“LE PAROLE… LA PAROLA”
1 novembre 2020 (Tutti i Santi e Sante)
Apocalisse 7,2-4.9-14 / Salmo 23 / 1Giovanni 3,1-3/ Matteo 5,12-12
SANTITÀ
«I santi e le sante di ogni tempo, che oggi celebriamo tutti insieme non sono esseri umani lontani, irraggiungibili. Al contrario, sono persone che hanno vissuto con i piedi per terra; hanno sperimentato la fatica quotidiana dell'esistenza con i suoi successi e i suoi fallimenti, trovando nel Signore la forza di rialzarsi sempre e proseguire il cammino. La santità è un traguardo che non si può conseguire soltanto con le proprie forze ma è il frutto della grazia di Dio e della nostra libera risposta ad essa. Quindi la santità è dono e chiamata che non possiamo comperare o barattare, ma accogliere, partecipando così alla stessa vita divina mediante lo Spirito santo che abita in noi dal giorno del nostro Battesimo. Si tratta di maturare sempre più la consapevolezza che siamo innestati in Cristo, come il tralcio è unito alla vite, e pertanto possiamo e dobbiamo vivere con Lui e in Lui da figli di Dio. Allora la santità è vivere in piena comunione con Dio, già adesso, durante il pellegrinaggio terreno».
FRANCESCO, 1 novembre 2019
Quest’anno celebriamo la “SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI E SANTE” nella XXXI Domenica del T.O/A nel quale leggiamo e ascoltiamo il racconto evangelico di Matteo, e in particolare avremmo ascoltato dal capitolo 23 i vv. 1-12.
La liturgia ci propone invece Mt 5,1-12 che già abbiamo ascoltato nella IV domenica di quest’anno (2 febbraio 2020), facendoci fare un salto al momento “iniziale” dell’annuncio messianico del Nazareno: la proclamazione della beatitudine di appartenere al Regno.
È un passaggio provvidenziale perché, dopo faticose e drammatiche controversie dei capitoli 21 e 22, nelle precedenti domeniche, possiamo ritornare, e non soltanto con la memoria, alla motivazione fondamentale delle opposizioni da parte delle autorità religiose e politiche alla predicazione messianica di Gesù. Cosa costituiscono infatti le “Beatitudini”, che Matteo pone in un’ambientazione sinaitica all’inizio del lungo “Discorso del monte” (cf 5,1- 7,29) se non il ribaltamento dell’impostazione teologica israelitica, a tal punto che “la folla stessa era meravigliata per i suoi insegnamenti che erano così diverso dai suoi maestri della Legge mosaica, poiché insegnava con piena autorità”?! (7,28-29).
Mosè per primo, autentico ermeneuta della Torah, nella versione di Deuteronomio promette ripetutamente al popolo in ascolto la “beatitudine” a condizione che tutti i precetti in essa contenuti siano “praticati e ascoltati” (cf 5,1.32; 6,24), quindi al termine di un percorso obbedienziale, spesso anche drammatico.
In Matteo, invece, essa è proclamata da subito, fin dall’inizio: il Vangelo di Gesù ci fa partire da dove gli altri arrivano! Questo è rivoluzionario anche rispetto al conseguimento della “santità” che festeggiamo oggi: sapere di essere realmente figli amati dal Padre e avere speranza in Lui anche se il mondo sembra non riconoscerci come tali, e se spesso nemmeno noi lo abbiamo chiaro (cf 1Giovanni 3,1-3 – II lettura).
Gesù ha iniziato la sua missione tra la gente della sua regione, la Galilea, annunciando che Dio è definitivamente presente in mezzo a noi [il regno di Dio] e questa è una nuova notizia, bella e buona per tutti [l’evangelo], poiché finalmente dà la possibilità di cambiare il modo di vedere la propria esistenza [la conversione] e di comportarci con Dio e con gli altri [la giustizia].
Il cambiamento più importante, e anche più difficile, è quello di non pensare e di non vivere più la religione come un dovere, ma come un’esperienza e una promessa di felicità, di ben/essere e di buon/vivere con Dio e con gli altri, già adesso e per sempre.
E proprio Gesù che realizza ogni promessa di felicità e la attua prima di tutto Lui, con il suo modo di vivere da Figlio del Padre, mandato a noi per farci lo stesso dono, e infine la vuole condividere e annunciare ai suoi primi discepoli, a noi e a tutti. Questo è anche il dono della santità che Egli fa a noi. Di commenti se ne trovano molti, e anche autorevoli, in un percorso di catechesi con i più piccoli, ma anche con i loro genitori, ho provato a “tradurre” le 8 beatitudini di Matteo. Credo che possa aiutare anche noi:
Beati coloro che si fidano solo di Dio
perché Lui è già tutto per loro.
Beati coloro che soffrono molto
perché sarà Dio a consolarli.
Beati coloro che non sono prepotenti
perché Dio donerà a loro un mondo migliore.
Beati coloro che desiderano
e cercano ciò che vuole Dio per loro
perché Lui per primo realizzerà i loro desideri.
Beati coloro che provano amore e tenerezza per gli altri perché Dio avrà a cuore la loro miseria.
Beati coloro che sono semplici e sinceri
perché Dio si farà conoscere a loro.
Beati coloro che realizzano la pace
perché Dio li considererà suoi figli.
Beati coloro che sono trattati male
per aver compiuto ciò che Dio vuole
perché Lui è già tutto per loro.
La nostra gioia più grande dovrebbe essere quella di far parte di quella “moltitudine immensa e che nessuno poteva, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua… che hanno attraversato la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole bianche nel sangue dell’Agnello” (Apocalisse 7,9.14 – I lettura).
Roberto
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