quindi anche a noi. “La parabola della vita di Gesù potrebbe essere letta come l’affermarsi e il compiersi progressivo del suo desiderio al presso della morte (B. MAGGIONI, Dio nessuno lo ha mai visto, p. 38).
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