venerdì 2 ottobre 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 4 ottobre 2020


 LE PAROLE… LA PAROLA” 

4 ottobre 2020 (Domenica XXVII TO/A) 

Isaia 5,1-7 / Salmo 79 / Filippesi 4,6-9 / Matteo 21,33-43 

FRUTTIFICARE 

“La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti,  perché il Signore la vuole feconda.  

Si prende cura… non ha reazioni lamentose né allarmiste.  Trova il modo per far sì che la Parola dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti.  …venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice”. FRANCESCO, La gioia del Vangelo 24 

In questo tempo di vendemmia i brani evangelici delle ultime  tre domeniche ambientano le parabole di Gesù proprio nella vigna  dove sono chiamati a lavorare braccianti, a diverse ore del giorno  (20,1-16), due figli eredi del podere (21,28-32), e oggi in particolare  un progetto agrario messo in atto da un tale che avendo un terreno  decide di trasformarlo in vigna, con tanto di recinzione, di torre per  la sorveglianza; un’impresa che inspiegabilmente vede poi il tutto  dato in affitto a dei contadini e il suo padrone andarsene lontano  (cf 21,33). 

Anche questa parabola è rivolta ai capi dei sacerdoti e agli  anziani del popolo. 

Ora, in tutto il percorso biblico la vigna raffigura addirittura il  popolo stesso di Israele: il Signore ha scelto e fatto crescere il suo  popolo, liberandolo dalla schiavitù d’Egitto e donandoli la sua terra  (Salmo 79), come un appassionato coltivatore fa con i suoi poderi  e vitigni. È logico che faccia così non tanto per un hobby ma perché  produca uva e non acini acerbi (Isaia 5,1-2 – I lettura): Egli si  aspetta che il popolo ricambi con giustizia e rettitudine verso gli  altri il suo amore.

Padrone e vigna, Signore e popolo sono come legati da un  patto da cui dipende la sua stessa prosperità descritta con  suggestive immagini dal salmo che preghiamo oggi. 

Nello stesso tempo la sciagura nella quale piomba la vigna è  la conseguenza della rottura di questa alleanza, di questo patto  nuziale frutto dell’amore operoso per essa: “Voglio cantare per il  mio preferito il mio cantico d’amore per la sua vigna” (Isaia 5,1).  

Mentre il profeta attribuisce la devastazione a tutta la casa di  Israele, Gesù nel racconto di Matteo incolpa gli affittuari di non  voler dare al padrone il raccolto dei frutti, anzi di aver malmenato  e ucciso non solo i suoi emissari, ma addirittura il figlio per  impossessarsi della sua eredità (cf vv. 34-39). 

Se la vigna non dà buoni frutti è un conto, ma se chi dovrebbe  amministrarli li ruba allora è ancor peggio! 

A questo punto Gesù esce allo scoperto identificando con  costoro i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, e sé stesso con  il Figlio inviato del Padre, preso – cacciato fuori e ucciso, utilizzando  per Lui un’altra immagine significativa del Salmo 118,22-23, quella  della pietra angolare che tiene insieme e regge tutta la  costruzione. 

Infine la vigna è lo stesso regno di Dio che Egli ha annunziato  fin dall'inizio della sua predicazione (cf 3,2). 

Ecco ciò che ci sorprende: proprio lo scarto diventa  fondamentale (cf v. 42) perché il Signore possa realizzare il suo  progetto di salvezza per tutta l’umanità che è la vigna di cui tutti  facciamo parte, oggetto dell’infinito amore misericordioso di Dio. 

“Così è all'inizio della creazione, ma dopo aver creato l’essere  umano e il mondo per lui, sembra che Dio se ne sia  allontanato. Sentiamo ancora oggi la sua lontananza” e invece  di cercarlo insieme, tra noi, ecco grida di oppressi e  spargimento di sangue:sulla terra non si manifestano la pace,  la giustizia, la verità come “frutto dei nostri pensieri”, “dei nostri cuori e delle nostre menti in Cristo Gesù” (Paolo ai  cristiani di Filippi 4,6-9 – II lettura). 

E noi siamo ancora la vigna ingrata che non possiamo portare  buoni frutti perché non rimaniamo uniti al Figlio, “vera vite del  Padre agricoltore” (cf Vangelo di Giovanni 15,1 ss.). 

La domanda che ricorre da Isaia a Matteo: “Che cosa farò  della mia vigna?”. La prima risposta è una parola di devastazione  e di distruzione, tipico di un amante ferito, o di punizione finale,  comunque l’opposto dell’amorevole cura iniziale. 

In realtà “Cosa ha fatto il Padre inviando Gesù il Figlio?”. Da questa consapevolezza dipende la nostra capacità positiva  di fruttificare nella nostra esistenza, nella chiesa e nella società. “Tutti siamo coinvolti nella tragedia del rifiuto del Figlio: viene  gettato fuori della città per essere ucciso: nemmeno nella  nostra umanità lo vogliamo”, quella che Lui ha tanto amato e  fatta sua perché fosse fecondata dal suo sangue e ritornasse  capace di fruttificare qualcosa di amabile.  

Ora, proprio perché il Figlio ucciso è risorto, ed è tutt'uno con  la noi e la nostra terra, sappiamo che Dio è con noi, in mezzo  a noi e non ci ha abbandonati: possiamo vedere Lui in ogni  umano insultato e oppresso, il Figlio che ha vinto ogni  malvagità. 

“Guardando a Lui, troveremo il modo di reagire al male,  perché questa vigna possa dare frutto? 

Ma è riprendendo innanzitutto coscienza dell’amore di Dio che lo ritroveremo all’opera, attraverso di noi, come il Dio  della pace e della riconciliazione”. 

Roberto



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