venerdì 6 novembre 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 8 novembre 2020

 LE PAROLE… LA PAROLA” 

8 novembre 2020 (Domenica XXXII TO/A) 

Sapienza 6,12-16 / Salmo 62 / 1Tessalonicesi 4,13-18 /


Matteo
25,1-13 

VEGLIARE 

Vegliare non significa avere materialmente gli occhi aperti,  

ma avere il cuore libero e rivolto nella direzione giusta,  

cioè disposto al dono e al servizio.  

Il sonno da cui dobbiamo svegliarci è costituito dall’indifferenza, dalla vanità, dall’incapacità di instaurare rapporti genuinamente umani,  di farsi carico del fratello solo, abbandonato o malato. 

L’attesa di Gesù che viene si deve tradurre, dunque,  

in un impegno di vigilanza.  

Si tratta anzitutto di meravigliarsi davanti all’azione di Dio,  

alle sue sorprese, e di dare a Lui il primato. 

Vigilanza significa anche, concretamente,  

essere attenti al nostro prossimo in difficoltà, 

lasciarsi interpellare dalle sue necessità, 

senza aspettare che lui o lei ci chiedano aiuto,  

ma imparare a prevenire, ad anticipare,  

come fa sempre Dio con noi”. 

FRANCESCO, 1 dicembre 2019 

“La quiete… prima della tempesta”. 

Potremmo identificare così questa parte del racconto  evangelico di Matteo che si apre con la nota parabola delle “10  damigelle” (25,1-13). 

Il capitolo 23 ha costituito il culmine dello scontro tra i maestri  della Legge mosaica e i farisei, addirittura Gesù li indica alla folla e  ai suoi discepoli come “ipocriti, guide cieche, ignoranti, tombe  imbiancate, serpenti e razza di vipere” promettendo loro “i castighi  dell’inferno”. A Gerusalemme stessa, come città santa ma anche  come intero popolo di Israele, rinfaccia di aver escluso i suoi figli,  che più stanno a cuore a Dio stesso., che tenta di radunarli “come  una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali

Uscito quindi dal Tempo, e andandosene via, Gesù profetizza  così l’abbandono da parte di Dio stesso della sua casa e la sua distruzione che avverrà in seguito, nell'anno 70 d. C da parte delle  truppe romane capeggiate da Tito (24,1-2; 23,38) 

Matteo riporta lo sconcerto e gli interrogativi dei discepoli  dinnanzi a questo futuro funesto, che la comunità dei suoi lettori  però aveva già vissuto in modo anche traumatico come “la fine” delle promesse ad Israele e di quel “cosmo” (cf 24,3-29) e l’inizio  di “un nuovo giorno”, quello della venuta gloriosa del Figlio  dell’uomo, dell’Inviato di Dio come uomo tra gli esseri umani  finalmente radunati tutti insieme (vv. 30-31). 

I segni di questo “ritorno” saranno nella natura stessa e nel  compimento della sua Parola (cf vv. 3b.32-35) eppure sarà sempre  una sorpresa, attesa ma inaspettata, quindi stare “pronti”! (v. 44). 

Come al solito Gesù utilizza delle parabole, che stavolta non  riguardano “il funzionamento” del “regno di Dio” che Egli ha  inaugurato, ma “il suo fine, il suo compimento”, di “come sarà” (25,1) nella sua perenne novità evangelica: il suo continuo  approssimarsi e la richiesta di cambiare atteggiamento nei suoi  riguardi (cf 4,17). 

Ecco tre parabole: “il servo fedele e saggio” (24,45-51); “le  dieci damigelle” (25,1-13); “la consegna delle monete d’oro” (24,14-31). 

Nella liturgia della Parola di questa domenica ascoltiamo la  proclamazione della seconda: “C’erano dieci ragazze che avevano  le loro lampade a olio ed erano andate incontro allo sposo”,  facevano parte del corteo nuziale che lo doveva accompagnare alla  casa della sposa dove si saremmo svolte le nozze, di notte (25,1). 

Subito l’evangelista le distingue in “sprovvedute e sagge” perché le prime non portano una riserva di olio con sé per ogni  evenienza, a differenza delle altre cinque (cf vv. 2-5). Infatti lo  sposo tarda ad arrivare, tutte si addormentano, e quando  all'improvviso si alza il grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro! Quelle che erano pronte entrarono nella sala del banchetto,  mentre le altre che erano lontane nel tentativo di andare a comprare olio perché le loro lampade si stavano spegnendo,  rimasero fuori della porta e non furono né riconosciute né ammesse alla festa nuziale” (cf vv. 6-12). 

L’invito di Gesù ai discepoli, dell’evangelista alla sua comunità  e a noi è “State svegli, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (v. 13). 

“La notizia dell’avvento gioioso, atteso da secoli, è già  diffusa, è stata accolta. Il suo compimento è imminente, la  Chiesa attende il ritorno del Signore Gesù, e con Lui il  compimento di tutta la propria storia. 

Ma c’è il pericolo di addormentarsi, cioè di perdere il  senso ultimo dell’esistenza umana e della vita che pure si è  scelta: l’apertura della fede, l’attesa nella notte, la pazienza  pur nell'assenza. 

Soprattutto di non avere, al tempo opportuno,  quell'apertura di fondo capace di recuperare il senso, di  ritrovare il significato di un’attesa per lo più inconsapevole,  ed aprirsi alla novità”. 

La Sapienza di Dio, si lascia vedere da quelli che la amano, si  lascia trovare da quelli che la cercano, previene coloro che la  desiderano… va in cerca a chi veglia a causa sua, va loro incontro  sulle strade” (Sapienza 6,12-16 – I lettura). 

Siamo coinvolti e travolti dagli eventi di questo momento  storico, sociale e sanitario, anche noi ci interroghiamo “quando  sarà la fine”, “quale il fine”, di tutto questo. 

La Parola non ci lascia nell'ignoranza, ma nemmeno ci dà  certezze tranquillizzanti, l’esortazione apostolica ci conferma e ci  conforta: “andiamo incontro al Signore… saremo per sempre con  Lui” (Paolo ai Tessalonicesi 4,13-18 – II lettura). 

“Ogni volta che Dio interviene nella vita della sua Chiesa,  le chiede proprio questa disponibilità vigilante pur nella sua  povertà.

 

Non è forse l’amore quotidiano questo olio, questa  disposizione che, senza appariscenza, al momento decisivo  può renderci, singoli e comunità, capaci di essere all'altezza  dell’Avvenimento più sconvolgente, di stare al passo della  imprevedibile ma continua novità dell’evangelo di Gesù?!”. 

Roberto


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