“LE PAROLE…LA PAROLA”
27 Settembre 2020 (Domenica XXVI TO/A)
Ezechiele 18,25-28 / Salmo 24 / Filippesi 2,1-11 / Matteo 21,28-32
“LE PAROLE…LA PAROLA”
27 Settembre 2020 (Domenica XXVI TO/A)
Ezechiele 18,25-28 / Salmo 24 / Filippesi 2,1-11 / Matteo 21,28-32
Tra il dire e il fare c’è di mezzo… Gesù, il Figlio!
Stavolta non sono più braccianti chiamati a lavorare nella vigna (cf 20,1-16 della scorsa domenica), ma due figli inviati dal Padre invia a lavorare nel podere che dovrebbero ritenere anche come proprio.
Nella parabola che Gesù rivolge “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo” (cf 21,28-31a), il primo passa per uno “sfaticato” o meglio potrebbe essere il più grande che, come succede spesso nelle famiglie, si lamenta di dover essere sempre lui a dover sbrigare le incombenze che gli altri cercano di evitare.
Una volta tanto si impunta apertamente: “Non ne ho voglia”,senza addurre nessun valido motivo… ma ci ripensa e ci va! Così ci diventa subito simpatico, a differenza del secondo che da bravo “yes man” subito dice “Si, signore”, ma poi non ci va. Irrompe la domanda di Gesù ai suoi interlocutori: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. La risposta è scontata anche per noi, tanto da far risultare retorica la domanda stessa. A questo punto è necessario approfondire un po’, allargando l’orizzonte e puntando l’obbiettivo dell’uditorio sul contesto del racconto evangelico.
“Gesù sale verso Gerusalemme”, e dopo aver annunciato ai discepoli, per la terza volta, il suo destino di sofferenza e di morte (cf 20,17-19), si scontra con la loro cecità: non ne capiscono il senso e sono invece interessati a condividere con Lui solo il successo messianico (cf vv. 20-25). “Li richiama a sé” mettendoli davanti al suo essere l’Inviato di Dio: “non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come riscatto per molti” (v. 28). La conseguenza, anche per loro discepoli, è quella di diventare “i primi” (cf 19,30 e 20,16) e “i grandi” servendo gli altri (cf vv. 26-27).
Ora, anche geograficamente, la visuale del narratore evangelico si sposta dalla Città santa (+754 m. s.l.m.) a Gerico, la città più “in basso” di tutto il pianeta (-250/280 m. s.l.m.), ed inquadra “due ciechi, seduti lungo la strada”; si rivolgono a Gesù in termini messianici (“figlio di Davide”) che li interpella sulla loro richiesta e gli dicono “Signore, che i nostri occhi si aprano!”. La supplica suscita in Lui una compassione viscerale che non solo fa loro riacquistare la vista perduta, ma permette anche di seguirlo come discepoli (cf vv. 29-34). Si delinea qui un nuovo profilo di discepolo/credente: generato a nuova vita dalla misericordia e dalla tenerezza, l’amore che genera e attrae (cf v. 34), esso è di rifermento per i discepoli di allora e per i cristiani di oggi.
Poi siamo di nuovo in avvicinamento a Gerusalemme, a Bètfage da cui parte il corteo trionfale che accompagna Gesù, “il profeta galilaico”, acclamandolo “Inviato del Signore, figlio di Davide!” (cf 21,1-11 / Salmo 118,26).
Tornando nel Tempio di Gerusalemme, dopo averne cacciato i mercanti e i cambiavalute il giorno prima (cf vv. 12-22) e il pernottamento a Betània, fatto seccare il fico pianta simbolo della Torah (cf vv. 17-20) e appellatosi ad una fede più matura e legata al rapporto con Dio (cf vv. 20-22), adesso si rifiuta di rispondere alla domanda degli “avversari” sull’autorevolezza del suo insegnamento (cf vv. 23-27) e, come spesso capita, è Lui ad interrogarli.
Ricorre quindi a tre parabole (cf v. 28- 22,14) finalizzate ad evidenziare la loro opposizione al modo in cui Dio offre la sua salvezza attraverso Gesù, che troverà il suo apice nel cap. 23.
Già nelle parole di Ezechiele si manifestava l’incomprensione per l’agire misericordioso di Dio e la sua risposta a questa esclusione (18,25—28 / I lettura).
Ma la conclusione della prima parabola, proclamata oggi nelle nostre assemblee liturgiche, a chi è rivolta tenendo conto della sua perentorietà?
“In verità io vi dico: gli esattori delle tasse e le prostitute vi passano avanti nel regno” (v. 31b).
Anzitutto ai capi religiosi del popolo, che contrariamente a pubblicani e prostitute non hanno creduto, né prima né dopo, nemmeno a Giovanni il battezzatore che “giunse mantenendosi sulla strada del compimento della volontà di Dio” (cf v. 32).
Anche i discepoli però devono sempre guardarsi sia dall’ipocrisia dei precedenti che dal rifugiarsi nel dire e non fare. Fin dall’inizio infatti Gesù aveva loro detto loro che “Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno… ma chi fa la volontà del Padre mio” (7,21).
“Non cessa di smascherare i nostri inganni, dietro i quali tentiamo di difenderci dalla rischiosa libertà di seguire il suo evangelo. L’ambiguità di fondo tra un apparente “si” e un concreto “no” è il tarlo terribile che vela il volto della comunità dei credenti. Dio però non è paralizzato dalle nostre ambiguità, bensì dalla nostra pretesa di difenderle”.
L’unica via possibile, anche per noi, per uscire da ogni ambiguità e contraddizione è quella di riconoscerci figlie e figli sempre amati e chiamati, “un invito amoroso alla vita”.
“Figli nel Figlio”, assumendo il suo modo di essere e di esprimersi come tale fino in fondo, o meglio fino “al fondo” dove siamo noi e dove giace gran parte dell’umanità. Qui possiamo tutti sentirci concordi e unanimi,sia dal punto di partenza che di arrivo, e nel Figlio Gesù ci troviamo messi al nostro posto.
Davvero Lui, “il primo” si è fatto “l’ultimo”, ma è proprio questo che permette a Dio di agire con tutta la forza del suo amore e di dare a noi la gioia di sentirci fratelli e sorelle e il conforto di condividere un amore di tenerezza compassionevole (Paolo ai cristiani di Filippi 2,1-11 / II lettura).
Roberto
Sicuramente questo vangelo mi fa riflettere sull'atteggiamento che spesso abbiamo nei nostri confronti e nei confronti degli altri. Io a giustificarmi quando il sì teorico si trasforma in no comportamentale e il giudicare il comportamento degli altri con facilità. Allora mi capita spesso di fermarmi e dirGli "che sto a dirti? Tu mi vedi e mi conosci, conosci il mio cuore e il mio pensiero meglio di come li conosco io. Sono fragile e debole e senza di Te sono capace di nulla. Lava i miei pensieri, suggerisci le mie parole, rafforza la mia volontà di seguirTi". Allora voglio seguire il suggerimento di San Paolo che dice "abbiate gli stessi sentimenti di Gesù". Lo S.S. saprà suggerirmeli per ricominciare dal fondo, senza privilegi illusori,a compiere la Sua volontà.
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