“LE PAROLE… LA PAROLA”
4 ottobre 2020 (Domenica XXVII TO/A)
Isaia 5,1-7 / Salmo 79 / Filippesi 4,6-9 / Matteo 21,33-43
FRUTTIFICARE
“La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda.
Si prende cura… non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. …venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice”. FRANCESCO, La gioia del Vangelo 24
In questo tempo di vendemmia i brani evangelici delle ultime tre domeniche ambientano le parabole di Gesù proprio nella vigna dove sono chiamati a lavorare braccianti, a diverse ore del giorno (20,1-16), due figli eredi del podere (21,28-32), e oggi in particolare un progetto agrario messo in atto da un tale che avendo un terreno decide di trasformarlo in vigna, con tanto di recinzione, di torre per la sorveglianza; un’impresa che inspiegabilmente vede poi il tutto dato in affitto a dei contadini e il suo padrone andarsene lontano (cf 21,33).
Anche questa parabola è rivolta ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo.
Ora, in tutto il percorso biblico la vigna raffigura addirittura il popolo stesso di Israele: il Signore ha scelto e fatto crescere il suo popolo, liberandolo dalla schiavitù d’Egitto e donandoli la sua terra (Salmo 79), come un appassionato coltivatore fa con i suoi poderi e vitigni. È logico che faccia così non tanto per un hobby ma perché produca uva e non acini acerbi (Isaia 5,1-2 – I lettura): Egli si aspetta che il popolo ricambi con giustizia e rettitudine verso gli altri il suo amore.
Padrone e vigna, Signore e popolo sono come legati da un patto da cui dipende la sua stessa prosperità descritta con suggestive immagini dal salmo che preghiamo oggi.
Nello stesso tempo la sciagura nella quale piomba la vigna è la conseguenza della rottura di questa alleanza, di questo patto nuziale frutto dell’amore operoso per essa: “Voglio cantare per il mio preferito il mio cantico d’amore per la sua vigna” (Isaia 5,1).
Mentre il profeta attribuisce la devastazione a tutta la casa di Israele, Gesù nel racconto di Matteo incolpa gli affittuari di non voler dare al padrone il raccolto dei frutti, anzi di aver malmenato e ucciso non solo i suoi emissari, ma addirittura il figlio per impossessarsi della sua eredità (cf vv. 34-39).
Se la vigna non dà buoni frutti è un conto, ma se chi dovrebbe amministrarli li ruba allora è ancor peggio!
A questo punto Gesù esce allo scoperto identificando con costoro i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, e sé stesso con il Figlio inviato del Padre, preso – cacciato fuori e ucciso, utilizzando per Lui un’altra immagine significativa del Salmo 118,22-23, quella della pietra angolare che tiene insieme e regge tutta la costruzione.
Infine la vigna è lo stesso regno di Dio che Egli ha annunziato fin dall'inizio della sua predicazione (cf 3,2).
Ecco ciò che ci sorprende: proprio lo scarto diventa fondamentale (cf v. 42) perché il Signore possa realizzare il suo progetto di salvezza per tutta l’umanità che è la vigna di cui tutti facciamo parte, oggetto dell’infinito amore misericordioso di Dio.
“Così è all'inizio della creazione, ma dopo aver creato l’essere umano e il mondo per lui, sembra che Dio se ne sia allontanato. Sentiamo ancora oggi la sua lontananza” e invece di cercarlo insieme, tra noi, ecco grida di oppressi e spargimento di sangue:sulla terra non si manifestano la pace, la giustizia, la verità come “frutto dei nostri pensieri”, “dei nostri cuori e delle nostre menti in Cristo Gesù” (Paolo ai cristiani di Filippi 4,6-9 – II lettura).
E noi siamo ancora la vigna ingrata che non possiamo portare buoni frutti perché non rimaniamo uniti al Figlio, “vera vite del Padre agricoltore” (cf Vangelo di Giovanni 15,1 ss.).
La domanda che ricorre da Isaia a Matteo: “Che cosa farò della mia vigna?”. La prima risposta è una parola di devastazione e di distruzione, tipico di un amante ferito, o di punizione finale, comunque l’opposto dell’amorevole cura iniziale.
In realtà “Cosa ha fatto il Padre inviando Gesù il Figlio?”. Da questa consapevolezza dipende la nostra capacità positiva di fruttificare nella nostra esistenza, nella chiesa e nella società. “Tutti siamo coinvolti nella tragedia del rifiuto del Figlio: viene gettato fuori della città per essere ucciso: nemmeno nella nostra umanità lo vogliamo”, quella che Lui ha tanto amato e fatta sua perché fosse fecondata dal suo sangue e ritornasse capace di fruttificare qualcosa di amabile.
Ora, proprio perché il Figlio ucciso è risorto, ed è tutt'uno con la noi e la nostra terra, sappiamo che Dio è con noi, in mezzo a noi e non ci ha abbandonati: possiamo vedere Lui in ogni umano insultato e oppresso, il Figlio che ha vinto ogni malvagità.
“Guardando a Lui, troveremo il modo di reagire al male, perché questa vigna possa dare frutto?
Ma è riprendendo innanzitutto coscienza dell’amore di Dio che lo ritroveremo all’opera, attraverso di noi, come il Dio della pace e della riconciliazione”.
Roberto
Nessun commento:
Posta un commento