“LE PAROLE… LA PAROLA”
8 novembre 2020 (Domenica XXXII TO/A)
Sapienza 6,12-16 / Salmo 62 / 1Tessalonicesi 4,13-18 /
Matteo 25,1-13
VEGLIARE
“Vegliare non significa avere materialmente gli occhi aperti,
ma avere il cuore libero e rivolto nella direzione giusta,
cioè disposto al dono e al servizio.
Il sonno da cui dobbiamo svegliarci è costituito dall’indifferenza, dalla vanità, dall’incapacità di instaurare rapporti genuinamente umani, di farsi carico del fratello solo, abbandonato o malato.
L’attesa di Gesù che viene si deve tradurre, dunque,
in un impegno di vigilanza.
Si tratta anzitutto di meravigliarsi davanti all’azione di Dio,
alle sue sorprese, e di dare a Lui il primato.
Vigilanza significa anche, concretamente,
essere attenti al nostro prossimo in difficoltà,
lasciarsi interpellare dalle sue necessità,
senza aspettare che lui o lei ci chiedano aiuto,
ma imparare a prevenire, ad anticipare,
come fa sempre Dio con noi”.
FRANCESCO, 1 dicembre 2019
“La quiete… prima della tempesta”.
Potremmo identificare così questa parte del racconto evangelico di Matteo che si apre con la nota parabola delle “10 damigelle” (25,1-13).
Il capitolo 23 ha costituito il culmine dello scontro tra i maestri della Legge mosaica e i farisei, addirittura Gesù li indica alla folla e ai suoi discepoli come “ipocriti, guide cieche, ignoranti, tombe imbiancate, serpenti e razza di vipere” promettendo loro “i castighi dell’inferno”. A Gerusalemme stessa, come città santa ma anche come intero popolo di Israele, rinfaccia di aver escluso i suoi figli, che più stanno a cuore a Dio stesso., che tenta di radunarli “come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali.
Uscito quindi dal Tempo, e andandosene via, Gesù profetizza così l’abbandono da parte di Dio stesso della sua casa e la sua distruzione che avverrà in seguito, nell'anno 70 d. C da parte delle truppe romane capeggiate da Tito (24,1-2; 23,38)
Matteo riporta lo sconcerto e gli interrogativi dei discepoli dinnanzi a questo futuro funesto, che la comunità dei suoi lettori però aveva già vissuto in modo anche traumatico come “la fine” delle promesse ad Israele e di quel “cosmo” (cf 24,3-29) e l’inizio di “un nuovo giorno”, quello della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, dell’Inviato di Dio come uomo tra gli esseri umani finalmente radunati tutti insieme (vv. 30-31).
I segni di questo “ritorno” saranno nella natura stessa e nel compimento della sua Parola (cf vv. 3b.32-35) eppure sarà sempre una sorpresa, attesa ma inaspettata, quindi stare “pronti”! (v. 44).
Come al solito Gesù utilizza delle parabole, che stavolta non riguardano “il funzionamento” del “regno di Dio” che Egli ha inaugurato, ma “il suo fine, il suo compimento”, di “come sarà” (25,1) nella sua perenne novità evangelica: il suo continuo approssimarsi e la richiesta di cambiare atteggiamento nei suoi riguardi (cf 4,17).
Ecco tre parabole: “il servo fedele e saggio” (24,45-51); “le dieci damigelle” (25,1-13); “la consegna delle monete d’oro” (24,14-31).
Nella liturgia della Parola di questa domenica ascoltiamo la proclamazione della seconda: “C’erano dieci ragazze che avevano le loro lampade a olio ed erano andate incontro allo sposo”, facevano parte del corteo nuziale che lo doveva accompagnare alla casa della sposa dove si saremmo svolte le nozze, di notte (25,1).
Subito l’evangelista le distingue in “sprovvedute e sagge” perché le prime non portano una riserva di olio con sé per ogni evenienza, a differenza delle altre cinque (cf vv. 2-5). Infatti lo sposo tarda ad arrivare, tutte si addormentano, e quando all'improvviso si alza il grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro! Quelle che erano pronte entrarono nella sala del banchetto, mentre le altre che erano lontane nel tentativo di andare a comprare olio perché le loro lampade si stavano spegnendo, rimasero fuori della porta e non furono né riconosciute né ammesse alla festa nuziale” (cf vv. 6-12).
L’invito di Gesù ai discepoli, dell’evangelista alla sua comunità e a noi è “State svegli, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (v. 13).
“La notizia dell’avvento gioioso, atteso da secoli, è già diffusa, è stata accolta. Il suo compimento è imminente, la Chiesa attende il ritorno del Signore Gesù, e con Lui il compimento di tutta la propria storia.
Ma c’è il pericolo di addormentarsi, cioè di perdere il senso ultimo dell’esistenza umana e della vita che pure si è scelta: l’apertura della fede, l’attesa nella notte, la pazienza pur nell'assenza.
Soprattutto di non avere, al tempo opportuno, quell'apertura di fondo capace di recuperare il senso, di ritrovare il significato di un’attesa per lo più inconsapevole, ed aprirsi alla novità”.
“La Sapienza di Dio, si lascia vedere da quelli che la amano, si lascia trovare da quelli che la cercano, previene coloro che la desiderano… va in cerca a chi veglia a causa sua, va loro incontro sulle strade” (Sapienza 6,12-16 – I lettura).
Siamo coinvolti e travolti dagli eventi di questo momento storico, sociale e sanitario, anche noi ci interroghiamo “quando sarà la fine”, “quale il fine”, di tutto questo.
La Parola non ci lascia nell'ignoranza, ma nemmeno ci dà certezze tranquillizzanti, l’esortazione apostolica ci conferma e ci conforta: “andiamo incontro al Signore… saremo per sempre con Lui” (Paolo ai Tessalonicesi 4,13-18 – II lettura).
“Ogni volta che Dio interviene nella vita della sua Chiesa, le chiede proprio questa disponibilità vigilante pur nella sua povertà.
Non è forse l’amore quotidiano questo olio, questa disposizione che, senza appariscenza, al momento decisivo può renderci, singoli e comunità, capaci di essere all'altezza dell’Avvenimento più sconvolgente, di stare al passo della imprevedibile ma continua novità dell’evangelo di Gesù?!”.
Roberto
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