“LE PAROLE… LA PAROLA”
17 gennaio2021 (Incontro con i primi discepoli)
Giovanni 1,35-42 / 1Samulele 3,3b-10.19/ 1Corinzi 6,13…20
Discepoli
“Se rimanete nella mia parola, siete davvero i miei discepoli. E coloro che rimangono nella parola di Gesù hanno la propria identità cristiana. E qual è?
Siete davvero miei discepoli.
E sarà il discepolato che ci darà la libertà.
E rimane nel Signore, cosa significa?
Lasciarsi guidare dallo Spirito santo.
Il discepolo si lascia guidare dallo Spirito,
per questo il discepolo è una persona libera.
Questa è la strada che Gesù ci fa vedere
per la libertà e anche per la vita”.
FRANCESCO, 1 aprile 2020
La nostra immersione nell'esistenza umana e nel mondo avviene in modo del tutto inconsapevole, dopo essere stati per nove mesi immersi nel liquido amniotico del ventre di nostra madre. Il nostro “venire al mondo, alla luce” permette agli altri per primi di vederci e di riconoscerci. Un’esperienza che per noi avverrà progressivamente e non senza qualche problematica.
La psicologia personalistica e relazione ci dice che è lo sguardo dell’altro a trasmetterci la consapevolezza di noi stessi, la conoscenza è frutto di un processo interpersonale.
Scoprire se stessi è riconoscersi chiamati da Qualcuno (1Samuele 3,3…19 – I lettura).
Immergendosi nel fiume Giordano e riemergendo, il Nazareno aveva sentito la voce che lo riconosceva: “Tu sei il mio figlio, l’amato” (Marco 1,17) e così anch’Egli si sarebbe sempre riconosciuto e presentato.
Nel racconto evangelico di Giovanni, che ascoltiamo nella proclamazione liturgica odierna, il Battezzatore ci dà di quell'evento la sua testimonianza: “Io non lo conoscevo… ho visto lo Spirito su di Lui; io non lo conoscevo, ho visto e ho reso testimonianza” (Giovanni 1,31…34).
Ora il suo sguardo è più attento del giorno prima, interiormente illuminato dall'esperienza fatta (cf 29-31), “si fissa su di Lui che passava”, e ora è in grado non solo di riconoscerlo ma anche di presentarlo ai suoi discepoli: “Ecco l’agnello di Dio” (vv. 35-36). È una testimonianza convincente, che suscita curiosità in Andrea e in Giovanni stesso: decidono di seguire Gesù.
Chi sia il Battista, abbiamo avuto la possibilità di saperlo dai racconti evangelici nelle domeniche del tempo di Avvento, soprattutto il 13 dicembre u.s., il racconto evangelico di Giovanni ce lo presenta come “testimone della luce; voce di Colui che è la Parola; l’amico dello Sposo… che deve via via diminuire ed Egli crescere” (cf 1,8.23; 3,29-31) ed ora lascia campo libero all'incontro diretto dei suoi discepoli con Lui!
L’appuntamento atteso da tutti i tempi per tutta l’umanità, di cui i due amanti del Cantico sono un simbolo, avviene sulle rive del Giordano: lo Sposo e la Sposa, l’Agnello che portare via, su di sé, il peccato dell’umanità finalmente amata.
La Parola, fino ad allora taciuta, adesso parla: “Che cercate?” (1,38).
Ecco finalmente la domanda giusta, sulle labbra chi sa leggere dentro, in profondità e dà voce a tutti gli interrogativi inespressi di ogni essere umano, sopiti nell’oblio della storia.
E la risposta dei discepoli tradisce il “desiderio di casa, di appartenenza, di amicizia, di intimità… di permanenza” che Gesù coglierà e farà suo per sempre in quel rimanere e dimorare che diventeranno la declinazione del rapporto tra Lui ed ogni suo discepolo (vedi il cap. 15 di Giovanni).
C’è finalmente un luogo dove la Parola ha casa, o meglio dovunque sarà Lui tra noi, per tutti sarà casa!
L’unità con Lui costituisce i credenti in quella esistenza nuova, insieme di spogliazione e di libertà, che stabilisce anche un nuovo ordine di rapporti interpersonali tra loro e con tutti (1Corinzi 6,13…20 – II lettura).
La bellezza di questo incontro è l’essere riconosciuti mentre nemmeno noi sappiamo bene all'inizio da chi, eppure Egli viene verso di noi, proprio incontro a noi (cf Gv 1,29) e fin dove nemmeno riusciamo ad immaginare, neppure in sogno (1Samuele), e nella totalità della nostra umanità (il corpo in Paolo).
“Abbiamo trovato Colui che ci è stato Inviato” (v. 41), per il quale le nostre ricerche tortuose, a tastoni, finalmente diventano chiare, semplici, rese tali da Chi dona la sua vita per noi, per tutti.
Nel dono reciproco poi si realizza tutto: “il passa parola”, “il cuore a cuore”, “il vieni e vedi”.
Semplice e immediato, senza più intermediazioni, preamboli e anticamere.
Avviene in un incontro personale che “cambia la propria identità” (Simone, ti chiamerai Kefà = Pietra/o) e dona una stabilità sempre cercata e mai del tutto raggiunta.
È questo però solo l’inizio di un percorso, di un’avventura d’amore che si concluderà con un rinnovato e accorato “Seguimi” (cf 21,19) rivolto a Simon Pietro dopo la sua appassionata attestazione d’affetto verso il Signore.
Roberto
È vero, sono nata a me stessa, consapevole della mia esistenza, proprio nel momento in cui mi sono sentita chiamata da Lui. Lo ricordo ancora, ottobre del 1982. Ho sentito che mi ha chiamato per nome, mi ha amata, o meglio ho finalmente riconosciuto il Suo amore. Era lì che mi aspettava. Mi sono cadute le bistecche dagli occhi. Mi sono trovata amata, viva. La conseguenza è stata seguirlo con quel desiderio di amare che sarebbe stato capace di affrontare il mondo intero. Oggi, seppur con meno slancio non dimentico il suo invito di seguirlo. E la risposta è sempre sì.
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