“LE PAROLE… LA PAROLA”
13 dicembre 2020 (Domenica II Avvento/B)
Isaia 61,1-2.10-11 / Luca 1,46…54 / 1Tessalonicesi 5,16-24
Giovanni 1,6-8.19-28Gioia
“Quante volte, noi ci lasciamo sovrastare dalle difficoltà e assorbire dalle paure!
Maria no,
perché mette Dio come prima grandezza della vita.
Da qui scaturisce il Magnificat, da qui nasce la gioia:
non dall’assenza di problemi, che prima o poi arrivano, ma dalla presenza di Dio che ci aiuta ed è vicino a noi.
Perché Dio guarda soprattutto ai piccoli”.
FRANCESCO, 15 agosto 2020
La continua e costante conversione alla Presenza di Colui che viene ci coinvolge così personalmente e profondamente da operare in noi un radicale cambiamento.
Si tratta di quelle svolte nella vita che ci sembrano impossibili e magari sono le più desiderate, al punto tale che, quando avvengono, ci sembrano incredibili o fuori dalla nostra portata.
Per questo Isaia si presenta con un grido di gioia, consapevole di ciò che avvenuto in lui e che gli permette “una vita tutta al positivo”, per sé e per coloro a cui si sente mandato addirittura dal Signore.
Anzi, egli stesso sembra non rendersene conto finché non va incontro a chi di positivo nella vita non ha proprio nulla: “a portare una bella notizia ai miseri, a fasciare le piaghe di chi ha il cuore spezzato, a proclamare la libertà ai prigionieri” (Is 61,1-2 – I lettura).
È questa anche l’esperienza che l’apostolo Paolo propone ai cristiani di Tessalonica: persone “rivestite di gioia” perché capaci di non disprezzare nulla di quanto l’esistenza dispone, ma di accoglierlo con gratitudine, come “dono” del “Dio della pace”.
Persone interamente rinnovate dal fuoco dello Spirito e che sanno “andare incontro” al Signore che viene loro incontro (1Ts 5,16…24 – II lettura).
Non è questo che ha fatto Giovanni il Battezzatore? Ma chi è costui?
Facilitare l’incontro con noi e Colui che va continuamente “riconosciuto” come “la luce”, stando nell’ombra; come sposo amato rimanendone sempre “l’amico” (Giovanni 1,8.26).
Anche Isaia si sentiva come uno sposo e una sposa il giorno delle nozze; come un giardino reso fecondo dalla presenza del Signore.
Sono immagini vitali che ci danno il senso della pienezza, difficile da spiegare a chi, stupito, ce ne chiede conto (cf Gv 1,19.22), la cui verità sta solo nell’esperienza.
La costatazione di “non essersi fatto da solo” e l’imbarazzo di dichiarare “chi sono io”, sembrano stridere con la personalità di Giovanni, così “forte” e “imponente”: “Io non sono” (cf v. 20).
Se Dio si presenta come “Io-sono”, anche nel Figlio (Es 3,14, Gv 8,24.28), il Battezzatore si riconosce come chi non punta ad una sua realizzazione personale, ma solo a “dare testimonianza”.
“Ciò che Giovanni sa è che la sua esistenza non si autorealizza secondo un asse cercato, come di norma, nel ventaglio delle piacevolezze dell’età evolutiva e nelle sollecitazioni caratteristiche di origine parentale: la sua vita è libera entro un disegno che le dà il vigore di un canto tenerissimo e fortemente virile.
Cosa dice a noi?
A noi come singoli, così drammaticamente interpellati dalla singolarità della nostra condizione, tra incomunicabilità e moltitudine, anonimato e indifferenza, inconsistenza e pressura?
Cosa dice se non riscoperta di un’identità severa, di un destino non mediocre, di un compito più costoso e felice?
Quanto sei disposto a pagare per perderti e ritrovarti al di là di tutte le tue illusioni?”.
(CESARE MASSA, I giorni ardenti. 2002, pp. 46 e 53).
Se non ci convincesse la testimonianza di Giovanni, possiamo accogliere la tenerezza di Maria, la ragazza di Nazaret che, “esultante di gioia piena” si è sentita “guardata nella sua bassezza”, consapevole che “Dio ha fatto in lei grandi cose”, proprio nel suo “non essere” per sé ma solo e tutta per gli altri: “gli oppressi, gli affamati, i poveri…” (Luca 1, 46-49.53-53 – Salmo di oggi).
Roberto
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