25 ottobre 2020 (Domenica XXX TO/A)
Esodo 22,21-27 / Salmo 17 / 1Tessalonicesi 1,5-10 / Matteo 22,34-40
PROSSIMO
“La proposta è quella di farsi presenti alla persona bisognosa di aiuto, senza guardare se fa parte della propria cerchia di appartenenza. Il samaritano è stato colui che si è fatto prossimo del giudeo ferito. La conclusione di Gesù è una richiesta: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vale a dire, ci interpella perché mettiamo da parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque.
Dunque, non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare,
ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri”.
FRANCESCO, Fratelli tutti 81
“I farisei, venuti a sapere che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei si radunarono insieme, e uno di loro, un esperto della Legge mosaica, lo interrogò per metterlo alla prova” (Matteo 22,34-35).
Siamo alla terza discussione polemica tra il Nazareno e le autorità religiose giudaiche, nel Tempio prima della Pasqua, dopo quella con la setta dei sadducei sulla risurrezione dopo la morte (cf vv. 22-33).
Questo ci fa capire come la sua fine tragica non sia un evento sbucato dal nulla, ma preparato accuratamente, anche attraverso una serie di tranelli che gli sono stati tesi al fine di coglierlo in errore ed avere elementi sufficienti e probanti per denunciarlo, arrestarlo e farlo condannare a morte.
Inoltre, le questioni sollevate in queste controversie non sono di secondaria importanza ma costituiscono il punto nevralgico delle varie categorie di interlocutori, e nello stesso tempo gli scogli che i primi cristiani delle comunità palestinesi hanno dovuto affrontare nei confronti della religiosità giudaica.
Ora siamo davanti al cruccio di molti esperti della Torah, che dovevano anche insegnarla al popolo: “il (più) grande comandamento” (v. 36) in una giungla di centinaia di precetti da osservare, a volte anche in modo maniacale e ossessivo, che ne spezzavano la sua unitarietà auspicata dagli stessi profeti (cf Michea 6,8; Siracide 12,13).
La questione posta così non era solo di grande utilità per gli addetti ai lavori, ma anche per il giusto israelita che voleva essere coerente con la Legge e suo fedele osservante. Nello stesso tempo evidenzia molto bene quale sia l’assoluta novità dell’evangelo messianico di Gesù e ciò che per i primi cristiani costituiva fin dall’inizio il loro carattere distintivo.
Lo si coglie già nel racconto di Marco 12,28-34, dove il contesto polemico non è così acceso e non è messo in evidenza che il comandamento: “Ama il tuo prossimo come te stesso” è secondo ad “Ama il Signore, Dio tuo” con tutto te stesso, ma è ugualmente importante, “similare” (cf vv. 37-39).
In Luca 10,25-28 il tutto poi viene unificato in un solo comandamento e radicalizzato nel “farsi prossimo”, attraverso la parabola del samaritano (cf vv. 29-37)1.
Assistiamo dunque ad un processo che ha accompagnato le prime generazioni cristiane: da due precetti messi sullo stesso piano, alla loro uguaglianza, fino alla loro fusione che sfocia poi nel paradosso di amare il malcapitato per amare veramente il Signore!
Non si tratta solo di un’opera di semplificazione che può rendere l’osservanza della Torah più agevole, ma un vero e proprio processo rivoluzionario di natura “copernicana”: da una religiosità che dà il primato al rapporto con Dio da cui discenderebbe quello con il prossimo, alla loro uguaglianza, fino al primo subordinato all’adempimento del secondo!
Il prossimo come “via” per amare autenticamente il Signore e l’amore verso di lui come verifica di ogni atto di culto.
1 A proposito la pregnante riflessione di MARTIN LUTHER KING in La forza di amare, oltre a quella attuale di FRANCESCO in Fratelli tutti, nn. 56-86; 101-102.
“All’umana preoccupazione di stabilire una graduatoria di doveri Gesù dà una risposta che fa vacillare ogni logica: non c’è un primo o più grande. Il senso di tutto è l’Amore. In questo modo Gesù non distrugge ma compie la Torah (cf 5,17).
Il senso di tutte le scelte, di qualsiasi responsabilità di cui siamo investiti, di ogni compito da assumerci, è l’Amore. L’Amore è il valore che giudica e relativizza ogni scelta, dichiarandola incompiuta e contemporaneamente gravida di compiutezza e di eternità.
Gesù, nel dare questa risposta, sintesi della sua Parola accolta “con la gioia dello Spirito” (cf 1Tessalonicesi – II lettura), non fa altro che consegnare sé stesso a noi e a tutti, la propria esistenza di Figlio come manifestazione del Regno del Padre, nel dare il comandamento più grande, il suo, il nuovo (cf Giovanni 15,7-13.17; 12,34-35).
Annunzia la sua speranza che la propria vita, la propria missione di condurre a compimento la storia di alleanza tra Dio e il suo popolo, non andrà a vuoto, come pure l’anelito al diritto ed alla giustizia da parte dei più deboli e indifesi (cf Esodo – I lettura).
Nell’amore tutto è compiuto (cf Giovanni 19,30)2”.
Roberto
2 Non possiamo tralasciare quanto è stato recepito nella consapevolezza e nell’esperienza delle prime comunità cristiane al riguardo, di cui abbiamo testimonianza sia nelle lettere di Paolo (Romani 12,9-21; 1Corinzi 12,31- 13,13) che in quelle di Giovanni (1Gv 3,14-25; 5,1-3). Ma su tutto questo è già stato scritto molto.